Simonino da Trento nell’arte di Valle Camonica

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Simonino (particolare di affresco, fine sec. XV, chiesa di San Giorgio, Niardo)

La sera del giovedì santo del 1475, a Trento scomparve un bambino di due anni e mezzo, di nome Simone.

Il suo corpo straziato fu ritrovato il giorno di Pasqua nel quartiere ebraico della città.

Gli ebrei furono incolpati di averlo ucciso con un rito crudele, per raccogliere il sangue con cui impastare il pane azzimo pasquale.

Il vescovo Giovanni Hinderbach organizzò un processo-farsa a conclusione del quale gli uomini ebrei furono condannati al rogo, le donne forzatamente convertite.

Il corpo del piccolo Simone fu esposto sull’altare della chiesa di San Pietro e, a soli quattro giorni dal ritrovamento, si iniziarono a registrare miracoli. Nonostante le riserve delle autorità ecclesiastiche, il piccolo Simone fu informalmente proclamato martire e santo; il suo culto conobbe un’immediata diffusione in area trentina e bresciana, per poi propagarsi altrove.

La vicenda,  ricostruita sulla base delle dichiarazioni estorte nel corso del processo, diventò il fulcro di una campagna denigratoria attentamente progettata, finalizzata a ribadire la pericolosità teologica, sociale ed economica degli ebrei.

Non c’è qui spazio per indagare le motivazioni contestuali di tale recrudescenza antisemita, peraltro ricostruita da molti studiosi. Mi limiterò a osservare il ruolo attribuito alle immagini, consapevolmente ed efficacemente utilizzate quale strumento di propaganda e sapientemente costruite per coinvolgere e manipolare i sentimenti di un pubblico vasto e incolto.

Con impressionante tempismo, il beato Simonino entrò nel pantheon della santità evocata e convocata nelle chiese, sia con le raffigurazioni del martirio che in figura stante. La narrazione della vicenda attinse alla Passio Beati Simonis pueri Tridentini redatta da Giovanni Maria Tiberino, il medico che eseguì l’autopsia.  Le xilografie allegate alla Passio fornirono modelli iconografici replicati, con varianti non sostanziali, nei diversi contesti locali.

Analizzerò brevemente il caso e i casi di Valle Camonica e Sebino, dove si conservano anche tre brevi (e rari) cicli.

Quello posto in esterno sulla facciata laterale della chiesa di Sant’Andrea di Malegno è in grande evidenza e fruibile dai passanti. Come gran parte delle opere di seguito citate, è attribuito alla bottega di Giovan Pietro da Cemmo e databile a fine XV secolo.

Il piccolo ciclo comprende quattro episodi, di cui due dedicati al rapimento di Simonino. Con evidente squilibrio nel tempo della narrazione, la soluzione suscitava un ribrezzo istintivo proponendo l’ebreo come ladro di bambini prima ancora che anticristiano e usuraio. Nella scena introduttiva Tobia (che in quanto medico poteva aggirarsi per la città in deroga al divieto imposto agli ebrei durante la settimana santa) adesca il bambino (fig. 1); nella seconda, con fare sospettoso e guardingo, lo rapisce e lo affida a un complice (fig. 2). La collocazione in contesto ebraico, che nella versione a stampa è affidata al cappello a punta indossato da tutti gli adulti, è qui delegata al banco dei pegni sullo sfondo.

Fig. 1 - Giovan Pietro da Cemmo, L’adescamento di Simonino, da Storie di Simonino, fine XV secolo, chiesa di Sant’Andrea Vecchio, Malegno

Fig. 2 - Giovan Pietro da Cemmo, Il rapimento di Simonino, da Storie di Simonino, fine XV secolo, chiesa di Sant’Andrea Vecchio, Malegno

Fig. 3 - Giovan Pietro da Cemmo, Il martirio di Simonino, fine XV secolo, Oratorio dei Disciplini, Cerveno

Fig. 4 - Giovan Pietro da Cemmo, Il martirio di Simonino, fine XV secolo, chiesa di Santa Maria Rotonda, Pian Camuno

La superficie pittorica del terzo e quarto episodio è deteriorata, ma si intravedono il martirio e il corpo di Simonino esposto sull’almemor a subire le ingiurie degli ebrei.

Nella chiesa di Santa Maria Vecchia a Gussago sono raffigurati il rapimento, il martirio e la deposizione. Ampie lacune dello strato pittorico ne compromettono la lettura. Di grande interesse è la datazione iscritta, 1476, a confermare la solerte diffusione del culto.

Nella chiesa di San Bernardo a Zurane di Provaglio il breve ciclo, piuttosto ingenuo e con tracce di sfregio materiale e simbolico soprattutto sui volti del carnefici,  si sviluppa in tre episodi: il martirio, l’esposizione del corpo di Simonino alla venerazione di alcuni fedeli inginocchiati e il suo trionfo. In quest’ultimo, come un Cristo risorto il bambino si erge su alcuni dormienti, probabilmente ebrei, impugnando palma e vessillo.

