Il Concilio di Pisa si aprì il 25 marzo 1409. Era stato convocato per sanare la peggiore lacerazione mai vissuta dalla Chiesa cattolica. Ma finì per renderla ancora più grave.
La crisi alla quale si voleva porre rimedio è conosciuta come “Scisma d’Occidente” per distinguerla dall’altro grande scisma, quello di Oriente, iniziato nel 1054 e ancora in atto, che divise la chiesa cattolica da quella ortodossa. Ma se per quest’ultimo c’erano ragioni storiche, teologiche e geografiche a giustificare la separazione formale di gerarchie, tradizioni, contesti politici e liturgie che erano già da secoli divise nei fatti, lo scisma che si consumò in Europa fu tutto interno non solo alla Chiesa cattolica, ma addirittura allo stesso collegio cardinalizio.
Se quattrocento anni prima a contrapporsi a Roma era stata Costantinopoli, stavolta il nemico era ad Avignone. E non era un patriarca rivale, ma il papa stesso. Che aveva abbandonato Roma da settant’anni per rifugiarsi nella cittadina provenzale che si affaccia sul Rodano, a due passi dalla Costa Azzurra e con un vino più buono di quello dei castelli.
Era stato il francese Clemente V nel 1305 a trasferire la sede del papato in Francia. Eletto a Perugia dopo il rifiuto del cardinale inglese Walter Winterburne, Bertrand de Got aveva scelto di evitare la capitale – teatro degli scontri tra i Colonna e gli Orsini – e di rifugiarsi a Poiters sotto la protezione del re Filippo il Bello, che già da anni esercitava una forte ingerenza nella Chiesa cattolica tanto da scontrarsi ferocemente con Bonifacio VIII, da cui era stato scomunicato, ma che aveva infine sconfitto e umiliato con il celebre “schiaffo di Anagni”.
È vero anche che se un trasferimento formale della sede pontificia non c’era mai stato, erano ormai decenni che i papi evitavano la Città eterna e in molti non ci avevamo mai nemmeno messo piede scegliendo altre residenze (come l’abruzzese Celestino V, che non si era mosso dal L’Aquila).
Nulla di strano, dunque, nel papa francese che se ne resta in Francia.
Il problema era sorto in seguito: per settant’anni il Conclave aveva eletto solo papi francesi che, a loro volta, nominavano cardinali francesi che continuavano a egemonizzare il collegio elettivo.
Già nel 1313 la Curia si era trasferita ad Avignone, mentre a Lione nel 1316 il Conclave aveva eletto Jacques Duèze, il famigerato Giovanni XXII (il “nemico” dei Francescani di cui parla a lungo anche Umberto Eco nel “Nome della rosa” e morto in odore di eresia) che aveva trasferito ufficialmente la sede papale, visto anche che nel frattempo il palazzo di San Giovanni in Laterano era andato distrutto in un incendio, mentre il suo successore – Jacques Fournier alias Benedetto XII – aveva completato il trasferimento facendo costruire il palazzo pontificio di Avignone.
Morto nel 1342, dopo aver creato 7 cardinali di cui 6 francesi, era stato seguito da Clemente VI (che elesse 27 cardinali di cui 23 francesi), Innocenzo VI (15 cardinali di cui 14 francesi) e Urbano V, il primo a pensare seriamente di tornare a Roma, anche per sottrarre la Santa Sede all’ingerenza del Re.
Per rimettere ordine nel caos che si era creato nella penisola, Urbano aveva mandato in Italia il cardinale Egidio Albornoz, che aveva recuperato gran parte dei terreni dello Stato Pontificio e aveva fatto edificare numerose rocche per la difesa dei territori riconquistati.
Il papa aveva fatto il suo solenne e trionfale ritorno a Roma il 16 ottobre 1367. L’idillio però era durato solo quattro anni: le disastrose condizioni in cui versava la città e le pressioni dei cardinali francesi avevano fatto tornare il pontefice sui suoi passi. Nonostante le suppliche di Francesco Petrarca e le minacciose profezie di Santa Brigida di Svezia, nel settembre 1370 Urbano era di nuovo ad Avignone, dove morì appena tre mesi dopo. E il conclave in cui sedevano anche i 14 nuovi cardinali da lui creati (di cui 11 francesi) aveva eletto Pierre Roger de Beaufort con il nome di Gregorio XI.
