Liutprando e l’apogeo dei Longobardi

Il secolo VIII, l’ultimo di vita del regno longobardo, coincise con il momento della sua massima potenza politica nonché con l’apogeo del suo splendore artistico. Ad incarnare questa “età dell’oro” fu l’energica figura di Liutprando.

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Arca di Sant’Agostino (1362, basilica di San Pietro in Ciel d’Oro, Pavia). Particolare della formella che ritrae l’arrivo del corpo di Agostino a Pavia e l’ingresso in San Pietro in Ciel d’oro con il re Liutprando

I 32 anni (712-744) in cui il sovrano sedette sul trono furono decisivi sotto molti aspetti: se sul piano politico egli cercò di riorganizzare le strutture del regno, ingrandendone i confini ai danni dei bizantini e combattendo i particolarismi e le spinte autonomistiche dei ducati più periferici e potenti, sul piano religioso favorì il trionfo definitivo del cattolicesimo e l’abbandono delle tradizioni tribali di stampo pagano, che ancora allignavano nelle élite guerriere del regno. Sul piano sociale, inoltre, Liutprando mirò al superamento delle differenze tra Longobardi e Italici, e lo ottenne per mezzo non solo della conversione al cattolicesimo, ma anche del fondamentale strumento della legislazione. Infine, il re conferì grande impulso all’arte e all’edilizia, improntando un’epoca – quella della cosiddetta “rinascenza liutprandea” – in cui videro la luce alcuni dei più alti capolavori scultorei dell’età precarolingia, dall’altare di Ratchis di Cividale del Friuli (Udine) alle sculture ed epigrafi che si possono ammirare in molte abbazie e musei, come i bellissimi plutei con pavoni e grifoni di Santa Maria Teodote (Musei Civici di Pavia) o la raffinata epigrafe di san Cumiano di Bobbio.

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A “Liutprando, re dei Longobardi” è stato dedicato nel 2018 un convegno internazionale, a Pavia e Gazzada Schianno. Organizzato dal Centro Studi Longobardi in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore, il ciclo di conferenze ha approfondito non solo la vita e la figura del sovrano, ma anche l’eredità liutprandea e la memoria che nel corso dei secoli la sua immagine e la cultura longobarda hanno ispirato a uomini di governo, letterati e artisti, fino al Novecento.

AUTORITARIO E LEGISLATORE I Longobardi dell’VIII secolo, va detto, erano assai diversi da quelli che nel 568 avevano varcato le Alpi guidati da Alboino. Un secolo e mezzo di permanenza sul territorio italico e di contaminazioni con gli autoctoni avevano comportato una lenta ma inesorabile trasformazione della società longobarda, nonché una sempre più complessa stratificazione economica: agli antichi arimanni (o exercitales) che detenevano il potere militare all’inizio della dominazione in Italia si era ormai sostituito un più ampio ceto di possidenti (possessores) e negotiatores (ricchi mercanti) che potevano essere indifferentemente di origine longobarda oppure italica, ma che si definivano “longobardi” in quanto appartenenti all’élite dominante. Viceversa, i pauperes (uomini liberi ma non appartenenti ai ceti dominanti) erano stati progressivamente relegati ai margini della società politica, avendo perso il diritto-dovere di portare le armi che aveva, invece, caratterizzato la società tribale delle origini e che era ormai rimasto esclusiva prerogativa dei soli ceti più facoltosi.

Liutprando, che nel 712 succedette ad padre Ansprando chiudendo un decennio di lotte dinastiche seguite alla morte di Cuniperto, cercò di rafforzare l’autorità regia limitando i particolarismi, e andando perciò a scontrarsi con i potenti ducati di Benevento, di Spoleto e del Friuli che dovette combattere militarmente. Intervenne inoltre con decisione per migliorare l’organizzazione del regno e della burocrazia, aumentando il controllo sui funzionari, a partire dai duchi e dai gastaldi (iudices), i funzionari responsabili di una città sede vescovile e del territorio rurale ad essa circostante (iudiciaria).

