La pala d’altare più grandiosa dell’arte italiana porta la firma di Duccio di Buoninsegna. È la Maestà del duomo di Siena. Un’opera di dimensioni enormi, alta quasi 4 metri e inserita in una spettacolare cornice con basamento e cuspide dorati. La sola tavola centrale, dipinta su entrambi i lati, è alta più di 2 metri e larga oltre 4.
Una magnifica festa La Maestà fu commissionata al pittore dal Comune di Siena, come ringraziamento alla Vergine per la vittoria contro i fiorentini nella celebre battaglia di Montaperti del 1260. E il 9 giugno 1311 l’opera, con una processione in pompa magna composta dalle autorità, i nobili e tutto il popolo di Siena, lasciò la bottega di Duccio per essere trasportata fino al duomo e messa in opera sopra l’altare maggiore. Fu una grande festa, di cui resta ampia documentazione:
E il giorno che fu portata nella cattedrale, tutte le botteghe rimasero chiuse e il vescovo guidò una lunga fila di preti e monaci in solenne processione. Erano accompagnati dagli ufficiali del comune e da tutta la gente; tutti i cittadini importanti di Siena circondavano la pala con i ceri nelle mani, e le donne e i bambini li seguivano umilmente. Accompagnarono la pala tra i suoni delle campane attraverso la Piazza del Campo fino all’interno della cattedrale con profondo rispetto per la preziosa pala. I poveri ricevettero molte elemosine e noi pregammo la Santa Madre di Dio, nostra patrona, affinché nella sua infinita misericordia preservasse la nostra città di Siena dalle sfortune, dai traditori e dai nemici.
La pala d’altare più importante dell’arte italiana Per le sue dimensioni, per la complessità e la qualità delle scene e per l’innovativa modulazione dello stile tradizionale bizantino con gli elementi di novità dell’arte gotica e fiorentina, la Maestà di Duccio di Buoninsegna è unanimemente considerata la più importante pala d’altare giunta fino a noi di tutta la storia della pittura italiana.
La tecnica Le pale d’altare, rappresentazioni sacre diffuse in Italia nel secolo XIII, sono grandi tavole di legno dipinto che venivano disposte sugli altari delle chiese, così che i fedeli, anche da lontano, potessero osservarle e venerarle. Il soggetto prediletto era la Madonna seduta in trono con il Bambino in braccio, a volte circondata da angeli e santi.
La realizzazione era molto complessa. Occorreva innanzitutto scegliere delle assi di legno adatte, senza nodi e imperfezioni, che poi venivano unite. Sulla superficie venivano applicate strisce di lino intrise di colla per dare maggiore stabilità all’insieme. Prima di iniziare a dipingere, bisognava preparare il fondo: si stendevano due strati di gesso e colla, il primo più ruvido e il secondo più liscio, per ottenere una superficie levigata sulla quale realizzare il disegno. Una volta ripassati i contorni con un colore scuro, veniva usata una punta metallica per incidere le aree su cui andava applicato l’oro. Per fissare l’oro – lamine sottilissime realizzate da artigiani detti “battiloro” – e rendere i suoi riflessi ancora più caldi, si passava una base di fondo rossa detta bolo. Dopo aver fatto aderire le foglie d’oro sopra il bolo, si procedeva alla stesura del colore, realizzato con terre minerali e sostanze naturali miste amalgamate con tuorlo d’uovo.
Una lettura “avvolgente” Nella sua versione completa, la Maestà consisteva, sul lato rivolto verso la navata maggiore e quindi visibile dai fedeli, in una vasta composizione centrale con la Madonna in trono con in braccio il Bambino e circondata da venti angeli, sei sante e santi e i quattro protettori della città (da sinistra, Sant’Ansano, San Sabino, San Crescenzi e San Vittore) inginocchiati in primo piano. Simboli non solo religiosi, ma anche politici: a commissionare la tavola è tutta la città, che – rappresentata dai suoi santi protettori – rende omaggio a Maria e al Bambino. Il doppio significato, politico e religioso, è ribadito anche dall’iscrizione che corre ai piedi del trono della Vergine:
Mater sancta Dei / sis causa Senis requiei / sis Ducio vita / te quia pinxit ita
Santa Madre di Dio, sii causa di pace per Siena, sii vita per Duccio che ti dipinse
È inusuale che anche l’artista chieda la protezione della Vergine, arrivando addirittura a mettere il proprio nome al centro della tavola. Parole da cui traspare un’inconsueta consapevolezza della sua valenza e segno della grande fama raggiunta da Duccio all’epoca della Maestà che, dopo la straordinaria accoglienza dei contemporanei attestata dai cronisti, continuò a suscitare l’ammirazione generale.
