Fibonacci, il genio dei numeri

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La matematica, l’algebra, la geometria non sarebbero probabilmente quelle che conosciamo oggi senza l’opera paziente e preziosa di un personaggio che ha dedicato la sua vita allo studio e alla divulgazione della scienza dei calcoli e dei solidi. Ci riferiamo a Leonardo Fibonacci, altrimenti detto Leonardo Pisano a causa delle sue origini, vissuto tra il 1170 e il 1242, sebbene tali date non siano del tutto attendibili.

Leonardo Pisano detto il Fibonacci – Dall’opera I benefattori dell’umanità, volume VI, Firenze, Ducci 1850

Divenuto celebre per la cosiddetta “successione del Fibonacci”, che consiste in una sequenza numerica che egli aveva con ogni probabilità conosciuto nel mondo arabo-islamico dove aveva viaggiato, riguardo la sua vita le notizie non sono molte.

Sappiamo che nacque nel Quartiere di Mezzo a Pisa dalla famiglia di Guglielmo Bonacci, presente nella città toscana fino dall’XI secolo e il cui capostipite era tale Bonito. Siamo anche al corrente che aveva un fratello, Bonaccingo, al quale Leonardo fece da procuratore in occasione dell’acquisto di un appezzamento di terra con alcuni edifici e una torre che si trovavano poco fuori Pisa. Si deduce da ciò che la famiglia del Fibonacci fosse piuttosto facoltosa e appartenesse a quella borghesia mercantile pisana che aveva contribuito a far grande la repubblica marinara. Ne è conferma l’incarico che il padre ricevette dalla Repubblica, del quale Leonardo parla nella sua opera più famosa: il Liber Abbaci. Guglielmo fu infatti nominato publicus scriba nella città di Bugia, vicino ad Algeri, un incarico di prestigio in quanto egli rappresentava Pisa per tutto ciò che atteneva ai commerci nei porti più importanti del Mediterraneo.

Il giovane Fibonacci frequentò probabilmente la scuola della Cattedrale di Pisa e in seguito è quasi certo che abbia proseguito i suoi studi, incentrati particolarmente sulla matematica, presso un fondaco di proprietà di un amico del padre, per conseguire il titolo di contabile. In seguito Leonardo raggiunse il padre in Nord Africa dopo qualche tempo dal suo trasferimento, e qui confermò il grande interesse per lo studio della matematica. Aveva presto imparato a conoscere le nove cifre arabe, che egli definiva indiane. Grazie anche all’attività diplomatico-commerciale paterna, Fibonacci ebbe occasione di viaggiare molto: Sicilia, Grecia, Provenza, ma anche Egitto e Siria furono le mete da lui toccate.

Le principali rotte commerciali mediterranee nel basso Medioevo (worldmap.harvard.edu)

L’incontro con Federico II Nel corso di tali viaggi continuò a coltivare i suoi studi matematici e ad accrescere le sue conoscenze in materia, tanto che verso la fine del XII secolo ebbe l’opportunità di partecipare a una sorta di certamen con alcuni celebri matematici presso Costantinopoli.

Era inoltre in contatto con gli studiosi siciliani ospitati presso la corte dell’imperatore Federico II. Nel 1226 Leonardo incontrò a Pisa l’imperatore svevo che lo accolse con grande entusiasmo insieme alla Magna Curia al completo. Federico era molto affascinato dagli studi del matematico pisano, con il quale restò in contatto epistolare, in quanto il sovrano era in grado di comprendere appieno la portata innovativa e il valore delle opere scientifiche di Leonardo, che volle dedicare proprio a Federico il Liber Quadratorum, dove erano raccolte alcune questioni relative alle equazioni quadrate e cubiche, che, nel corso dell’incontro di Pisa tra il matematico e il sovrano svevo, erano state discusse sotto l’egida del filosofo di corte Giovanni da Palermo.

Tra gli scienziati della corte federiciana si trovava anche il già celebre filosofo scozzese Michele Scoto con il quale Fibonacci era in contatto e che considerava uno dei suoi mentori. Fu proprio lo Scoto a consigliare a Leonardo di riscrivere e rivedere il Liber Abbaci, la cui prima stesura risale al 1202, mentre la seconda vide la luce nel 1228. Leonardo, divenuto oramai famoso, ricoprì importanti incarichi amministrativi a Pisa, dove i suoi concittadini lo avevano scherzosamente denominato il bigollone, o bigollo, ovvero il viaggiatore.

Un’altra opera di grande rilievo del Fibonacci è un trattato di agrimensura che si intitola Practica Geometriae, incentrato sulle tecniche di misurazione delle figure piane, grazie al quale diventava possibile, o comunque più agevole, misurare con esattezza le parcelle di terreno, con notevoli vantaggi dal punto di vista non soltanto scientifico ma anche commerciale.

