Tutte le strade portano a Roma. Ma partono da ogni dove, e – paradossalmente – la più frequentata del Medioevo è stata completamente dimenticata in epoca moderna, per essere riscoperta solo in tempi recentissimi.
È la via Romea Germanica, “cugina minore” della più celebre via Francigena, che collega la capitale della cristianità al Brennero e di qui arriva fino a Stade, in Germania.
Percorsa per secoli da pellegrini, viandanti, mercanti e imperatori, la via Romea Germanica – conosciuta anche come Via Romea dell’Alpe di Serra o ancora via Teutonica, o via di Alemagna o via Romea di Stade o Via Ungaresca – conta 1022 chilometri divisi in 46 tappe e incontra città d’arte come Padova, Ferrara, Ravenna, Orvieto, Civita di Bagnoregio, Montefiascone. Un mese e mezzo passato a camminare su sterrati e stradine, immersi nei più bei paesaggi della penisola: dalle Alpi al mar Adriatico, dai boschi dell’Appennino romagnolo alle colline toscane e umbre.
Via d’elezione utilizzata da re e imperatori sassoni per mantenere i legami con la Città Eterna, tra l’XI e il XIII secolo fu di gran lunga il percorso più battuto per Roma, vivendo il suo momento di maggiore splendore in occasione del Giubileo del 1300.
A tracciarla è stato, nel Duecento, un personaggio assai singolare: Alberto di Stade; storico, scrittore, ma soprattutto abate benedettino pentito e passato alla “concorrenza” francescana.
Alberto era nato verso la fine del XII secolo e nel 1232 era diventato abate del monastero della Santa Vergine Maria di Stade, importante città portuale situata alla foce del fiume Elba, in Germania, che viene citata nelle cronache sin dal 994, quando fu saccheggiata dai Vichinghi.
Autore colto e prolifico, Alberto ha scritto una cronaca che racconta la storia del mondo dalla creazione al 1256 che è particolarmente importante per la storia della bassa Germania e della Danimarca dal 1165 in poi, un poema in verso elegiaco sulla guerra di Troia intitolato Troilus e libero rimaneggiamento da Darete Frigio e altre opere andate perdute.
Il monastero di Sade possedeva grandi proprietà terriere che ne facevano uno dei più ricchi e potenti della Germania e Alberto, divenuto abate, si era convinto di dover imporre una disciplina molto più rigida, improntata alla povertà e all’austerità dei primordi del monachesimo, secondo il modello della riforma cistercense.
Per ottenere l’approvazione di papa Gregorio IX al suo progetto, Alberto nel 1236 si mise in cammino verso Roma.
Per il viaggio di andata – volendo visitare Citeaux, dove era stata avviata la riforma cistercense – scelse di passare per la Francia, mentre per il ritorno tracciò il sentiero della futura via Romea germanica, attraversando Austria, Baviera, Turingia, Sassonia Anhalt e Bassa Sassonia, percorrendo in totale 3500 chilometri e restando in viaggio per oltre sei mesi.
Un viaggio che portò i suoi frutti: l’abate riuscì infatti ad incassare l’appoggio del Papa; non riuscì a ottenere, però, quello dei suoi monaci e nemmeno quello del Vescovo di Brema, che bocciarono la riforma.
Profondamente deluso, Alberto lasciò la carica, ma anche il monastero e l’ordine stesso ed entrò nel convento dei Frati Minori della città.
Qui si dedicò alla stesura dei cosiddetti Annales, una cronaca in latino dei più importanti avvenimenti ecclesiastici e politici del suo tempo. Dell’opera fa parte anche un racconto in cui è inserito il dialogo tra due monaci – Tirri e Firri – che parlano delle migliori vie da percorrere per recarsi in pellegrinaggio a Roma. Qui l’Abate fornisce diversi itinerari con dati precisi su luoghi e distanze da attraversare e le condizioni delle strade e offre indicazioni esatte sulla lunghezza delle singole tappe in miglia tedesche. Il viaggio descritto include come fermate Bolzano, Trento, la Valsugana, Padova, Ferrara, Ravenna, Forlì, Meldola, Bagno di Romagna, l’Alpe di Serra, Campi di Bibbiena, Subbiano, Arezzo, Ossaia, Castiglion del Lago, Orvieto, Montefiascone, per approdare infine a Roma.