Nel suo tentativo di ricondurre l’ordine e la pace nel regno e di consolidarne le istituzioni, Liutprando agì cercando di stabilire tra la figura del re e le élite dominanti un nuovo rapporto basato sulla fedeltà personale, visto che i funzionari con lui dipendevano direttamente dal sovrano. Inoltre si adoperò per svincolare progressivamente l’esercizio delle prerogative regie, ad esempio in ambito legislativo, dall’assemblea degli arimanni: per fare ciò si richiamò al modello tardoimperiale romano facendo discendere la propria autorità direttamente dal Dio cristiano, cui si richiamò autodefinendosi, nel prologo alle leggi emanate al principio del suo regno, christianus ac catholicus princeps. In questo fondamentale corpus legislativo , in ossequio proprio alla dottrina cristiana, Liutprando perfezionò il precedente (643) editto di Rotari introducendo nuove norme per la tutela dei poveri, delle donne (alle quali venne riconosciuta la capacità successoria) e dei fanciulli, favorendo la manomissione dei servi e vietando le pratiche pagane. Inoltre permise formalmente i matrimoni tra donne longobarde libere e romani liberi (vietati invece da Rotari), superando definitivamente le divisioni etniche ed equiparando il diritto dei due popoli, ormai concepito soltanto su base territoriale e non più sul principio della personalità, come invece era stato tradizionalmente sin dalle origini.

L’attività di legislatore di Liutprando fu fondamentale in ogni campo. Oltre al principio dell’inviolabilità dei luoghi religiosi, egli introdusse anche la pratica delle donazioni pro anima, ossia lasciti a beneficio di chiese, xenodochi e altri luoghi santi. Fino a quel momento le uniche forme di trasmissione patrimoniale erano state le compravendite e la legittima: ora con la donazione “pro anima”, si offriva da un lato lo strumento giuridico più adatto a favorire il processo di costituzione e incremento dei patrimoni ecclesiastici, e dall’altro si introducevano rilevanti elementi di novità nelle forme di trasmissione patrimoniale degli stessi Longobardi, preannunciando l’adozione del testamento, ancora sconosciuto al tradizionale diritto di stirpe.

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I domini longobardi dopo le conquiste di Liutprando

TRA COSTANTINOPOLI E IL PAPATO La volitiva politica adottata da Liutprando nella gestione del regno si dimostrò direttamente proporzionale alle sue ambizioni di dominio sull’intera Italia: sfruttando i gravi contrasti che indebolivano l’Italia bizantina, lacerata dalla controversia iconoclasta, egli invase l’Esarcato riuscendo a estendere i possessi longobardi in Emilia e nella Romagna, assediando Ravenna e arrivando, con la presa di Sutri, a interrompere le comunicazioni tra l’Esarcato stesso e Roma, dal quale all’epoca dipendeva. Le sue mire, tuttavia, finirono per rivelarsi irritanti per papa Gregorio II, il quale intervenne in prima persona nella contesa e indusse Liutprando a donare “agli apostoli Pietro e Paolo” il borgo e i castelli di Sutri, in un atto che tradizionalmente è stato sempre interpretato come la “creazione” del primo nucleo del futuro potere territoriale pontificio. In seguito il sovrano tenterà di nuovo di sottomettere i ducati ribelli di Spoleto e Benevento – spalleggiati dal pontefice – arrivando alle porte di Roma per poi tornare, però, a Pavia a seguito della visita alla tomba di san Pietro. La contesa terminò quando nel 742, a Terni, il re ritenne opportuno riappacificarsi con il papato restituendo al nuovo (e a lui più vicino) papa Zaccaria alcuni territori posti ai confini del ducato romano. Nel frattempo, Liutprando aveva anche cercato con successo di avvicinarsi ai Franchi, che aveva soccorso in Provenza contro i saraceni: l’abboccamento si concretizzò accogliendo alla corte pavese Pipino, figlio di Carlo Martello, a lui inviato perché – com’era consuetudine all’epoca – gli venisse praticato il rituale taglio dei capelli che ne sanciva l’ingresso nell’età adulta e stabiliva, nel contempo, un rapporto di parentela e alleanza fra le due famiglie regnanti.