Tra Pisa e il Maghreb Seguendo le vicende di Leonardo Fibonacci e del padre, si può gettare lo sguardo sui rapporti tra la Repubblica di Pisa, nell’epoca del suo massimo splendore, e il Maghreb, più vastamente sui traffici tra la città toscana e il mondo islamico mediterraneo.

Porto Pisano, uno degli antichi sistemi portuali a servizio della città di Pisa (bassorilievo sulla Torre di Pisa)

I mercanti pisani esercitavano la loro attività in quella porzione d’Oriente che dalla Persia giunge fino al sud della Spagna, passando per le coste meridionali e orientali del Mediterraneo. Se in una prima fase tali rapporti furono incentrati sul conflitto armato, non si dimentichi che Pisa aveva conquistato Maiorca tra il 1113 e il 1115, mentre poco prima la marineria pisana aveva messo a sacco Mahdia, Maiorca, Bona e Palermo, fino ad allora in mani mussulmane, in una seconda fase prevalsero gli scambi e i trattati commerciali, segno evidente che la situazione era parecchio mutata avendo raggiunto comunque un equilibrio assai stabile.

Un primo trattato commerciale fu stipulato dalla Repubblica con il califfo Abu Yaqub Yusuf, a capo dell’impero Almohade, che comprendeva, fra XII e XIII secolo, il vasto territorio che va dall’Andalusia al Mahgreb, includendo l’area orientale dell’Africa. Erano gli anni in cui operava il padre del Fibonacci, Guglielmo, la politica pisana come già abbiamo osservato era profondamente mutata e l’obiettivo principale della Repubblica era quello di rendere sicura la vita e l’attività dei mercanti, i quali rappresentavano la vera fonte di ricchezza della città di Pisa.

Bugia, oggi Béjaïa, vicinissima ad Algeri, era un porto di grande interesse mercantile, in quanto centro dal quale partiva la maggior parte dei cereali, ma anche la seta e le spezie, alla volta dei più importanti porti mediterranei. Da lì giungevano a Pisa anche i pellami e la cera d’api.

L’ambito socio-economico e culturale in cui si trovò a vivere e a studiare Leonardo Fibonacci, era quello tipicamente mediterraneo: caratterizzato dalle fedi religiose e dalle culture islamica, cristiano-occidentale, bizantina, contrassegnato da una fitta, complessa rete di rapporti commerciali e culturali, inframezzati da momenti di crisi, dovuti principalmente a quelle che con una certa improprietà siamo soliti definire crociate.
Come quella veneziana del 1204 e, più di quarant’anni dopo, la crociata di Luigi IX di Francia, entrambe foriere di pesanti contraccolpi in tutta l’area mediterranea.

È in tale contesto che il Fibonacci imprime ai suoi studi matematici una valenza pratica e concreta, preludio a quei manuali di mercatura che diverranno punto di riferimento per il commercio mediterraneo durante il basso Medioevo. Tommaso Fanfani ha giustamente definito Fibonacci

come l’innovatore più originale anche in materia di contabilità, l’iniziatore della prima rivoluzione commerciale del mondo occidentale, il primo che ricercò, nello studio dei numeri, gli strumenti insostituibili agli interessi del mercato

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Un foglio del manoscritto su pergamena del Liber abbaci conservato nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze

Il Liber Abbaci Il prezioso libro fu scritto nel 1202 e rivisto dall’autore stesso nel 1228. Il titolo si può correttamente tradurre come Libro del calcolo. Alcuni preziosi esemplari del Liber abbaci, nel rifacimento del 1228, dato che del primo non ne è rimasto nessuno, sono conservati presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, la Biblioteca Vaticana di Roma e la Biblioteca Comunale di Siena.

I manoscritti risalgono al XIII secolo, inizi del XIV, sono scritti in latino, e rappresentano dei rari gioielli grazie all’abilità dei copisti. Il primo di questi proviene dalla Badia Fiorentina; la segnatura è: conventi soppressi C.I. 2616, a sottolineare come sia passato alla Biblioteca fiorentina dopo che Napoleone Bonaparte, tra il 1808 e il 1810, aveva appunto imposto la soppressione dei conventi. Si compone di duecentoquattordici carte in pergamena, dove si trovano disegnate, tra l’altro, le sequenze numeriche, le figure geometriche e i calcoli algebrici.

Le raffinate miniature dei capilettera impreziosiscono il codice insieme alla legatura, anch’essa molto bella. Un altro codice che contiene il Liber Abbaci proviene dall’eredità Magliabechi. Sappiamo quanto Antonio Magliabechi, uomo di profonda erudizione, amasse i libri, tanto da essere nominato bibliotecario della Biblioteca Palatina di Firenze da Cosimo III de’ Medici. Il manoscritto Magliabechiano XXI fa dunque parte del fondo storico della Biblioteca Nazionale e l’ipotesi è che vi sia entrato appena dopo il 1714, alla morte del Magliabechi. Anch’esso è scritto su pergamena, riporta raffinate miniature, ma avrebbe tuttavia bisogno di un consistente restauro. Nell’esemplare conservato a Siena manca il capitolo quindicesimo mentre quello della Vaticana manca del decimo.

