Campi Catalaunici, l’ultima vittoria di Roma

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Una donna, un vescovo e l’ultimo generale romano fermarono Attila, il flagello di Dio, nella scorreria tra il Reno, la Mosa e la Loira. Santa Genoveffa e il vescovo Anario ne rallentarono l’avanzata, fermandolo sotto le mura di Parigi e di Orléans. Sarà poi l’esercito di Valentiniano III imperatore, al comando del generale Ezio e collegato ai visigoti di Teodorico I, a travolgere gli unni di Attila in una grande battaglia combattuta nell’odierna Marna francese nei pressi di Chalons, il 20 giugno del 451, ricacciandoli al di là del Reno, anche se per poco tempo.

La battaglia dei Campi Catalaunici in un manoscritto del XIV secolo (Biblioteca Nazionale Olandese)

L’antefatto Il giovane Ezio era stato consegnato come ostaggio ad una tribù di unni, alla corte di Rua, all’età di cinque anni a “garanzia dei trattati che l’amministrazione imperiale stipulava con i popoli stanziati lungo le frontiere per garantirsi la fornitura di truppe”.

 

Possibile ritratto di Ezio in un medaglione scolpito nel sarcofago di Stilicone (Museo della Civiltà romana, Roma) (fonte dell’attribuzione: Ian Hughes, Ezio. La nemesi di Attila, 2017, LEG edizioni)

Tornato a Roma e in qualità di comes domesticorum, era stato inviato in Pannonia a reclutare truppe tra gli unni. Quando era tornato in Italia, però, sul trono sedeva Galla Placidia. Il generale romano si salvò dalla vendetta imperiale grazie alla devozione che i cavalieri unni avevano per lui.

Nei successivi quattro anni sconfisse visigoti, franchi e iutungi, arrivando alla carica di magister militum praesentalis. Nei venti anni successivi continuò a infliggere sconfitte ai visigoti (Mons Colubrarius), ai burgundi, ai goti, ai franchi (Vicus Helena) e ai nemici a corte che lo volevano morto.

Le cose cambiarono quando Attila unificò le tribù unne sotto il suo comando e pretese di creare un suo regno a scapito della parte occidentale dell’Impero romano. Attila, oltre al pagamento del tributo annuo di 160 chili d’oro, voleva anche la mano della principessa Onoria (forse interpretando male una lettera che la donna gli aveva scritto e con la quale chiedeva il suo aiuto).

Non avendo ottenuto quanto chiedeva, nel 451, Attila passò il Reno e invase la Gallia. Ezio, senza i suoi mercenari unni, si rivolse a Teodorico I e ai suoi visigoti per fronteggiare la minaccia.

 

L’estensione dell’impero romano (giallo) e dell’impero unno (arancione) nel 450

L’invasione “La grande invasione della Gallia da parte di Attila incontrò, infatti, il suo primo scacco a Lutezia, l’odierna Parigi, quando santa Genoveffa rianimò la popolazione incitandola a resistere contro l’aggressore.

Incapace di conquistare l’imprendibile Ile de la Cité, l’orda unna si diresse allora verso Aureliana (al moderna Orléans), teoricamente difesa dagli alani che ne taglieggiavano la popolazione. Le autorità cittadine decisero di aprire le porte ad Attila, ma ancora una volta, fu un cristiano, il vescovo Anario, a incitare il popolo alla resistenza. I cittadini cristiani si posero sulle mura e, pur non essendo dei guerrieri professionisti, costrinsero gli unni a un assedio che durò settimane: poi, quando era già stata aperta una breccia, giunse notizia dell’imminente arrivo dell’esercito di soccorso comandato da Ezio, l’ultimo grande generale romano, così Attila dovette togliere il campo e rinunciare alla conquista della città.

La successiva colossale battaglia dei Campi Catalaunici suggellò il fallimento dell’invasione unna, maturato proprio in quell’assedio infruttuoso”. Le città di Treviri, Metz, Magonza, Amiens e Colonia non furono altrettanto fortunate e furono saccheggiate.

 

Il profilo di Attila in un medaglione rinascimentale

La battaglia Prima della battaglia Attila chiese consiglio ai suoi indovini. Dalle viscere degli animali emerse il vaticinio della rovina degli unni, ma anche della morte di uno dei comandanti nemici. Attila, sperando che si trattasse delle morte di Ezio, decise di sfidare la sorte: se fosse morto il comandante romano, lui avrebbe vinto la battaglia.

I due eserciti si trovarono di fronte in un luogo imprecisato tra Chalons e Troyes il 20 giugno del 451 (alcuni storici ipotizzano anche fine settembre, intorno al 27). L’unica fonte storica della battaglia viene dalla cronaca di Giordane, un goto che la scrisse un secolo dopo lo scontro, esaltando il coraggio e l’audacia delle sue genti.

“L’armata di Ezio vedeva schierati gli alani del re Sangibaldo al centro, i visigoti di Teodorico a sinistra, i soldati del comandante in capo a destra”. Attila rispondeva con uno schieramento con gli unni al centro, gli ostrogoti di Valamiro sul fianco destro e Ardarico con i suoi gepidi a sinistra.
“Poco dopo l’alba, Ezio riuscì ad anticipare l’avversario impadronendosi di un’altura situata sul fianco sinistro dello schieramento nemico, e lì si fermò, in attesa dell’attacco di Attila, che scattò solo nel pomeriggio, quando il sole era a svantaggio degli assalitori”.

La linea dei romani e degli alani resse l’urto della carica nemica e subito si accese un corpo a corpo furioso, nel quale le truppe imperiali “fecero valere la loro maggiore preparazione” e una maggiore disciplina.

 

Attila incontra papa Leone I in una rappresentazione del Chronicon Pictum, una cronaca medievale risalente al Regno d’Ungheria del secolo XIV

I visigoti, intanto, avevano attaccato l’ala opposta unna. Nonostante Teodorico cadesse, ucciso da una freccia (come avevano vaticinato gli indovini di Attila), i suoi uomini ebbero la meglio sugli avversari e, sgomberato il campo, poterono minacciare il fianco destro di Attila, rimasto scoperto. Visto il pericolo, il re unno decise per una ritirata nel suo accampamento, difendendosi fino a notte. Al mattino entrambi gli eserciti erano troppo fiaccati dalle ingenti perdite per riprendere la battaglia.

Torismundo, figlio di Teodirico, si affrettò a tornare a Tolosa per reclamare il trono. Il generale Ezio non fece nulla per trattenere l’alleato, senza il quale non aveva la forza di attaccare gli unni. Attila, considerando le forze che gli erano rimaste e il ricco bottino da mettere al sicuro, preferì sganciarsi e lasciare il campo al generale romano. Si sarebbe, comunque, ripresentato poco tempo dopo in Italia arrecando morte e distruzione l’anno successivo. Questa volta, con scarse truppe sotto il suo comando, il generale Ezio riuscì solo a rallentare l’avanzata di Attila.

Il re unno si fermò solo davanti all’insistenza di un vecchio solo: papa Leone I (così almeno vuole la leggenda).

Umberto Maiorca

Bibliografia:
Renzo Rossi, Dizionario delle grandi battaglie, Vallardi, 1996
Alberto Leoni, Storia militare del Cristianesimo, Piemme, 2005
Andrea Frediani, I grandi condottieri che hanno cambiato la storia, Newton compton, 2011
Paul K. Davis, Le cento battaglie che hanno cambiato la storia, Newton compton, 2006
Giorgio Ravegnani, Ezio, Salerno editrice, 2018