Il culto di san Giacomo in Spagna ha un’origine molto romanzesca e, nel perfetto stile delle cronache altomedievali, ricca di immaginazione, mistero e fascino.
Da un colle coperto da una fitta macchia, sperduto tra le foreste e i boschi di querce della Galizia, all’inizio dell’IX secolo ogni notte giungevano alle orecchie dei contadini e dei pastori musiche celestiali, accompagnate da bagliori di luci ultraterrene. Simili a stelle nel cielo – ma sorgenti da terra – furono probabilmente queste luci a dare il nome al luogo: Campus Stellae, cioè campo della stella. Anche se molti storici – come sempre accade quando la battaglia dell’erudizione si accende in tutta la sua virulenza – hanno ipotizzato altre etimologie, come la derivazione da compositum, cioè cimitero. Fatto sta che, dove i poveri contadini analfabeti non potevano arrivare, giunse invece il santo eremita Pelagio, grazie al quale la novella di questi eventi miracolosi si diffuse tra preti e nobili, fino a raggiungere il potente Teodomiro, vescovo della vicina città di Iria Flavia. Dopo aver sostato tre giorni in preghiera nel punto indicato dal ripetersi dei portenti, in attesa di un segno divino che lo confortasse nel suo proposito, Teodomiro decise di dare il via agli scavi sulla collina di Compostela: in breve, dal tumulo iniziarono a fare capolino resti di marmo, poi di mosaico, infine la porta sbarrata di un piccolo monumento sepolcrale. Dove, ai piedi di un altare, giaceva sepolto un santo, che dai resti degli affreschi quasi svaniti sulle pareti venne immediatamente identificato come san Giacomo il Maggiore, fratello di Giovanni e discepolo di Cristo. L’Historia Compostelana, conservata nella cattedrale dedicata a Santiago, narra che il vescovo
…dopo il ritrovamento, rendendo grazie a Dio si recò alla presenza del Re Alfonso il Casto, che allora regnava in Spagna […] Il Re stesso, emozionato per una tale notizia, con grande premura venne in queste regioni e, restaurata la chiesa in onore di un così grande apostolo, trasferì l’episcopato dalla sede iriense al luogo che si chiama Compostela…
Questa, in poche parole, la storia dell’inventio del sepolcro dell’apostolo, che gli studiosi situano tra l’820 e l’830, già che di Teodomiro, reso celebre dalla sua scoperta, conosciamo solo la data della morte, avvenuta nell’847, in seguito alla quale il sant’uomo ebbe l’onore di essere sepolto in una piccola tomba a due passi dal sepolcro dell’apostolo Giacomo.
Ovviamente difficile, se non impossibile, giudicare la fondatezza della leggenda: decine e decine di volumi sono stati scritte a sostegno della sua veridicità, ma altrettanti – forse qualcuno in meno – sono i testi scettici sulla realtà storica della sacra sepoltura.
Rimangono certamente alcuni dati archeologici degni di nota, come i risultati degli scavi effettuati sotto le navate della cattedrale di Santiago alla fine dell’Ottocento, da cui emersero effettivamente i resti di tre corpi, identificati con Santiago e i suoi due discepoli prediletti, Teodoro e Atanasio. Ma restano in sospeso non poche domande. Come quella, fondamentale, sul perché, in una regione a forte presenza cristiana fin dai primi secoli della nostra era, si fosse persa la conoscenza di una tomba così importante per la religione e la fede popolare.
Certo della presenza del corpo di san Giacomo è, ovviamente, Aymeri Picaud, autore secondo la tradizione del Liber Sancti Jacobi, che dichiara seccamente: «Arrossisca dunque di vergogna chi, invidioso, al di là dei monti sostiene di custodirne parti o reliquie».
Dubbi o granitiche certezze a parte, lo sviluppo di Santiago, oramai inseparabile dal culto del suo apostolo, fu travolgente. Sul sepolcro appena scoperto venne costruita una piccola chiesa, presto sostituita nell’899 da una più grande, in grado di accogliere i fedeli, mentre il re Alfonso II dotava i dodici monaci che vi risiedevano in preghiera di numerosi privilegi, anche territoriali.
I pellegrini iniziarono a giungere – si narra – quando la chiesa era ancora in costruzione e possedeva solo tre ettari di terreno. Poi vennero le mura e le torri difensive della cittadina, mentre i possedimenti ecclesiastici salivano da 85 km2 a 240 nell’anno 858.
Compostela cresceva attorno alla sua tomba miracolosa grazie anche alle nuove consuetudini approvate dalla nobiltà: tutti i servi della gleba che risiedevano almeno 40 giorni entro le mura avevano il privilegio di tornare immediatamente uomini liberi.