Il Liber è dedicato al celebre astrologo e filosofo scozzese Michele Scoto, che il Fibonacci considerava il suo maestro. Nel testo vi sono alcuni capitoli dedicati alla risoluzione di problemi commerciali, altri sono dedicati ad insegnare il metodo di estrazione delle radici quadrate e cubiche, le regole del tre e le progressioni. Il capitolo più importante dell’opera è senz’altro il quindicesimo, dove l’autore pone il suo trattato di algebra, termine con il quale Fibonacci traduceva il vocabolo arabo al-giaba wal-muqabala, che equivale a restaurazione e opposizione.

Alcuni capitoli del Liber Abbaci sono dedicati alla mercatura. Nell’VIII ad esempio si parla dello scambio e della vendita di “cose venali e simili”; nell’IX il tema è quello del baratto e delle sue regole, mentre nel X si forniscono istruzioni riguardo le società commerciali e il ruolo dei consoci.
Una parte importante del libro di Fibonacci riguarda il cambio delle monete, i pesi e le misure dei diversi paesi, messe in rapporto tra di loro, i prestiti e le operazioni finanziarie.

In sintesi, come ebbe ad affermare Marco Tangheroni “una utilizzazione minuziosa del Liber potrebbe molto aiutare a tracciare un quadro del commercio alla fine del XII secolo”. Non a caso nel terzo capitolo Leonardo indica regole precise di natura contabile, che il tesoriere deve seguire per la registrazione delle spese di esercizio di una nave mercantile. Di particolare importanza per la storia della ragioneria, è il dodicesimo capitolo, illustrato nei codici con numeri in cifre sparsi sulla pagina in pergamena, lì Fibonacci risolve diversi problemi di matematica applicata e di tecnica mercantile, solo accennati in parti precedenti. Una delle regole enunciate dal Fibonacci è di porre particolare attenzione a descrivere nella tabula lineata il prezzo di ognuna spesa,

collocando le lire sotto le lire…. e fare cum cautela la somma

Come osserva Gino Arrighi “ Il Liber Abbaci troverà posto in una scaffa dei più importanti banchi onde poter svolgere facilmente i calcoli per un piano d’ammortamento o per scegliere la moneta più conveniente per effettuare pagamenti su una determinata piazza”.

Monumento a Fibonacci di Giovanni Paganucci nel Camposanto di Pisa

Possiamo dunque inscrivere questa parte del Liber in una pratica di mercatura ante litteram. Ne è la riprova il fatto che Leonardo, una volta rientrato in patria dopo il lungo soggiorno in Nord Africa e nel Vicino Oriente, nel 1241, ebbe dal governo di Pisa il delicato incarico di riorganizzare la contabilità pubblica. Un riconoscimento di grande prestigio dunque, in quanto assieme alle oramai affermate e riconosciute doti scientifiche di grande matematico, si aggiungevano le straordinarie qualità tecniche di ragioneria, essenziali per una città come Pisa che aveva le sue propaggini commerciali in tutto il Mediterraneo e che l’uso del Liber Abbaci avrebbe aiutato a migliorare e incrementare.

Ma quali sono state le fonti delle quali il matematico pisano si è servito per elaborare la sua maggiore opera scientifica? Anche a tale proposito possiamo formulare solo delle ipotesi, sebbene piuttosto attendibili.

Nel suo testo, dal titolo: I numeri magici di Fibonacci, Keith Devlin, docente di matematica all’Università di Stanford, sostiene che egli abbia senz’altro conosciuto le opere di al-Khwārizmī, in particolare: Aritmetica mentre l’altra fondamentale fonte si riferisce al Libro sull’Algebra di Abū Kāmil.
“Confrontando alcuni passi del Liber abbaci e della traduzione dell’Algebra fatta da Gherardo da Cremona, – sottolinea Devlin – la studiosa contemporanea Nobuo Miura ha scoperto che molti dei novanta problemi riportati nel capitolo di Leonardo sull’algebra, sono tratti direttamente dal testo di al-Khwārizmī”.

Gli arabi avevano importato dall’India i numeri di cui noi oggi ci serviamo. All’incirca nel 700 d.c. il sistema numerico oggi usato era stato completato, mentre la cosiddetta “rivoluzione dello zero”, la si deve al grande matematico indiano Brahmagupta, vissuto nel VI secolo d.c. nella regione indiana del Rajasthan. Egli elencò le proprietà dello zero tra le quali il fatto che sommato o sottratto a un altro numero quest’ultimo resta invariato e inoltre che un numero moltiplicato per zero dà zero come risultato. Fibonacci deve essere rimasto letteralmente affascinato da questa scoperta, che a noi oggi può apparire addirittura banale, tanto da farne il perno della sua vita di studioso e di matematico.

Alessandro Bedini

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