Marzo: l’augurio di Folgòre, eccentrico rimatore dei mesi

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Ecco marzo, dipinto come una colorata miniatura. C’è uno specchio d’acqua ricco di anguille, trote, lamprede e salmoni, dentici e addirittura delfini e storioni. Nel quadretto compaiono pescatori e navicelle, barche, navigli e galeoni: che possano condurvi nei porti più graditi. L’augurio è di trovare tutto ciò che desideriate, tra case eleganti e gente dedita a ogni sorta di piaceri. Ma niente chiese né monasteri e soprattutto, si raccomanda il poeta, guardatevi dai preti:

balenaDi marzo sí vi do una peschiera
d’anguille, trote, lamprede e salmoni,
di dèntali, dalfini e storioni,
d’ogn’altro pesce in tutta la rivèra;

con pescatori e navicelle a schiera,
e barche, saettíe e galeoni,
le quai vi portino tutte stagioni
a qual porto vi piace a la primèra:

che sia fornito di molti palazzi,
d’ogn’altra cosa, che vi sie mesterò,
e gente v’abbia di tutt’i sollazzi.

Chiesa non v’abbia mai né monastero;
lassate predicar i preti pazzi,
c’hanno troppe bugie e poco vero.

                                        Folgòre da San Gimignano

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San Gimignano (Taddeo di Bartolo, 1391 ca., Museo Civico di San Gimignano)

Il nom de plume se lo era scelto bene, Giacomo di Michele da San Gimignano. D’altronde era un poeta e con le parole ci sapeva fare. E Folgòre, nel senso di fulgido splendore, è l’appellativo con il quale firmò il sonetto conclusivo dei quattordici che compongono la sua opera maggiore, la cosiddetta Collana dei mesi.

Il rimatore del piacer borghese ci ha lasciato trentadue sonetti in tutto. I più noti e godibili sono certo i sonetti dei mesi, ai quali si aggiungono gli otto dedicati ai giorni della settimana. Ispirati al modello provenzale del plazer (la celebrazione di cose che piacciono), descrivono in un’atmosfera di sogno un mondo di raffinati godimenti cui si abbandona una brigata di giovani dell’alta borghesia. Gli altri componimenti, giudicati marginali dalla critica letteraria, contengono invettive contro i Ghibellini o celebrazioni della cavalleria.

Eccentrico sognatore della stessa generazione di Dante Alighieri (è vissuto tra il 1270 e il 1330 circa), Folgòre viene ricordato come una delle voci più originali della poesia minore toscana tra Duecento e Trecento. Nella sua poetica, diletti, feste e occupazioni scandiscono il passare delle stagioni in quadretti di disarmante piacevolezza. Il rimatore di San Gimignano occupa, nella storia della poesia in volgare del Duecento, un ruolo tutto particolare: annoverato fra i poeti comici più per consuetudine che per reali affinità tematiche e stilistiche, è stato accostato al celebre Cecco Angiolieri. Ma gli unici elementi in comune con il poeta di S’i’ fosse foco sono la rinuncia a usare un linguaggio alto e il rifiuto della poetica stilnovistica. Per il resto, Folgòre più che a un comico si avvicina a un eccentrico sognatore.

La vita immaginata La vita di Folgòre da San Gimignano la possiamo solo immaginare. Forse il soprannome gli fu attribuito in omaggio alla sua immaginifica luminosità poetica, ma potrebbe anche esserselo scelto da solo: la fantasia non gli mancava. Per il resto, con certezza sappiamo solo che nel 1305-1306 prestava servizio militare per il suo Comune, e che nel 1332 era già morto. Dai contenuti dei suoi versi, possiamo supporre che appartenesse alla borghesia e che, vissuto in un periodo nel quale la sua classe sociale poteva permettersi di godere dei molti privilegi guadagnati sia a livello politico che economico, ritenesse auspicabile una revisione dello stile di vita mercantile, fino ad allora tutto teso alla scalata sociale. Così si spiegherebbe il sogno del ritorno all’antica eleganza e alla raffinatezza dell’aristocrazia e la proposta del recupero, sia pure in ambito rivisitato e più moderno, dei valori culturali del passato, come la liberalità e la cortesia.

La parodia del cantastorie L’aretino Cenne da la Chitarra (morto prima del 1336), un cantastorie, compose una collana di sonetti sulla falsa riga di quelli di Folgòre. Sulle stesse rime dei mesi del poeta di San Gimignano, i componimenti di Cenne sono rivolti a una “brigata avara senza arnesi”, alla quale viene augurata, su un tono di scherno grossolano e in pieno contrasto con le immagini gentili e luminose di Folgòre, ogni sorta di fastidi e dispetti.

La citazione più celebre è certamente quella di Francesco Guccini che, guarda caso proprio nella sua Canzone dei dodici mesi, brinda “a Cenne e a Folgòre”. Forse, fu per questa citazione che Umberto Eco lo definì “il più colto dei cantautori italiani”. E può darsi che neanche questo sia un caso.

Daniela Querci