La strada così identificata rimase nei secoli un’importante via attraverso l’Europa che – insieme alla via Francigena – disegnava una Y, perché da Roma le due strade si congiungevano e proseguivano poi insieme per Brindisi e Gerusalemme.
Proprio il viaggio dell’Abate Alberto – il cui manoscritto originale si trova nella biblioteca Herzog August di Wolfenbuttel – è diventato oggi il percorso ufficiale della via Romea Germanica, grazie all’associazione omonima costituita nel 2012 e che lavora, insieme alla tedesca Romweg Forderverain e all’austriaca Jerusalem Way, alla riscoperta dell’antico tracciato e alla sua valorizzazione, offrendo una via di cammino lento per pedoni, ciclisti e cavalli.
L’associazione, con sede a Santa Sofia, ha ricostruito l’intero tracciato di Alberto grazie all’impegno comune dell’antropologo italiano Giovanni Caselli di Bibbiena (in provincia di Arezzo) e dell’amico teologo tedesco Uwe Schott di Plankstadt, presso Heidelberg, e realizzato il sito internet www.viaromeagermanica.com, proponendosi di sviluppare la ricerca storica dell’antico percorso e la valorizzazione del territorio, in collaborazione con le persone che ci vivono.
“Si è messo a punto il simbolo comune della “melior via” – spiegano dall’associazione – il tracciato italiano ufficiale è già definito dalle Alpi alla Capitale, passando per la pianura Padana, le Valli di Comacchio, le colline toscane e umbre e infine la Tuscia, prediligendo sempre sentieri bianchi e coste a mezza via, ma anche prevedendo tappe negli antichi centri abitati”.
Il percorso di oltre 2.220 chilometri, oltre ad attraversare la Germania per 1.092 km (Stade, Braunnschweig, Wernigerode, Nordhausen, Gotha, Wurzburg, Ausburg, Schongau, Garmisch, Mittenwald), interessa l’Austria per 83 chilometri (Innsbruck), e l’Italia per 1.046 (Bressanone, Bolzano, Trento, Padova, Ferrara, Ravenna, Forlì, Meldola, Bagno di Romagna, Alpe di Serra, Campi di Bibbiena, Subbiano, Arezzo, Castiglion Fiorentino, Ossaia, Castiglione del Lago, Città della Pieve, Orvieto, Viterbo, Formello e Roma).
In Italia, quindi, scende dalle Alpi, attraversa la Pianura Padana, le zone umide di Comacchio, le pinete litoranee di Ravenna, le colline e i monti dell’Appennino (Parco Nazionale Foreste Casentinesi), le colline toscane, la pianura umbra, i laghi dell’Italia centrale e l’Agro Romano.
“Nei secoli – spiegano ancora dall’associazione – le vie dei pellegrinaggi sono stati i percorsi di unione delle culture e delle religioni del sud e del nord Europa e il loro ripercorrerle contribuisce oggi come ieri alla realizzazione di un’Europa unita e solidale delle genti, oltre a mantenere vivo il fascino delle sue antiche radici culturali e spirituali e del suo patrimonio di arte, storia e tradizioni”.
Oggi il progetto è condiviso all’interno di un network globale delle comunità dei pellegrini delle antiche vie, e la via Romea Germanica si riconosce parte di un percorso ancora più lungo, che inizia dalla Norvegia, con il cammino di St. Olaf, e partecipa ad un’iniziativa che prende in nome di “Pilgrims Across Borders”.
Anche la valorizzazione del “camminare lento” e di uno stile di vita responsabile – spiegano dall’associazione – sono temi che accompagnano il modo di vivere e di riscoprire i territori percorsi dall’antica via Romea Germanica, con un ritmo e un punto d’osservazione a “passo d’uomo” e un’attenzione alla storia e alla cultura dei luoghi. Perché il pellegrinaggio è in primo luogo un viaggio alla scoperta del mondo e di se stessi.
Arnaldo Casali