All’inizio del 1376, papa Gregorio aveva iniziato una corrispondenza epistolare con Santa Caterina da Siena che cercava di convincerlo in ogni modo a tornare a Roma: “Rispondete a Dio che vi chiama… a tenere e possedere el luogo del glorioso pastore santo Piero”, “confortatevi, confortatevi, e venite, venite a consolare i povarelli servi di Dio e figliuoli vostri. Aspettianvi con affettuoso e amoroso desiderio”.
Gregorio tentennava, era indeciso, continuava a ricevere pressioni dai cardinali perché si decidesse a lasciare la Curia ad Avignone. Il 18 giugno 1376 Caterina era giunta personalmente ad Avignone e il 13 settembre il papa aveva finalmente abbandonato la Francia, pur preoccupato e scoraggiato dai disordini esplosi a Roma e rassicurato solo dalla stessa Caterina sul fatto che stesse davvero seguendo la volontà di Dio.
Alla morte di Gregorio, l’8 aprile del 1378 il conclave si riunì a Roma. Era il primo nell’Urbe da settantacinque anni. Il collegio cardinalizio, dominato ancora dai francesi, si apprestava ad eleggere un nuovo papa transalpino. ma i romani si sollevarono, reclamando a gran voce: “Romano lo volemo, o almanco italiano!”. E così era stato eletto, per la prima volta dopo settantacinque anni, un papa italiano: il napoletano Urbano VI.
Appena cinque mesi dopo i cardinali francesi avevano dichiarato invalida quell’elezione – eseguita sotto pressione del popolo romano – e riuniti a Fondi avevano eletto un altro papa, ovviamente transalpino: Clemente VII, che si era stabilito, manco a dirlo, ad Avignone.
E per la prima volta la Chiesa cattolica ebbe due papi. – Entrambi paradossalmente legittimi.
E pensare che fu proprio per scongiurare gli scismi che per secoli avevano visto papi e antipapi eletti da poteri contrapposti (imperatore, famiglie aristocratiche, clero e popolo romano e così via), che dal 1059 era stata regolamentata l’elezione del pontefice riservandola ai soli cardinali.
L’intera Chiesa cattolica si divise così in due “obbedienze”: quella a Roma e quella ad Avignone. Francia, Aragona, Castiglia, Cipro, Borgogna, Napoli, Scozia, Sicilia e Savoia rionobbero il papa di Avignone, mentre Inghilterra, Portogallo, Danimarca, Norvegia, Svezia, Polonia, Ungheria, Irlanda, Fiandre e Stati italiani rimasero fedeli a quello Italiano, mentre in Germania c’erano diocesi romane e diocesi avignonesi. Addirittura, in molti territori, si formarono due istituzioni parallele con due vescovi rivali nella stessa città.
Lo scisma proseguì anche dopo la morte dei due papi: nel 1389 al posto di Urbano VI i cardinali romani elessero Bonifacio IX, mentre ad Avignone nel 1394 salì al soglio Benedetto XIII.
Il primo tentativo di pacificazione risale al 1404: alla morte di Bonifacio IX i cardinali italiani si dichiararono disposti a non procedere all’elezione se Benedetto avesse accettato di dimettersi. Ma il papa di Avignone non ci pensò nemmeno e lo scisma proseguì con l’elezione di Innocenzo VII e – due anni dopo – di Gregorio XIII.
Solo un Concilio ecumenico poteva ricomporre la situazione: così, dopo trent’anni di scisma, quattro cardinali francesi scesero in Italia per cercare di trovare un accordo. Dalla riunione dei prelati di buona volontà nacque dunque – il 5 luglio 1408 – la convocazione di un Concilio generale, che si aprì a Pisa il 25 marzo 1409.
L’assemblea venne disertata dai due papi, che convocarono entrambi dei concili alternativi, uno a Perpignano e uno ad Aquileia, tutti e due disertati in massa, mentre anche le grandi università di Oxford, Parigi e Colonia sostennero l’assemblea toscana.
Nella cattedrale di Pisa, sotto la presidenza del cardinale Malesec, si riunirono quattro patriarchi, 22 cardinali, 80 vescovi, i rappresentanti di 100 vescovi assenti, 87 abati con le procure di chi non era potuto intervenire di persona, 41 tra priori e generali di ordini religiosi, 300 dottori in teologia o diritto canonico e gli ambasciatori di tutti i regni cristiani.
Aperte solennemente le porte del duomo, i due papi rivali vennero chiamati, ma nessuno di loro rispose all’appello. “È stato nominato qualcuno per rappresentarli?” chiesero i due cardinali diaconi, ma ancora una volta regnò il silenzio.
