In viaggio con Alberto di Stade

«Fratello Tirri, voglio andare a Roma, descrivimi il percorso che devo seguire».

«Buon fratello Firri, da dove vuoi passare?» chiede Tirri.

Risponde Firri: «Attraverso la valle Mauriana».

Di nuovo Tirri: «Nominerò i luoghi e aggiungerò le distanze. Qui avrai due possibilità per attraversare gli appennini: o da Bagno di Romagna, o da Acquapendente. Ma ritengo sia migliore la strada da Bagno di Romagna». A questo punto il monaco non solo indica la strada, ma fornisce anche le distanze (espresse in miglia o leghe, equivalenti a due chilometri): «Da Bologna a Castel San Pietro ci sono 13 miglia, 7 a Imola, 10 a Faenza, 19 a Forlì, 2 a San Martino in Strada, 4 a Meldola, 10 a Civitella, 15 a Bagno di Romagna. Per attraversare l’Alpe di Serra ci sono 15 miglia fino a Campi, 8 fino a Subbiano, 6 fino ad Arezzo, 8 a Castiglion Fiorentino, 8 a Ossaia, 16 a Castiglion del Lago, 10 a Sarminia (per Stopani si tratterebbe di Moiano, sede di un monastero benedettino e di una chiesa dedicata a San Iacopo, altri visto che le distanze non coincidono suggeriscono la rocca di Carnaiola), 6 a Orvieto, 12 a Montefiascone, 8 a Viterbo, 16 a Sutri, 16 a Castel San Pietro, 8 a Roma».

Il buon monaco aggiunge anche che «se il Papa per caso fosse a Perugia, o ad Assisi, o a Terni, o in quelle zone, da Ossaia vai per 4 miglia fino a Gunfin e così per altre 4 miglia fino ad avere il lago di Perugia alla tua destra, ma la strada descritta da Ursage fino a Castello a sinistra. Quello è il tracciato romano per la valle Mauriana».

Alberto di Stade (foto tratta da www.viaromeagermanica.com)

Alberto di Stade (foto tratta da www.viaromeagermanica.com)

Questo brano illustra un’antica via di pellegrinaggio, Romea di Stade o Germanica appunto, che collega il nord Europa con Roma e fu scoperto per caso tra le pagine degli Annales Stadenses nella biblioteca Herzog August di Wolfenbuttel nel XIX secolo. Una cronaca compilata dal monaco benedettino (e poi frate francescano) Alberto di Stade tra il 1240 e il 1256. Nel dialogo tra i due religiosi viene esposto il percorso per raggiungere Roma (e tornare indietro) con una ricca descrizione di luoghi, usanze e costumi, tappe, distanze, curiosità e anche consigli su come muoversi scegliendo i percorsi in base a «societas, et rerum eventus et temporum», cioè compagnia dei pellegrini, situazione politica e stagione dell’anno.

Il Passo di Serra e il conseguente percorso per la valle del Bidente e fino alla Valdichiana seguono un antico tracciato appenninico già utilizzato in epoca preistorica, al pari del Brennero (la Melior Via per Alberto di Stade) per le Alpi, perché consente di passare da una valle all’altra senza particolari dislivelli. Non per nulla il Passo di Serra fu scelto dagli Ottoni e dagli Svevi nelle loro discese in Italia (il percorso segue i confini di città fedeli all’imperatore e feudi di diritto imperiale). Anche Matteo Paris nel suo Iter de Londinio in Terram Sanctam (nel quale è inserita anche una mappa di pergamena a colori con tutto il percorso) indica come praticabile il tracciato lungo la via Emilia fino a Forlì e poi l’ascesa verso l’Appennino e la discesa verso Arezzo: «Alpes bolon. Florence. Aresce. Peruse. Asise. Fulins. Spoletum. Rieta».

Torniamo ai due monaci Firri e Tirri e al buon Alberto di Stade. Quello che racconta, per bocca dei due personaggi di fantasia, è il suo viaggio a piedi, con piccole imbarcazioni, a dorso d’asino, quello che compie realmente, fino a Roma, per presentarsi davanti al Papa e chiedere di poter riformare la comunità di cui è abate secondo i dettami cistercensi, per combattere il lassismo e la ricchezza che allontanano dalla contemplazione e da Dio. Alberto ottiene il permesso dal Pontefice, ma quando torna a Stade i monaci si ribellano; lui si dimette ed entra nell’ordine dei Minori. Inizia a scrivere e ci lascia il resoconto di quel viaggio, come se fosse un antesignano di Jack Kerouac o Bruce Chatwin: Austria, Baviera, Turingia, Sassonia Anhalt e Bassa Sassonia, Bolzano, Trento, la Valsugana, Padova, Ferrara, Ravenna, Forlì, Meldola, Bagno di Romagna, l’Alpe di Serra, Campi di Bibbiena, Subbiano, Arezzo, Ossaia, Castiglion del Lago, Orvieto, Montefiascone e Roma (il percorso è raccontato anche all’inverso, per un totale di 3.500 chilometri e sei mesi di viaggio). È il cammino di Alberto, la Romea di Stade o Romea Germanica.

