La battaglia di Parma o di Victoria

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Mappa di Parma posteriore al 1460 (Archivio di Stato di Parma)

Nelle campagne intorno a Parma è una fredda mattina d’inverno, con la nebbia che avvolge la natura e attutisce i rumori. L’imperatore Federico II non rinuncia alla sua grande passione: la caccia. È quasi un anno che assedia, inutilmente, la città.

Quella mattina, tra le brume invernali, mentre scruta il cielo in cerca di prede per i suoi falconi, in lontananza si intravedono delle colonne di fumo. Provengono da Victoria, l’accampamento fortificato che ha voluto far costruire, una vera e propria città sorta attorno a Parma, affinché nessuno entrasse o uscisse nel corso dell’assedio. Una sortita degli assediati, però, sta infrangendo non solo le mura dell’accampamento, ma il sogno di unificare l’intera penisola sotto la corona imperiale.

La situazione politica in Italia La battaglia di Parma del 18 febbraio 1248 è un episodio che si inserisce nella lotta tra i guelfi italiani, il Papato e Federico II. L’imperatore, inseguendo il suo sogno di unificare tutta la penisola sotto la sua corona, aveva cinto d’assedio la città emiliana, dal luglio del 1247.

Parma era stata sempre ghibellina, ma l’elezione di Innocenzo IV aveva cambiato molte cose nel dominio sulla città, a partire dalla nomina di Alberto da Sanvitale a vescovo, sino ad arrivare al colpo di mano compiuto da Ugo da Sanvitale, fratello del vescovo, Bernardo di Rolando, cognato del Pontefice, Giberto da Gente e Gregorio da Montelongo, i quali si impossessano di Parma. Federico II riunisce l’esercito e marcia verso la città velocemente. Scaccia i ribelli e insedia Tebaldo Franceschi come suo luogotenente.

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Innocenzo IV al Concilio di Lione attorniato da vescovi (miniatura del XIII secolo)

La lotta tra Papato e Impero prosegue anche negli anni successivi, fino ad arrivare al Concilio di Lione del 1245, dove viene confermata la scomunica di Federico II. L’imperatore, dopo essere scampato ad una congiura nella Pasqua del 1246, decide di marciare sulla città francese, ma quando l’esercito è nei pressi di Torino, viene avvisato che Parma si è ribellata il 15 giugno del 1247. La colonna imperiale, quella comandata dal figlio di Federico, Enzo, e un contingente inviato da Ezzelino da Romano puntano su Parma per ricondurla all’obbedienza imperiale. Il Papa fa giungere in città, invece, aiuti da Milano, Piacenza, Ferrara e Mantova.

Inizia così un assedio che sarebbe durato otto mesi e che portò alla costruzione di Victoria, una città fortificata con case, palazzi e una chiesa, destinata a sostituire Parma una volta che fosse caduta, distrutta e le sue rovine fossero state cosparse di sale. In una fredda mattina d’inverno, però, le cose cambiarono sotto gli occhi dell’imperatore, che in quel momento era a caccia nella valle del Taro e dovette rifugiarsi prima a Borgo San Damiano e poi a Cremona.

L’assedio «E fu così che l’Imperatore cinse Parma d’assedio ponendo il proprio campo ad ovest della città, fuori le mura di barriera Santa Croce». Per otto mesi i due eserciti si confrontano. Attaccanti e difensori compiono sortite, tentativi di sfondare le mura, scaramucce tra cavalieri. Non vengono risparmiate atrocità varie: per indurre gli assediati ad arrendersi, vengono decapitati tutti i prigionieri fatti nel corso dei vari scontri, mentre gli imperiali catturati vengono gettati dalle mura. E se ogni «mattina l’Imperatore faceva condurre un gruppo di prigionieri sotto le mura cittadine, più o meno all’altezza dell’attuale ponte Caprazucca, facendoli decapitare sotto lo sguardo impotente dei propri concittadini», gli assediati non sono da meno e «molte spie e messi, che tentarono di penetrare nascostamente in città, furono colte dalle guardie del podestà e abbruciati nella pubblica piazza, talché niuno della città osò far motto di entrare in trattati col nemico».

