Monete e potere: Giovanna d’Aragona, regina di Napoli

Come è ben noto, la storia può essere letta mediante l’uso di fonti diverse, a volte adoperandone alcune che spesso sembrano avere solo un ruolo marginale per l’esito dell’analisi storica. In questo caso specifico, partendo dalla presentazione di alcune rare monete coniate nel corso della seconda metà del XV secolo dalla zecca di Napoli, potremo giungere ad illustrare l’importanza politica che alcuni gesti della ritualità del potere femminile hanno ricoperto nel linguaggio storico-sociale del Mezzogiorno aragonese.

Cavallo con i ritratti di Ferrante I e Giovanna, sovrani di Napoli. (1477 circa. Museo Nazionale di Napoli). Da Pannuti-Riccio 1984

La moneta intorno a cui si articola questa breve nota è di piccolo taglio e può essere descritta in questo modo:
D/ • F •• R • Busto di Ferrante I d’Aragona rivolto a destra con corona ornata di gemme e trifogli.
R/ IOHAN – NA • REGINA Busto di Giovanna d’Aragona rivolto a destra con ricca corona gemmata.

Dal peso che si aggira intorno a 1,80 g. e con un diametro di circa 18 mm., tale nominale è in rame ed è noto con la denominazione di “cavallo” (fig. 1). Quest’ultimo venne introdotto proprio da Ferrante I (1458-1494) nell’agosto del 1472 (i primi pezzi furono battuti, però, solo il 18 aprile) per sostituire i vecchi denari di mistura, ormai sviliti e male accolti dalla popolazione: quei tagli avevano corso legale soprattutto tra le classi medio-basse della società.
Fu il duca di Ascoli, Orso Orsini, che consigliò al sovrano napoletano di promuovere una riforma monetaria, probabilmente perché nelle province del Regno più lontane dalla capitale si avvertiva maggiormente il cattivo influsso economico di una moneta che si presentava del tutto degradata nel suo valore effettivo.
Il duca descrive il cavallo come «moneta tutta de rame et grossa al modo delle medaglie antique con la immagine de la Maestà sua e con lo reverso de qualche digna cosa». Infatti, sui cavalli si trova, di solito, il ritratto di Ferrante con la corona radiata. L’ispirazione probabilmente arrivava dai ritratti romani imperiali che si trovavano sugli antoniniani del III secolo d.C., così come pare che da queste antiche monete romane si sia tratta la misura per il diametro.

L’esemplare napoletano riporta una delle poche rappresentazioni della regina Giovanna, figlia del re aragonese Giovanni II di Trastámara (1458-1479) e sorella di Ferdinando il Cattolico (1479-1516). Sebbene la sua effigie sia fortemente idealizzata, atta maggiormente ad una funzione politico-simbolica più che fisiognomica, restituisce ugualmente la rilevanza che questa figura femminile ebbe per la storia dell’Italia meridionale verso la fine del Medioevo.
Il cavallo qui illustrato fu coniato con ogni probabilità intorno al 1477 per celebrare il matrimonio del re di Napoli con Giovanna, sua cugina: erano questi i secondi sponsali per Ferrante, dopo la scomparsa della prima consorte, Isabella di Chiaromonte, avvenuta il 30 marzo 1465.
Si dovette, però, attendere almeno fino ai primi di gennaio del 1475 affinché Ferrante decidesse nuovamente di contrarre matrimonio.
Fu nel corso di quell’anno, infatti, che egli, per scacciare ogni eventuale pretesa sul suo Stato da parte del ramo legittimo degli Aragona, chiese in sposa la figlia di Giovanni II.
Se i progetti del sovrano napoletano avessero avuto esito positivo, il suo Regno ne sarebbe uscito fortificato anche in caso di attacco da parte della Francia di Luigi XI (1461-1483).
I capitoli matrimoniali furono stipulati a Tudela di Navarra il 5 ottobre del 1476 e ratificati a Napoli il 25 novembre: nell’accordo, Giovanna, in cambio alla rinuncia di ogni diritto sui Regni di Aragona e Navarra, ricevette dal padre una dote di ben 100.000 fiorini d’oro, mentre il suo futuro marito le concesse le rendite, che non potevano essere riscosse in contanti, di alcune città del Regno (tra le altre, si ricordano Sulmona, Teano, Venafro, Isernia, Agnone, Caramanico, Tocco, etc.) e un cospicuo donativo, pari a 20.000 ducati.
Terminate le trattative, condotte per ben due anni dagli oratori napoletani Galcerano de Requesens, conte di Trivento ed Avellino, Antonio de Tricio ed Antonio d’Alessandro, il figlio e successore di Ferrante, Alfonso duca di Calabria, fu incaricato di prelevare la sposa e di scortarla, via mare, fino a Napoli. Con un cospicuo seguito, accompagnato da alcuni dei nobili più in vista del Regno, Alfonso salpò l’11 giugno 1477 e approdò a Barcellona il 25 di quello stesso mese. Il legni napoletani non si fermarono a lungo nella città catalana se già il 29 agosto 1477 la flotta, al comando dell’ammiraglio Antonello Sanseverino, principe di Salerno, fece scalo a Genova, alleata di Napoli.

