Un gioiello grezzo, una perla romanica persa da una mano stanca, e lasciata cadere dove capitò, su una balza presso Rosciolo, ai piedi del monte Velino: tra le tante bellissime chiese romaniche d’Abruzzo, Santa Maria in Valle Porclaneta è forse la più conturbante e la più suggestiva.

Santa Maria in Valle in Porclaneta (Foto: FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano)
Poco più che una struttura agreste, a vederla sul fronte, sghembo e povero; poco più che un’aia il sagrato, da cui si accede alla chiesa attraversando un portico. Poi, però, all’interno la magia è intensa, ed è fatta di pietra e stucco di un bianco che tutto rende uniforme e confonde.
Nell’atmosfera sospesa di questo interno, ci si accorge appena che anche questa chiesa è divisa in tre navate, incerte, a cui si aggiunge un’aula ulteriore che si apre in più sulla destra. Sembra invece di essere in un’unica aula, non vasta, in cui i pilastri antichi sorgono dall’antico pavimento, e portano verso l’alto gli antichi capitelli; e dentro l’aula – che quasi non sai se è coperta a volta o in legno – una serie di arredi di strepitosa coerenza, bianchi tutti, parlano tra di loro e si contendono lo sguardo del visitatore. Sulla sinistra un ambone di spettacolare bellezza, opera del pieno XII secolo, è come sposato all’iconostasi che, subito oltre, espone le sue quattro bianche esili colonnine, e le due lastre di marmo scolpite ruvidamente: e quella di destra è tutta un incedere di animali in parata. Da lì in poi, l’altra metà della chiesa prosegue verso l’abside; e questa zona presbiteriale è dominata dal ciborio, bianco anche questo, anche questo splendidamente traforato, opera delle stesse mani – quelle di Roberto e Nicodemo, mastri della scultura in stucco – che firmarono l’ambone.

Un capitello stupefacente
Santa Maria in Valle Porclaneta, con questi suoi arredi che pure sono pezzi di storia dell’arte medievale, è concretissimo luogo di produzione artistica; e però è così bella e così tutta atmosfera e fascino, che non la si potrebbe immaginare più magica – e in questo forse richiama un’altra chiesa che sembra uscita da un film fantasy, quella Santa Cristina de Lena che, grigia, non bianca, siamo andati a scoprire nelle Asturie -. Tutto sembra fatto, anche in questa Santa Maria di Rosciolo, per accontentare il nostro desiderio di sogni e di magia. E meraviglia soprattutto il dialogo tra l’ambone e il ciborio, di orgogliosa ricchezza, e certi capitelli sconcertanti, tanto primitivi da sembrare scolpiti nella preistoria, o affidati dagli scalpellini ai ragazzi del luogo, per una prima prova di scultura, o forse ancora ai novizi del monastero in cui sorgeva la chiesa. E mentre ambone e ciborio sono un capitolo chiaro e ricercato della storia della scultura del territorio, i capitelli sembrano essere quasi il prodotto di un gioco, quasi un atelier; e però non una sola scheggia di contrasto li contrappone a quant’altro nella chiesa la fa bella e specialissima.

L’iconostasi e l’ambone
L’insieme certamente affascina. Santa Maria in Valle Porclaneta certifica che l’Abruzzo romanico, terra comunque povera di blasone, ha ben poco da invidiare alle più nobili regioni vicine – alla Puglia, all’Umbria, anche alla Toscana – non solo per il numero dei siti romanici giunti fino a noi, ma anche per il fascino di questi. Le bellezze di questa chiesa, contemporaneamente preziose e rustiche, bastano a ricordarlo.
Giulio Giuliani
L’articolo è pubblicato sul blog beforechartres