La schiera più lontana dalla Vergine è composta da meravigliosi angeli con il volto sognante, che scendono a circondare il trono come a proteggerla. Ai lati di Maria ci sono due file di santi in piedi o in ginocchio, riconoscibili dagli abiti e da ciò che tengono in mano: la barba e il lungo abito scuro indicano san Paolo, le vesti di pelli San Giovanni Battista. Questo modo di raffigurare la Maestà venne ripreso dagli artisti posteriori a Duccio che operarono sul territorio. Nel 1312, Simone Martini affrescò una Maestà nel Palazzo Pubblico di Siena e nel 1335 Ambrogio Lorenzetti dipinse una pala affollata di personaggi per una chiesa di Massa Marittima.
In alto, sulle cuspidi, figuravano i busti degli apostoli. Sotto di loro, insieme a parti perdute, c’erano almeno sei storie della Madonna successive alla morte e resurrezione del Cristo. Nella predella alla base della tavola centrale, intercalate a figure di profeti c’erano sette storie dell’Infanzia di Gesù.
Sul lato posteriore, invisibile ai fedeli, la lettura dalla predella riprendeva con le storie dell’infanzia di Gesù e continuava con episodi della sua vita pubblica.
Sopra, nel campo principale e su due registri, la narrazione proseguiva con ventisei storie della Passione, da leggere seguendo un percorso a “S”, dal basso verso l’alto e da sinistra verso destra (salvo qualche eccezione). Queste scene erano pensate per essere ammirate dal clero, che sedeva dietro l’altare, e durante le lunghe celebrazioni aveva modo di meditare sui fatti della vita di Cristo.
Nel coronamento superiore del retro, infine, insieme con altre parti andate parzialmente o totalmente perdute, figuravano storie di Cristo successive alla resurrezione, che riportavano di nuovo l’osservatore a girare intorno alla pala con una lettura “avvolgente” che riconduceva al lato anteriore, dove le storie di Cristo risorto trovavano conclusione nelle storie della Madonna, anch’esse successive alla morte e resurrezione del Figlio.
Tre stili per una tavola Sul lato rivolto verso la navata maggiore della cattedrale, le figure sono disposte in sequenze ordinate e statiche, su sfondo neutro e senza profondità, elementi tipici dell’arte bizantina.
Ma i santi e la Vergine sono alti e slanciati, nello stile caratteristico del Gotico francese. Come le linee che contornano le figure, morbide e sinuose e i colori raffinati, stesi in modo piatto e con pochissimo chiaro scuro per non dare rilievo ai volumi dei corpi. La figura di Maria è molto più grande rispetto ai personaggi che la attorniano: l’uso delle proporzioni gerarchiche, per cui i personaggi più importanti sono anche i più grandi, è un altro elemento tipico della cultura artistica gotica, contemporanea a Duccio e da lui molto amata.
Il trono dove è seduta la Vergine ricorda, nella forma e nel volume, il trono della Maestà degli Uffizi del pittore fiorentino Cimabue. Anche in alcune scene del retro, come l’episodio di Cristo davanti a Pilato, la tettoia sorretta da colonnine è uno spazio reale che cerca di rendere la profondità della pittura. Duccio quindi mostra di conoscere la pittura fiorentina del tempo, e in particolare sembra essere stato influenzato da Cimabue e Giotto.
L’unicità del capolavoro di Duccio resterà quella di aver trasmesso un meraviglioso amalgama di tradizione e innovazione: gli eleganti modelli bizantini e gotici nel maestro senese coesistono con il linguaggio più realistico e moderno di Giotto – di poco più giovane – che rivoluzionerà la pittura italiana abbandonando gli stilemi bizantini per guardare all’arte classica, basata sulla raffigurazione realistica del volume e dello spazio.