La scena del martirio conobbe vasta diffusione anche come episodio singolo ed estrapolato dal racconto (figg. 3 e 4). Con scelta funzionale esponeva l’avvenimento emotivamente più intenso, da solo capace di suscitare le reazioni programmate. Evocando temi classici della perversione (l’infanzia, la sessualità e il sangue) provocava orrore e repulsione. Deviava inoltre tali sentimenti dal contingente al generale, poiché i protagonisti dell’omicidio non sono gli ebrei trentini ma gli ebrei, la loro azione non è accidentale ma rituale e premeditata, la loro malvagità non è occasionale ma genetica.

Nella scena del martirio Simone è straziato con strumenti taglienti ed appuntiti; il suo sangue è raccolto in una bacinella, che in alcune versioni assume forma di calice con evidente allusione e parallelismo simbolico con il sacrificio di Gesù e il calice eucaristico. Nell’immaginario popolare l’ebreo che sottraeva il sangue di Simone, bambino innocente e indifeso, diventava metaforicamente l’usuraio che succhiava il sangue dei poveri cristiani.

Le vistose ferite sono distribuite sul corpo in modo vario e quasi decorativo: sempre segnalata e grondante sangue è quella al sesso del bambino, con esplicita allusione e denuncia del rito della circoncisione. Simone è trattenuto a braccia aperte: i carnefici che si accaniscono sul suo corpo colpiscono indirettamente l’immagine del Cristo crocifisso, rinnovando simbolicamente il deicidio di cui erano ritenuti responsabili.

Il bambino non oppone resistenza e sopporta la tortura con rassegnazione, come un Cristo crocifisso o altri martiri sottoposti a crudeli supplizi, dignitosi e sereni poiché vittoriosi sul male. Impassibili e insensibili, i carnefici operano con precisione quasi chirurgica. Partecipa al rito un sacerdote e compare spesso la fisionomia convenzionale e caricaturale dell’ebreo con il volto scavato, il naso pronunciato e il mento aguzzo.

Accanto ai carnefici è spesso inserita una donna: la sua presenza non attiva visualizza il ruolo delle donne trentine che, pur non partecipando direttamente all’omicidio, lo avevano approvato e avevano condiviso con gli uomini i riti ad esso successivi.

I personaggi sono eleganti: abiti e copricapo hanno fogge, colori e tessuti vistosamente costosi. Alcune disposizioni suntuarie li proibivano agli ebrei, ma la loro esibizione era sconsigliata anche da norme interne. Ostentandoli l’ebreo suscitava infatti invidia o risentimento, poiché la sua ricchezza era percepita come indebitamente accumulata a scapito dei cristiani.

Gli ebrei dovevano apporre all’abito segni di riconoscimento: in territorio bresciano la rondella gialla cucita sul vestito, resa obbligatoria con disposizioni emanate nel 1422, 1461 e 1476. La rondella gialla compare, per esempio, nel Martirio dell’oratorio di Cerveno, in Santa Maria Rotonda a Pian Camuno e in Santa Maria Assunta a Esine. In altri siti gli ebrei indossano cappelli appuntiti, adottando il segno di riconoscimento e l’attributo iconografico ricorrenti in area germanica.

Simonino è infine raffigurato in versione stante. In piedi, si erge su un basamento/altare a volte coperto da candida tovaglia (fig. 5). È solitamente nudo, per esibire il corpo straziato e il sesso sanguinante. Porge il coltello, la tenaglia e a volte la palma, strumenti e simbolo del martirio; ha spesso accanto la bacinella entro cui fu raccolto il suo sangue e, attorno al collo o sull’avambraccio, il telo con cui fu trattenuto o soffocato.

In altri pannelli votivi compare vestito. La velatura del corpo ne attenuava di molto la drammaticità e la valenza antiebraica, trasformandolo in un santo bambino. Gli strumenti del martirio, che sono attrezzi di mestiere, insieme al grembiulino sovrapposto alla veste gli conferirono l’aspetto di un piccolo artigiano protettore degli artigiani (fig. 6).

Come san Sebastiano, per assonanza tra ferite e piaghe fu inoltre probabilmente invocato contro la peste, come pare confermare un dipinto in San Giorgio a Niardo, dove non solo è accostato a san Rocco ma ne imita il gesto convenzionale di abbassare la calza per mostrare il bubbone (fig. 7).

È significativo che in Valle Camonica, come altrove, la raffigurazione di Simonino si intensifichi nei paesi in cui funzionavano i Monti di Pietà e nei centri economici più attivi, dove era usuale il ricorso ai prestatori ebrei. La manipolazione della vicenda fu  infatti funzionale, oltre che alla repressione della differenza religiosa, all’espulsione di una minoranza finanziariamente invadente se pur numericamente irrilevante. La motivazione religiosa offrì dunque il paravento a ben altri interessi: come insegna la storia e come il presente conferma.

Fig. 5 - Giovan Pietro da Cemmo, Simonino, fine XV secolo, chiesa di Sant’Antonio, Breno

Virtus Maria Zallot

Fig. 6 - Giovan Pietro da Cemmo, Simonino, fine XV secolo, chiesa di Santa Maria Annunciata, Bienno

Fig.7 – Simonino come san Rocco, fine XV secolo, chiesa di San Giorgio, Niardo