Il Carnevale di Venezia

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Lotta tra Carnevale e Quaresima, Pieter Bruegel il Vecchio (1559), Kunsthistorisches Museum, Vienna

È la fine del mondo che conosciamo, e ci piace da morire.

Il Doge è un cane e un cane è il doge, non c’è servo né padrone, né ricco né povero, né maschio né femmina: tutti sono uguali e nessuno ha volto, e puoi fare tutto quello che ti pare, tutto quello che ti passa per la testa, perché è Carnevale e ogni scherzo vale. È libertà senza freni, è il paese dei balocchi, è anarchia organizzata; è il regno del caos.

È il 1296 e a Venezia la festa diventa legge.

Il Senato della Repubblica Serenissima dichiara infatti festivo il giorno precedente la Quaresima, formalizzando quella che è una tradizione già radicata da secoli nella Laguna. Sono almeno duecento anni, infatti, che il Carnevale scatena la follia dei veneziani per sei settimane: dal giorno successivo al Natale alla vigilia dei quaranta giorni di penitenza in preparazione della Pasqua, ma qualche volta viene anticipato addirittura ai primi giorni di ottobre.

Il Carnevale, d’altra parte, è antico quanto l’uomo: se cosa significhi la parola non è mai stato chiarito definitivamente (carnem levare, ovvero eliminare la carne dopo il martedì grasso, carnualia – giochi campagnoli – o addirittura da carrus navalis , ovvero nave su ruote, in riferimento a un carro allegorico) è certo che la festa affonda le sue radici in rituali atavici e raccoglie l’eredità dei Saturnali: la più importante festività romana e l’unica che si celebrava in tutto l’impero.

carnevale-veneziaI saturnali iniziavano il 17 dicembre e si concludevano il 23: per sette giorni tutte le città sottomesse a Roma erano addobbate a festa e la gente andava in giro mascherata come gli attori teatrali. Si festeggiava Saturno, dio del tempo e della fertilità e si ricordava l’età dell’oro, quando tutti gli uomini erano uguali, senza schiavi né padroni.
Per una settimana non c’era differenza tra servi e signori; anzi, erano gli stessi padroni che servivano i loro schiavi.
I saturnali avevano ripreso, a loro volta, le feste dionisiache greche durante le quali si realizzava un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo e anche alla dissolutezza.

Nell’era cristiana i saturnali avevano finito per dettare l’agenda ai rituali natalizi (il cenone, lo scambio di doni, la liturgia nel tempio) mentre gli aspetti più trasgressivi erano confluiti nel Carnevale, periodo dalla durata variabile (la fine dipende dalla Pasqua, e quindi dalla Quaresima, l’inizio varia a seconda dei luoghi e del periodo storico) stabilito dalla Chiesa con il preciso obiettivo di contrapporre al periodo di penitenza un momento di abbondanza e divertimento con cui far sfogare i fedeli prima delle lunghe settimane di digiuno. Allo stesso modo, sotto il profilo politico rappresenta il momento per una – sia pur temporanea – riscossa del popolo contro gli oppressori, tanto più funzionale nella Repubblica di Venezia, che pone rigidi limiti su questioni come la morale comune e l’ordine pubblico.

Ecco allora che nel 1296 il Senato decide di formalizzare il Carnevale, concedendo al popolo un periodo dedicato interamente al divertimento, durante il quale i veneziani e i forestieri si riversano per le vie della città con musiche e balli sfrenati. L’utilizzo delle maschere permette inoltre da una parte il livellamento di tutte le divisioni sociali e dall’altra di deridere impunemente le autorità e l’aristocrazia.

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Ritratto di Marco Polo (Venezia, 15 settembre 1254 – 8 gennaio 1324), mosaico di Enrico Podio (1860-70), Palazzo Tursi, Genova

Tra i veneziani che si ritrovano a festeggiare il primo Carnevale c’è anche il quarantenne Marco Polo, appena tornato da un viaggio in oriente durato ben 24 anni.