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La testimonianza più nota dell’età liutprandea proveniente da Corteolona è un frammento di bassorilievo marmoreo, probabilmente un pluteo, con la testa di un animale che si abbevera ad un’anfora

UN SAGGIO COSTRUTTORE Durante le operazioni sui mari Liutprando aveva recuperato in Sardegna le reliquie di sant’Agostino, esposte alle razzie dei pirati, per portarle al sicuro a Pavia, nella basilica di San Pietro in Ciel d’Oro, che restaurò così come altre chiese e monasteri, da lui fondati e dotati cospicuamente. La sua memoria di costruttore è legata anche al sontuoso palatium regio di Corteolona, residenza suburbana situata appena fuori Pavia a monte della confluenza tra Olona e Po, che Liutprando fece ampliare partendo dall’edificio costruito dal padre. Emblematico fu il cambiamento del progetto originario, che egli stesso volle introdurre dopo il viaggio a Roma del 729 e che si risolse nell’abbandono dell’idea di un complesso edilizio termale di stampo imperiale a favore di una chiesa con annesso monastero dedicati a sant’Anastasio, un santo orientale che aveva combattuto le pratiche magiche: con questa scelta il re ribadiva sia la sua politica di munifico fondatore di edifici ecclesiastici che il suo intento, già espresso nelle sue leggi, di superare le “superstizioni pagane” ancora praticate dai Longobardi al suo tempo a favore dell’incondizionata adesione cattolica.
Liutprando morì in attesa di ricevere l’ambasciata che aveva inviato a Costantinopoli, con cui, dopo aver ripreso le ostilità, stava trattando la pace e l’abbandono definitivo delle mire sull’Esarcato. «Fu uomo di molta saggezza – ricorda Paolo Diacono, che con lui e la sua età dell’oro fece terminare la narrazione della sua “Storia dei Longobardi”, trascurando volutamente il triste epilogo finale del regno -, accorto nel consiglio, di grande pietà e amante della pace, fortissimo in guerra, clemente verso i colpevoli, casto, virtuoso, instancabile nel pregare, largo nelle elemosine, ignaro sì di lettere ma degno di essere paragonato ai filosofi, padre della nazione, accrescitore delle leggi».

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La targa sulla tomba di Liutprando (basilica di San Pietro in Ciel d’Oro, Pavia)

L’ODISSEA DELLE SPOGLIE Il corpo di Liutprando fu seppellito a Pavia nella cappella di Sant’Adriano, presso la chiesa di Santa Maria ad Perticas che già ospitava le spoglie del padre Ansprando; in seguito, nella seconda metà del XII secolo, i resti vennero traslati per volontà di Ulrico, abate di San Pietro in Ciel d’Oro, nell’omonima basilica che il re aveva contribuito a magnificare, accanto alle reliquie di sant’Agostino da lui recuperate. Il 6 agosto 1895 le ossa del re furono murate alla base di un pilastro, dove ancora oggi si può leggere una lapide con incisa la scritta Hic Iacent Ossa Regis Liutprandi. Il 26 gennaio scorso, la teca è stata estratta e aperta dall’équipe di paleopatologi dell’Università di Pisa diretta dal professor Gino Fornaciari, allo scopo di sottoporre quelli che la tradizione indica come i resti del sovrano agli esami antropometrici, alla datazione con il C14 e al rilevamento del Dna. In attesa dei risultati, le ossa sono state riposizionate nel pilastro pochi giorni fa, il 27 aprile. Ora è solo questione di tempo: tra qualche mese si saprà se la datazione dei resti corrisponde al periodo in cui visse Liutprando, e se quindi le ossa possano davvero essere le sue: per ora è emerso che delle tre tibie ritrovate nella cassetta, una risale al VI secolo e quindi non è sua, essendo di duecento anni precedente l’epoca di Liutprando. Se gli altri resti si rivelassero cronologicamente compatibili così da rendere plausibile l’identificazione, si potrebbe scoprire di quali patologie aveva sofferto il sovrano e ricostruirne almeno in parte le fattezze. Per ora si sa solo che il proprietario delle ossa era un uomo di età compresa fra i 35 e i 50 anni, alto circa un metro e 70, di corporatura robusta e che si cibava di molta carne, segno che era senza dubbio di nobili natali. Chissà se, Liutprando o no, sarà possibile ricostruirne il volto e la storia.

Elena Percivaldi
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