Il campo fortificato di Victoria I parmigiani decidono di chiudersi in città e di resistere alle forze imperiali. «Tra gli assedianti un nipote del papa e di Orladno de Rossi; Ugo Boterio da Parma, i figli dell’imperatore, Ezzelino, Oberto Pelavicino e il marchese Lancia. Mentre tra gli assediati vi era il legato pontificio Gregorio di Montelongo che con milizie milanesi si era precipitato a rafforzare la guarnigione di Parma che, passando al partito guelfo, si era data automaticamente al fronte antimperiale. Proprio Gregorio di Montelongo fu l’animatore della resistenza della città durante il lungo assedio cui fu sottoposta Parma, impedendone la capitolazione».

Federico II decide per l’assedio, ha tempo, non vuole correre rischi. Decide anche di costruire una città che avrebbe dovuto sostituire Parma una volta caduta. La costruzione «venne pianificata dagli astrologi e iniziata sotto la costellazione di Marte, dio della guerra, come auspicio di vittoria. Tuttavia gli scienziati trascurarono di osservare quanto fosse vicino l’influsso del Cancro, cui poi sarebbe stata attribuita la responsabilità della distruzione dell’abitato: civitas, sub tali ascendente incepta, cancrizare debebat. Ciò compromise l’intera azione politica di Federico, poiché, secondo le parole di Rolandino da Padova, ab hac die in antea retrocessit eius victoria more cancri». L’imperatore fa trasportare a Victoria il denaro per mantenere l’esercito, la corona e le vesti imperiali, armi, salmerie, vettovaglie e la biblioteca imperiale. A presidio del tesoro dell’imperatore viene posta la guardia personale saracena. L’imperatore trasferì a Victoria anche la sua personale collezione di animali esotici e fece aprire una zecca che coniava il “vittorino”.
«Nel 1247, durante l’assedio di Parma da parte di Federico II, ogni mattina i cavalieri imperiali si disponevano presso la città e vi rimanevano sino a sera “aspettando e custodendo le loro gualdane” che non solo bruciavano e devastavano tutto ciò che trovavano, ma si portavano via anche tegole e mattoni delle case distrutte per utilizzarli, secondo l’ordine dell’imperatore, nella costruzione di nuove abitazioni».

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La cavalleria parmigiana esce dalle mura per attaccare l’accampamento di Federico II

La battaglia «Correva il giorno diciottesimo di febbrajo 1248, allorché i Parmigiani, avendo saputo che Federigo si era allontanato con assai gente per cacciare col falcone, si disposero a tentare una disperata sortita. Non fu per questa volta la fortuna contraria ai generosi. Gl’imperiali assaltati all’improvviso, dopo leggiera resistenza si danno alla fuga; ne segue una strage infinita. Taddeo da Suessa e il marchese Lancia caddero morti sul campo, tentando di ritenere i fuggitivi; un inestimabile tesoro cadde in potere dei vincitori, e la stessa corona imperiale».

Le prime ore del giorno non sono buone solo per la caccia, ma anche per sorprendere il nemico ed «il primo movimento di ribellione dei Parmigiani contro l’imperatore avviene anch’esso summo mane e, nel corso del lungo assedio che ne seguì, un mattino allo spuntare dell’aurora un reparto si avvicina d’improvviso e furtivamente a una porta della città, lancia una catena munita di uncini contro lo steccato difensivo, svellendolo per la lunghezza di tre pertiche, ma nonostante l’ora la sorpresa non riesce».

La ricostruzione dell’attacco fa capire che si trattò di una assalto fatto dopo che «un gruppo di parmensi trascinò il grosso dell’esercito imperiale lontano dalla città con una falsa sortita. Nel frattempo, il resto delle truppe parmensi ‒ cui si erano uniti anche donne, fanciulli, giovani, vecchi ‒ attaccò Victoria, avendo ragione con relativa facilità dei difensori rimasti».