Chiesa di S. Maria Incoronata (1352-1373), colonnato esterno. Via Medina, Napoli

Sabato 6 settembre 1477, Alfonso ed il suo seguito, ora arricchito dalla presenza della futura regina, facevano sosta a Gaeta, dove si fermarono per almeno tre giorni. Grazie alle cronache di Giuliano Passero e di Notar Giacomo siamo ben informati su ciò che avvenne da quando, l’11 settembre 1477, Giovanna sbarcò a Napoli, sul molo allestito appositamente presso Castel dell’Ovo. Qui fu accolta dal legato pontificio cardinale Borgia, futuro papa Alessandro VI (1492-1503), e dalle personalità più insigni del Regno, come «la signora Duchessa di Calabria, et altre assaissime donne» (Passero). Dal molo si snodò una solenne e fastosa processione che accompagnò Giovanna per i Seggi di Napoli, «inliquali erano gentile donne che inquilli aballavano et si li andavano ad basare la mano como ad Regina» (Notar Giacomo).
Il corteo giunse davanti alle porte dell’«Archiepiscopato de Napoli et lla era lo Serenissimo Re Ferrando»: qui il legato celebrò le nozze prima di entrare in chiesa e di officiare i consueti riti. Alla cerimonia presero parte «tucte le imbassarie de ytalia si ancho del soldano et del re detunisi, et prelati assay» (Notar Giacomo).
Quella sera la coppia reale si ritirò in Castel Capuano, dove diede un ricevimento all’insegna dello sfarzo: «ce sono state 62 trombette, pifari, e tamburri assaissimi», scrive il Passero.
Celebrato il matrimonio, ora Giovanna doveva essere protagonista della cerimonia dell’incoronazione che ne avrebbe ufficializzato il ruolo politico nel Regno.
La «messa della Incoronatione della regina Joanna d’Aragona mogliere dello signore re Ferrante» (Passero) si tenne il 16 settembre 1477 e fu celebrata ugualmente dal cardinale Borgia. Fu allestito un sontuoso catafalco presso la chiesa di S. Maria Incoronata (fig. 2), pronto per accogliere la coppia reale che vi si sarebbe recata partendo «dallo Castello novo».

Ferrante si presentò al pubblico che era accorso per assistere a quella plateale manifestazione di potenza e prestigio ostentando una ricchezza che sicuramente non passò inosservata.
Così ce lo descrive vividamente Notar Giacomo: «lo Re portava la Corona intesta, sopra uno cavallo guarnito de ioye de multo valore», valore che il Passero stima per la sola corona indossata dal sovrano per quella solenne occasione in «più di 20 milia docati».

