Paperone de’ Paperoni? Era un vescovo

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Fotomontaggio PaperoneCosa c’entra zio Paperone con un frate medievale? Beh, il nome è lo stesso. Ma la differenza la fa la storia. Lo zio tirchio e ricchissimo di Paperino è nato dalla fantasia di Carl Barks, geniale fumettista della Disney.
Paparone de’ Paparoni, invece, è esistito davvero.

Nacque da una antichissima e nobile famiglia romana, in una data imprecisata della prima metà del Duecento. E morì nel 1290 a Spoleto, città della quale era arcivescovo ormai da cinque anni. Nei venti anni precedenti (1265-1285) fu l’amatissimo presule di Foligno.

Il suo sguardo, vivo e curioso sulle cose del mondo, ancora oggi incontra quello dei visitatori del palazzo arcivescovile di Spoleto davanti a un bel ritratto, dipinto a tempera su un muro nell’anno 1720, più di 400 anni dopo la sua morte. La data che emerge nel cartiglio sottostante ricorda il trionfale arrivo di Paparone nella città dei Duchi: 1285. E la scritta sottostante, in latino, chiarisce all’istante quella che fu, per tutta la vita, la missione del religioso: “Paparonus de Paparonis” era un domenicano, come Sant’Alberto Magno, San Tommaso d’Aquino, Giovanni Taulero e altri grandi personaggi del Medioevo.

Apparteneva all’Ordine dei Frati Predicatori, fondato da San Domenico di Guzmán nel 1215 a Tolosa. Uno di quei religiosi conosciuti in Inghilterra come “black friars”, frati chiamati neri per via del colore del cappuccio e della cappa che ancora oggi indossano su una tunica immacolata.

Paperone_de'_PaperoniLo stesso nome per un burbero e irresistibile eroe dei fumetti e un vescovo medievale. Strano ma vero.
Forse però non fu una coincidenza. Piuttosto, con ogni probabilità, un’idea folgorante di Mario Gentilini, storico direttore di “Topolino” e di Guido Martina, traduttore e sceneggiatore delle prime, divertenti storie a fumetti che arrivavano dall’America.

Il personaggio del “papero più ricco del mondo”, il simpatico taccagno “Uncle Scrooge MacDuck”, ricalcato sul modello di Ebenezer Scrooge, l’avido protagonista de “Il Canto di Natale” di Charles Dickens, nella traduzione italiana si sarebbe dovuto chiamare “Avaro Papero”. Quasi una cacofonia vicino ai nomi teneri e buffi di Qui, Quo, Qua, Paperino, Topolino e Minnie.

Lo sceneggiatore Martina, un professore di Lettere che amava la lettura e frequentava i testi medievali, forse si imbatté per caso nel nome giusto per quel papero che negli anni ha appassionato diverse generazioni di lettori.

Chissà se andò proprio così. Sia Gentilini che Martina, ormai scomparsi da anni, non hanno mai parlato della cosa. Anche se le città di Spoleto e Foligno non avrebbero certo potuto chiedere i “diritti d’autore” alla Disney. E nemmeno potevano più reclamare un risarcimento i parenti del vescovo Paparone, la cui famiglia si era già estinta alla fine del Settecento (Rendina, “Le grandi famiglie di Roma”, Newton Compton editori).

A differenza del personaggio di fantasia, il frate domenicano non fu un “self made man”. Era già ricco di famiglia. Un suo antenato, Giovanni, era il figlio di un papa non identificato della seconda metà del X secolo. Un altro parente, Giovanni, nominato cardinale nel 1144, fece carriera come legato pontificio in Irlanda e Francia. Stefano Paparoni, fu giudice palatino nel 1187. E un secolo prima che il frate domenicano nascesse, Gregorio Papareschi (1130-1143), esponente di un altro ramo della famiglia, divenne addirittura papa con il nome di Innocenzo II.

Paparone de’ Paparoni era molto giovane quando iniziò a frequentare il potente convento romano di Santa Sabina. Fece carriera in fretta, scalando posizioni nel suo Ordine, fino a diventare Procuratore Generale nella Corte di Roma. Papa Clemente IV notò il suo zelo e apprezzò così tanto le qualità mostrate da quel frate che pensò a lui quando finalmente decise di dare un nuovo “pastore di anime” a Foligno (Antoine Touron, “L’Istoria degli uomini illustri dell’Ordine di San Domenico”, 1746).

La città nel 1245 era stata privata della dignità vescovile per aver appoggiato l’imperatore Federico II nella sua lotta contro cinque pontefici romani.
Ma allora, dopo una punizione durata due decenni, era giunto il tempo della riconciliazione. Paparone resse la diocesi folignate per venti anni. La città durante il suo episcopato si ripopolò di chiese e si riavvicinò al papa.
Il vescovo fu generosissimo di doni con i monaci di Sassovivo. A Foligno trovarono casa gli eremiti agostiniani (1265) i serviti (1275) e anche i domenicani (1285).

Sarteano, portale palazzo PaperoniQuando il nuovo pontefice, Onorio IV, lo trasferì a Spoleto, Paparone fece fatica a staccarsi dai folignati. Ma anche gli spoletini lo accolsero con grande entusiasmo. In quegli anni, a Norcia, fece scalpore una lite tra i francescani e i benedettini. I seguaci del Poverello arrivarono a occupare il monastero dell’Ordine di San Benedetto (G.Cappelletti, “Le chiese di Spoleto dalle loro origini ai giorni nostri”, Venezia 1844). Lo scandalo, tra accuse e contraccuse, andò avanti per anni. Paparone non fece in tempo a gestire la fine della spiacevole vicenda: morì nel 1290.

Quattro anni dopo, Celestino V risolse la questione: emanò una bolla papale con la quale tolse il monastero di Norcia dalla giurisdizione spoletina e lo assoggettò direttamente al controllo della Santa Sede.

Del frate predicatore che diventò vescovo, sono rimaste pochissime tracce. Una porta a Chieri, tra la collina di Torino e il Monferrato, dove il nome dell’alto prelato spunta su una tomba sotto il pavimento di una chiesa a croce latina dedicata a San Domenico.

Una testimonianza curiosa si trova a Sarteano, il comune della Val d’Orcia in provincia di Siena. Lì, al numero 61 del centrale corso Garibaldi c’è l’ingresso di Palazzo Paparoni, la dimora del XVI secolo che appartenne agli eredi del vescovo di Foligno e di Spoleto. Sul portale d’ingresso, campeggia ancora lo stemma di famiglia: due grosse papere che poggiano su un’unica zampa.

Federico Fioravanti