I parmigiani penetrano nell’accampamento con facilità e nel corpo a corpo ne che ne segue hanno facilmente la meglio sulle milizie imperiali. La cavalleria di Federico è lontana, all’inseguimento di cavalieri parmigiani in finta fuga. «Il marchese Lancia l’unico in comando a Victoria quel giorno, venne attirato fuori dall’accampamento con i suoi cavalieri in una manovra diversiva attuata dai parmensi. Il grosso delle milizie parmensi e dei suoi cittadini affamati attaccarono in quel momento il campo di Victoria scarsamente difeso. L’accorrere al campo di Federico non evitò una sconfitta disastrosa per le aquile imperiali».

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Gregorio da Montelongo in una moneta che lo ritrae seduto in trono. Fu patriarca di Aquileia dal 1251 al 1269

Dopo alcune incursioni diversive, quindi, Victoria fu presa d’assalto, saccheggiata, distrutta, con la collaborazione di tutti i cittadini che volevano riconquistare la libertà.

L’azione contro Victoria, però, non è frutto del caso, ma si tratta di un’operazione bellica ben preparata e studiata da Gregorio di Montelongo per rompere l’assedio. «Si trattò di un’operazione vasta e complessa, svoltasi su un fronte lungo una ventina di chilometri dal Po a Parma e scandita da scontri plurimi e fulminei fra le truppe di Enzo di Svevia e le milizie parmensi e milanesi. La velocità, la capacità di coordinamento e la rapidità dell’azione, incentrata sulla cavalleria, determinarono l’esito della battaglia, espressione di un disegno che superava le logiche rigide del municipalismo e che in Gregorio da Montelongo trovava il suo principale sostenitore. Un insieme di fattori, quali il coordinamento politico e il consenso fra le forze eminenti dell’area padana, sostenute dalla diplomazia pontificia, scaturirono in un’azione militare ben concertata, non più basata sulla semplice pratica o vincolata a consuetudini locali e a bisogni extramilitari: ciò costituisce, come ha notato Roberto Greci, un’importante novità dal punto di vista della pratica militare che rende vieppiù significativa la battaglia di Victoria». L’attacco alla città-fortificata di Federico contribuirono anche molti cavalieri parmigiani ghibellini, i quali tradirono l’imperatore e contribuirono alla sorpresa.

Le perdite e il bottino Secondo alcune fonti gli imperiali ebbero 2.000 morti e 3.000 prigionieri o feriti. Più attendibile parlare di 1.500 morti, di cui solo 500 caduti nello scontro.

Secondo Salimbene de Adam i parmigiani «portarono via all’imperatore tutto il suo tesoro che comprendeva oro, argento, pietre preziose, vasi e vestimenti; si impossessarono del suo corredo e della suppellettile, e anche della corona imperiale, che era di grande peso e valore, tutta d’oro e tempestata di pietre preziose con molte figure in rilievo lavorate che sembravano cesellature … La corona era stata trovata da un ometto di media statura chiamato Cortopasso che la portava in giro per le strade tenendola in mano come un falcone e mostrando la a tutti coloro che la volevano vedere vanto della Victoria conseguita contro Federico II … molti tesori in oro in argento e pietre preziose furono sotterrati dentro orci, locali e tombe proprio nel posto dove era la città di Victoria e sono ivi ancora al giorno d’oggi, ma non se ne conoscono i nascondigli».

Le conseguenze A livello strategico e militare la distruzione di Victoria non comportò ripercussioni per Federico II che riprese il controllo del centro Italia attraverso il presidio del passo della Cisa in grado di garantire il libero transito in direzione lungo la direttrice nord-sud. La sconfitta sotto le mura di Parma, però, inflisse un grave colpo al prestigio dell’imperatore, compattando il fronte avversario in vista degli scontri futuri.

Umberto Maiorca