Giovanna, invece, «andava intreze». Giunti al di sotto del catafalco, Ferrante e Giovanna presero posto su due troni posti lì all’uopo: «dove lo legato innanze incomenzasse la messa dixe la letania appresso lo signore duca decalabria lo duca de Andri et dui piscopi portaro la regina avante lo legato et quella benedixe et si le dono lo oglio sancto alla spalla dericta et si se posse una tunicella biancha: et si venne lo duca de Venosa con lo pummo de oro et lo princepe debisignano conlo sepctro, et messere Anello Archamone prese la corona dallo altare et portolla avante del Re, et si le fe uno sermone et depo la retorno alo altare, dove lo legato posse la corona intesta dela Regina» (Notar Giacomo).
Poco dopo, il Borgia le porse anche lo scettro ed il globo dorato. Il rito religioso officiato dal legato papale concluse la cerimonia, che continuò con numerose manifestazioni di giubilo.

Il passaggio per noi più interessante si registrò in questo frangente e, per analizzarlo al meglio, ci serviremo di entrambe le cronache. «Fornuta la messa lo signore re fece 20 cavalieri, e se tornai ad assettare co la regina alla seggia reale, et in questo se gettaro monete d’argento de’ più sorte con gran festa, et gaudio» (Passero); «lo Serenissimo Re Ferrando fe xx cavaleri et iectaose piu sorte de moneta de argento» (Notar Giacomo). Ci sono pochi dubbi, ormai, che per questa felice ricorrenza furono coniate e gettate al popolo ivi accorso questi cavalli di rame con il ritratto sia del re che della regina. Le cronache del tempo, però, come abbiamo visto, parlano di monete d’argento e non di rame. Tuttavia, nessuna moneta in questo metallo che potesse far riferimento all’incoronazione di Giovanna d’Aragona è stata mai rinvenuta finora. Ciò ha condotto il numismatico francese Arthur Sambon, alla fine del XIX secolo, ad ipotizzare che questi cavalli in rame venissero argentati e dorati per poi essere gettati alla folla che, raccogliendoli, li avrebbe scambiati e spesi per moneta di più alto valore. È anche probabile che questo sistema fosse stato applicato effettivamente e che le attività commerciali della città, in quel particolare frangente, avessero ricevuto disposizioni per accogliere una valuta che presentava un valore nominale superiore a quello dell’intrinseco.

Ma una notizia potrebbe fornire ulteriori dati per capire quali monete vennero effettivamente coniate per l’incoronazione della regina. In una sua relazione, risalente alla seconda metà del Cinquecento, Leonardo de Zocchis, credenziero del campione nella zecca di Napoli, scrisse alcune informazioni in merito ad un carlino in argento che Ferrante avrebbe fatto coniare per questa ricorrenza: «et poi nelo anno 1477 si cugnorno carlini da una banda sculpita la effigie de esso re con littere che dicono “Nuptiarum Hilaritas”, da l’altra banda scolpita la effigia dela serenissima Regina sua consorte con littere che dicono le supradette parole “Nuptiar(um) Hilaritas”, li quali debbero servire ad buttarli al triunpho nuptiale».

Ricostruzione del carlino in argento per le nozze di Ferrante e Giovanna d’Aragona in base alla descrizione fattane da Leonardo Zocchis. Disegno dell’autore

Tale descrizione ha portato recentemente alcuni numismatici, tra cui chi scrive, a ricavare un disegno di questo carlino delle nozze, del quale finora non è venuto in luce alcun esemplare per poter smentire l’iniziale scetticismo del Sambon. Quest’ultimo, infatti, era già a conoscenza della descrizione dello Zocchis attraverso una sua prima relazione, meno ricca di dettagli, ma che, a livello di contenuti, combacia perfettamente con questo suo secondo resoconto. Di sicuro, gli eventuali carlini furono gettati al popolo insieme ai cavalli di rame, come sembra si possa ricavare dalle cronache succitate che menzionano «più sorte» di monete. Ciò nonostante, in mancanza di conferme attraverso l’osservazione diretta di un simile esemplare argenteo, l’ipotesi del Sambon resta ancora la più credibile.

Raffaele Iula