“Buongiorno signora maschera” dice Marco quando, aggirandosi tra le vie della città, incontra qualcuno, e anche lui – con la Larva in faccia, il tricorno in testa e il tabarro sulle spalle – dimentica di essere un mercante, un esploratore, il viaggiatore per antonomasia e l’ambasciatore del Kublai Khan, e diventa uno dei tanti personaggi dell’immenso palcoscenico veneziano, in cui attori e spettatori si fondono in un unico ed immenso corteo di figure e di colori.

Il personaggio che incontra più spesso è la baùta, maschera utilizzata non solo a Carnevale, ma anche a teatro, in altre feste, negli incontri galanti ed ogni volta si voglia corteggiare nel totale anonimato; proprio per questo la particolare forma della maschera permette di bere e mangiare senza doversela togliere.

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Una versione contemporanea della Gnaga veneziana

Non è difficile poi incontrare una Gnaga, ovvero una popolana con la maschera da gatta, che gira portando al braccio una cesta con dentro un gattino emettendo suoni striduli e miagolii beffardi, a volte vestita da balia. Dietro la maschera da gatta, in realtà, si nasconde un uomo, accompagnato da altri uomini mascherati da bambini. La Moretta è invece una piccola maschera di velluto scuro, indossata con un cappellino e velature raffinate. La Moretta è una serva muta: non parla mai, perché la maschera che indossa si regge tenendo in bocca un bottone.

Oltre alle maschere, Marco incontra in giro per la città giocolieri, acrobati, musicisti, danzatori, domatori di animali con i costumi più fantasiosi e disparati. I venditori ambulanti offrono ogni genere di mercanzia: dalla frutta di stagione ai ricchi tessuti, dalle spezie ai cibi provenienti da paesi lontani.
Quando Marco era partito per l’oriente, nel 1271, esistevano già produttori e venditori di maschere e costumi, e scuole dove impararne la realizzazione fatta impastando argilla, cartapesta, gesso e garza, per poi passare alla fase di colorazione e l’aggiunta di particolari come disegni, ricami, perline, piumaggi.
Quando era tornato dalla Cina i mascareri erano diventati dei veri e propri artigiani riconosciuti che realizzavano maschere di fogge e fatture sempre più ricche e sofisticate.

carnevale-venezia-640x445Per tutto il periodo del Carnevale ogni altra attività passa in secondo piano e intere giornate sono consacrate a festeggiamenti, burle, divertimenti e spettacoli soprattutto in Piazza San Marco e lungo la Riva degli Schiavoni.

Non manca chi si approfitta di tanta libertà: con il passare del tempo scippi, ruberie e molestie diventano all’ordine del giorno; c’è persino ci si veste da frate per entrare nei conventi e spassarsela con le monache, tanto da costringere le autorità ad introdurre sempre più limitazioni e decreti contro l’abuso e l’utilizzo fraudolento o non ortodosso dei travestimenti.

Già a partire dal 22 febbraio 1339 verrà introdotto il divieto di circolare in maschera di notte, mentre un decreto del 24 gennaio 1458 proibirà l’ingresso in maschera nei luoghi sacri, al fine di evitare che vengano compiute multas inhonestates.

Troppo spesso i mantelli sono utilizzati per nascondere armi, per questo un altro decreto proibirà la detenzione di armi e di qualsiasi oggetto di natura pericolosa per l’incolumità altrui. Le pene per questi reati saranno molto pesanti, sia pecuniarie, con sanzioni salate, che di reclusione.

carnevale-_veneziaUn altro problema riguarda le prostitute; tollerate ma pur sempre considerate fonte di perdizione e malcostume, nonché portatrici di pericolose malattie come la sifilide. Anche loro approfittano del Carnevale per aggirare le numerose limitazioni a cui devono sottostare: verrà quindi proibita anche la prostituzione in maschera, con pene severissime che – oltre ad una multa salata – comprenderanno la flagellazione lungo il tragitto da piazza San Marco al Rialto, la berlina e il bando per quattro anni dal territorio della Repubblica.

La festa della libertà, della trasgressione e del caos diventerà dunque sempre di più una festa di divieti, regolamenti e limitazioni, senza per questo, però, perdere il fascino che ancora oggi vede riversare ogni anno migliaia di persone in quella che resta la città del Carnevale per eccellenza.

Arnaldo Casali