Gli incarichi (e le multe) Della vita e delle commissioni artistiche di Duccio (1255 ca. – 1318 o 1319) sappiamo parecchio. Una inconsueta ricchezza di informazioni particolari e la relativa precisione dei dati riguardanti gli incarichi ottenuti a partire dal 1278 (quando venne pagato per aver dipinto dodici casse per conservare i documenti del Comune di Siena) e poi negli anni 1279, 1285, 1291, 1292, 1294 e 1295, quando gli vennero commissionate tavolette di legno per rilegare i registri della città, si alternano a numerose multe e penali datate tra il 1280 e il 1310. Sembra che il maestro fosse poco incline a corrispondere al Comune le tasse dovute per la sua redditizia attività. Il 15 aprile 1285 si trovava a Firenze, dove la Compagnia dei Laudesi commissionò a “Duccio quondam Boninsengne pictori de Senis” la tavola magna per la chiesa di Santa Maria Novella, che oggi conosciamo come la Madonna Rucellai (attualmente esposta nella Galleria degli Uffizi a Firenze).
Nel 1287-88 è di nuovo a Siena, dove dipinge la splendida vetrata per l’abside del duomo. È l’unica opera su vetro di Duccio di Buoninsegna e una delle poche realizzate da maestri di scuola senese. Nel 1295, di nuovo a Siena insieme con Giovanni Pisano e altri artisti, ebbe l’incarico di studiare il sito in cui costruire la Fonte d’Ovile e, nel 1302, ottenne di dipingere una Maestà con predella per l’altare della cappella dei Nove nel Palazzo Pubblico, che purtroppo è andata perduta. Ed è certo che, almeno dal 9 ottobre 1308, lavorò alla celebre Maestà del duomo di Siena.
In sintesi, gli storici dell’arte propongono oltre cinquanta documenti ad attestare l’importante attività artistica e le meno onorevoli ammende e sanzioni di Duccio. Fonti che scandiscono molto bene le tappe fondamentali della sua attività, ma che mai si riferiscono alla formazione dell’artista. Benché sicuramente sia Cimabue (1240-1302) che Giotto (1267-1337) – artista-simbolo dell’intero Medioevo e innovatore radicale del linguaggio figurativo – ebbero influenza sull’opera di Duccio, la sua educazione artistica resta a tutt’oggi tema di ricerca e argomento di ipotesi e controversie.
Spostamenti, smembramenti e parti ritrovate Le vicissitudini della Maestà cominciarono nel 1505, quando la grandiosa opera venne spostata dall’altare maggiore all’altare di San Sebastiano (oggi del Crocifisso), sempre all’interno della cattedrale di Siena. Lì rimase fino al 1771, anche se stranamente sfuggì a Giorgio Vasari, che afferma addirittura di “aver cercato sapere dove oggi questa tavola si trovi”, ma di non aver “mai, per molta diligenza che io ci abbia usato, potuto rinvenirla” (Le vite, 1568).
Nel 1771 l’opera fu segata verticalmente lungo lo spessore per separare le due facce. Dopo ulteriori spostamenti, che causarono la dispersione di singole parti (oltre che la distruzione integrale della carpenteria), nel 1878 la maggior parte dei pezzi fu collocata nelle stanze dell’Opera del duomo. Oltre a quanto è conservato oggi nel Museo dell’Opera di Siena (le due facce principali e la massima parte delle storie presenti nelle predelle e nei coronamenti), sono stati finora identificati come appartenenti all’opera smembrata otto pannelli: due si trovano alla National Gallery di Londra, tre alla National Gallery di Washington, uno nella collezione Thyssen Bornemisza di Lugano, uno nel Kimball Art Museum di Fort Worth in Texas, uno nella Frick Collection di New York. Infine, quattro degli angeli provenienti dalle cuspidi sono conservati nella Johnson Collection di Filadelfia, nella Van Heek Collection di ‘s Heerenberg, in Olanda, al Mount Holyoke College, South Hadley, in Massachusetts e l’ultimo – di cui si aveva traccia nella collezione Stoclet a Bruxelles – non si sa dove sia ubicato attualmente.
La precisa ricostruzione del complesso pittorico nel suo stato originario, tentata in più modi e con vari progressi, è solo uno dei non pochi interrogativi che la grandiosa opera di Duccio di Buoninsegna pone ancora oggi ai suoi interpreti.
Daniela Querci
Bibliografia essenziale:
Enzo Carli, La Maesta di Duccio, IFI, Firenze, 1982
Luciano Bellosi, Enciclopedia dell’Arte medievale, Treccani, Roma, 1994
Luciano Bellosi, Duccio. La Maestà, Milano, 1998
Gillo Dorfles, Storia dell’Arte, Atlas, 2013
Giorgio Cricco e Francesco Paolo di Teodoro, Itinerario nell’Arte, Zanichelli, 2016