Una veduta della città di Stade

Una veduta della città di Stade

La Romea Germanica entra in Umbria attraverso la striscia di territorio racchiusa tra il corso del Chiani e il lago Trasimeno, lungo la strada che da Cortona, passando per Ossaia (Ursage, toponimo che richiama la strage dei romani da parte di Annibale) e le pendici di Castiglione del Lago, l’antica Castellum Leonis sorta in una posizione strategica e contesa da Etruschi e Romani prima, e in epoca medievale da Perugia, Arezzo e Siena, assurta al rango di marchesato nel XVI secolo con i Della Corgna. Il pellegrino prosegue, quindi, per Pozzuolo Umbro, un borgo fortificato di origine altomedievale a presidio del passo che evitava le zone di palude, costeggia Villastrada (un nome che rimanda ad un insediamento sorto vicino ad una “strata”). Sfruttando un antico tracciato etrusco giunge a Paciano, una cittadina medievale fondata nel XIV secolo e arroccata sul monte Petralvella, poco distante dall’ormai diroccata Torre di Orlando (uno dei tanti toponimo del “grand tour” del paladino in Umbria), già nominata in un documento di Berengario I nel 917. Uscendo da Porta Fiorentina ci si dirige verso Città della Pieve le cui origini sono molto remote, anche se viene nominata intorno all’anno Mille come Castrum Plebis S. Gervasi. La città sorge su un’altura che domina l’intera Valdichiana e il Trasimeno e spicca sul paesaggio per il rosso del laterizio con il quale è costruita. È la città natale di Pietro Vannucci, il Perugino, maestro di Raffaello.

Il pellegrino uscito da Città della Pieve si dirige verso Orvieto, passando ai piedi del castello di Salci, costruito nel XIV secolo dal condottiero Vanni Bandini e inerpicandosi verso Fabro con la sua rocca dell’XI secolo posta a guardia del passaggio sul fiume Paglia, poi Monteleone d’Orvieto e Parrano, borghi fortificati che sorgono lungo l’asse viario della Cassia (oggi A1) e della Romea (Statale 71) con funzione di avvistamento. Nella zona sorge la Badia di San Nicola, fondata nel 1007 e riformata da san Romualdo. Vi vestì l’abito Magister Gratiano, giurista e fondatore del diritto canonico, ricordato da Dante Alighieri insieme con san Tommaso d’Aquino, Pietro Lombardo e sant’Alberto magno. Il pellegrino cammina all’ombra della rocca di Carnaiola (individuata da alcuni storici come la Sarminiam nel testo di Alberto di Stade e chiamata Sarmugnano o Sermugnano nel Catasto Orvietano del 1292) costruita nel 1055 e luogo di nascita della beata Giovanna da Orvieto, terziaria domenicana del XIII secolo. Un atto giudiziario del Comune di Orvieto ricorda che proprio sulla strada per Sarmugnano «Cola di Guatiero, Ciolo […] e Giovanni di Amata Angeli di Ficulle contro i quali è questo processo per inquisizione […] poiché contro il nostro mandato andarono con le armi per la strada che va a Sarmugnano e su questa strada ferirono dei romei».

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Agro Perugino di Ignazio Danti

Poco distante c’è Ficulle, centro prima etrusco e poi romano, posto a guardia della via Traianea. Le mura medievali e il castello della Sala testimoniano l’importanza del castello per il Comune di Orvieto negli anni di lotte con Comuni vicini. Lasciata Ficulle si arriva ad Allerona, castello medievale posto a baluardo contro la non troppo lontana Chiusi. E la via Romea si avvia, così, agli ultimi chilometri in territorio umbro, giungendo proprio ai piedi dell’imponente Orvieto e ai mosaici del duomo che splendono nel sole.

L’antica Via Romea Germanica è anche disseminata da hospitales, domus leprosorum, tabernae ed hosteriae ad uso dei pellegrini. Questi luoghi hanno lasciato tracce anche nella toponomastica locale. A Città della Pieve erano presenti l’Hospitalis Novum di Santa Maria dei Bianchi, costruito sul finire del XIII, e quello di San Giacomo de Porta Vecciani costruito dal beato Giacomo da Città della Pieve nella seconda metà del ‘200, diverse tabernae e una domus leprosorum a circa due chilometri a sud dalla città, in località Lazzaretto dove si trova la chiesa della Madonna della Sanità. Appena usciti dal borgo di Sarminian si incontrava il pineti hospitalis, testimoniato dal Catasto Orvietano del 1292 mentre vicino al Ponte di Carnaiola si trova il vocabolo San Lazzaro, sito di un antico ospedale per infermi, ricordato in un documento del 1244 come «hospitalis leprosorum de vallis Ficullis».

Nella storia delle vie francigene, francesce o romee si intersecano anche leggende e racconti, come il viaggio del cancelliere di Federico il Barbarossa e vescovo di Colonia Rinaldo di Dassel. Gli storici discutono ancora sul percorso compiuto dal vescovo con le reliquie dei magi trafugate da Milano l’11 giugno del 1164. Un viaggio non proprio trionfale, ma quasi segreto, tanto che alcune fonti testimoniano che avrebbe trasportato le reliquie di nascosto, «clam auferens e magno labore et periculo». Tre erano le strade possibili: per il Gran San Bernardo fino a Magonza oppure le due varianti segnalate da Alberto di Stade, la prima per il Gottardo e per la via fluviale del Reno, la seconda per il Moncenisio. Un documento riporta la notizia secondo la quale Rinaldo abbia presieduto un concilio dei vescovi borgognoni a giugno per sostenere come papa legittimo Pasquale III (il 23 giugno le reliquie erano a Colonia). I tempi fanno pensare che abbia seguito questa seconda via indicata da Alberto di Stade.

Una testimonianza di questo tracciato anteriore al monaco tedesco, infine, si riscontra nella cronaca del viaggio a Roma e Gerusalemme, compiuto tra il 1151 e il 1154, del monaco islandese Nicola di Munkatvhera, abate del monastero di Thingorde, partito proprio dalla città anseatica di Stade.

Umberto Maiorca*

*da Medioevon. 263 dicembre 2018 / Editore Timeline Publishing © Riproduzione vietata