Nell’anno 950 Godescalco, vescovo di Le Puy, decise di raggiungere Compostela. Il suo viaggio, che si sarebbe rivelato una vera e propria promozione internazionale per il Camino, è stato narrato dall’abate Gomez del convento di San Martino d’Abbada, vicino a Logroño, con queste parole:
Il vescovo Godescalco, animato da un’aperta devozione, ha lasciato il suo paese d’Aquitania, accompagnato da un grande corteo, dirigendosi verso l’estremità della Galizia per toccare la misericordia divina, implorando umilmente la protezione dell’apostolo Giacomo.
Incuriositi da tutto questo movimento alle porte dei loro regni – o forse attratti dalla prospettiva di un ricco bottino – gli arabi di Spagna decisero di calare su Santiago: nel 997 la spedizione militare di al-Mansur mise a ferro e fuoco Compostela; si salvò solo il sepolcro, attorno a cui sarebbe nata la terza chiesa.
La diffusione del culto, il flusso di pellegrinaggio e lo sviluppo della cittadina però non si fermarono, e sarebbero poi sempre andati di pari passo.
Nel 1075 il vescovo Diego Peláez pose la prima pietra della quarta chiesa, già che la terza, terminata pochi anni prima, si era rivelata troppo angusta per accogliere le folle di fedeli che accorrevano in Galizia – precisa il libro V del Liber Sancti Jacobi – lungo i «quattro itinerari che a Puente la Reina si riuniscono in uno solo». I viaggiatori provenivano dai paesi più diversi, vicini e lontani. Nell’elenco riportato da Aymeri Picaud vengono citati ben 74 popoli differenti, tra cui addirittura gli «indii, gli etiopi, gli asiatici e gli empi navarri».
Oggi, lungo il Camino, si incontrano cabine telefoniche, internet café, wifi quasi ovunque e pellegrini che, seduti all’ombra di un albero, chiamano i propri cari parlottando in cellulari dell’ultima generazione, con tanto di suonerie polifoniche e luci colorate che brillano nella sera. A Santiago e al suo Camino sono dedicate decine di siti web in tutte le lingue, da quelli più ufficiali ai più mistici, dalle pagine private, ricordo di un cammino percorso in compagnia, a quelle meno attendibili. Nell’epoca della comunicazione istantanea appare veramente difficile comprendere come il culto di Santiago abbia potuto diffondersi in tutta Europa a una velocità così sorprendente nel lontano X secolo. Se i primi pellegrini giunsero fin qui quando la chiesa era ancora in costruzione, un motivo ci deve pur essere stato.
Certamente, nell’alto Medioevo come oggi, la pubblicità era in fondo l’anima degli eventi di massa. E vero motore della promozione della chiesa di Compostela e della venerazione dell’apostolo fu la casa regnante di León, desiderosa di uscire da un isolamento drammatico in cui era stata relegata, non molti decenni prima, dalla veloce conquista araba di quasi tutta la penisola iberica (conquista che si era in realtà spinta ben più lontano, fino quasi alle porte di Parigi). Nelle mani dei cristiani erano rimaste solo piccole enclavi isolate come, appunto, i regni montagnosi di Navarra e León, tagliati fuori dalla rete di commerci, traffici e contatti che tesseva le proprie fila attraverso il mondo cristiano d’Europa.
Testimone dell’importanza del Camino è Dante, che nella Vita Nova chiarisce la differenza tra le varie vie della fede medievale:
Peregrini si possono intendere in due modi, in uno largo e in uno stretto: in largo, in quanto è peregrino chiunque è fuori de la sua patria; in modo stretto, non s’intende peregrino se non chi va verso la casa di sa’ Jacopo o riede. E però è da sapere che in tre modi si chiamano propriamente le genti che vanno al servigio de l’Altissimo: chiamansi palmieri, in quanto vanno oltremare, là onde molte volte recano la palma; chiamansi peregrini, in quanto vanno a la casa di Galizia, però che la sepoltura di sa’ Jacopo fue più lontana de la sua patria che d’alcuno altro apostolo; chiamansi romei, in quanto vanno a Roma.
Famoso, amato e celebrato. Così fu il Camino nei suoi secoli d’oro, all’incirca tra il X e il XIII secolo. Percorso da nobili e da poveri, da ricchi e da santi. Come Francesco d’Assisi, che probabilmente camminò verso Santiago tra il 1213 e il 1215. Non da solo, come narrano le cronache:
Al principio e cominciamento dell’Ordine, quando erano pochi i frati e non erano ancora presi i luoghi, Santo Francesco per sua divozione andò a Santo Jacopo di Galizia e menò seco alquanti frati…
Fabrizio Ardito
Il testo di questo articolo è tratto dal libro dello scrittore, giornalista e fotografo Fabrizio Ardito “Peregrinos”. 33 giorni a piedi lungo il Camino de Santiago”, edito dal Touring Club Italiano nella collana Geografie (2020). Per i titoli del Touring Club Italiano Ardito ha pubblicato anche due volumi illustrati e un taccuino di viaggio oltre a varie edizioni della Guida Verde.