Nei mesi successivi, rappresentanti politici ed ecclesiastici tedeschi cercheranno di difendere papa Gregorio, mentre le richieste dei delegati di Benedetto – arrivati il 14 giugno – susciteranno proteste, risa, insulti e persino minacce. Ma i 500 presenti al Concilio condannano in modo unanime i due papi rivali.
“Benedetto XIII e Gregorio XII – dichiara il patriarca di Alessandria, Simon de Cramaud – sono riconosciuti come scismatici, eretici conclamati, colpevoli di spergiuro e violatori di solenni promesse, in aperto scandalo della Chiesa universale. In conseguenza, essi sono dichiarati indegni del Pontificato Supremo e sono, ipso facto, deposti dalle loro funzioni e dignità ed espulsi dalla Chiesa. È proibito loro d’ora in avanti di considerarsi Pontefici Supremi e tutte le iniziative e le loro promozioni sono da considerarsi nulle. La Santa Sede è dichiarata vacante e i fedeli sono liberati dalla loro promessa d’obbedienza”. Un applauso fragoroso accoglie le parole del patriarca.
Il giorno dopo viene cantato il Te Deum e organizzata una processione per la festa del Corpus Domini e il 15 giugno i cardinali si riuniscono nel palazzo arcivescovile di Pisa. Undici giorni dopo eleggeranno il cardinale Pietro Philarghi, che prese il nome di Alessandro V. Sarà il nuovo papa a presiedere le ultime quattro sessioni del Concilio, confermando tutti gli atti stabiliti prima della sua elezione.
Ma lo spirito e i risultati del Concilio non avevano fatto i conti con la strenua determinazione dei due papi deposti, che lo definirono “una conventicola di demoni” e non ne riconobbero le decisioni, sostenendo che un concilio di vescovi non poteva essere superiore al Papa.
Quello che avrebbe dovuto essere l’atto finale di uno scisma che vedeva una chiesa con due papi, finì invece con complicare ancora di più la situazione: adesso i papi non erano più due, ma addirittura tre.
Per cinque anni i tre papi coesisteranno nella Chiesa: uno a Roma, uno ad Avignone e uno a Pisa, ognuno con il suo seguito di stati (Francia, Portogallo, Boemia, Italia, e Prussia con Pisa, Napoli, Polonia e Baviera al seguito di Roma, Spagna e Scozia con Avignone), ordini religiosi, università e persino santi.
Sarà l’imperatore Sigismondo di Lussemburgo a segnare la svolta decisiva, costringendo Giovanni XXIII (succeduto nel 1410 al “pisano” Alessandro V) a convocare un nuovo concilio a Costanza, in terra tedesca, che si aprirà il primo novembre 1414.
Giovanni si era dimostrato un abile diplomatico sin dalle trattative che avevano portato al Concilio di Pisa, ma era un uomo tutt’altro che spirituale: “Era un politicante ambizioso e accorto – scrive Indro Montanelli nella sua “Storia d’Italia” – un amministratore abile e rapace, un generale sagace e spietato. Perché avesse fatto il prete invece che il condottiero, non si sa. Ancora meno si sa perché lo elessero Papa, e in un momento come quello. Stando al suo segretario, egli aveva sedotto duecento fra ragazze, spose, vedove e suore. Né intendeva abbandonare questa piacevole attività, ora che aveva indossato la tiara”.
Non a caso, quando a tutti e tre i papi venne chiesto un passo indietro, Giovanni si dette alla fuga e fu catturato, processato e deposto per “simonia, scandalo e scisma” nel 1415. A questo punto il papa romano, Gregorio XIII, accettò di abdicare a condizione di essere riconosciuto come unico pontefice legittimo dei tre arrivati al Concilio. È infatti ancora oggi considerato formalmente l’ultimo papa ad aver rassegnato le dimissioni prima di Benedetto XVI. L’avignonese Benedetto XIII, invece, resistette più a lungo: venne deposto nel luglio 1417.
Infine, l’11 novembre il conclave elesse il romano Oddo Colonna che, con il nome di Martino V, si adoperò da subito per una politica di pacificazione.
Martino in realtà riconobbe Giovanni (e non Gregorio) come suo predecessore e lo riammise nel collegio cardinalizio (Giovanni XXIII verrà infatti rimosso dall’annuario pontificio solo nel 1947, appena undici anni prima dell’elezione di papa Roncalli, che sceglierà lo stesso nome) e nel 1429 riuscirà a trovare un accordo anche con la fazione avignonese, nominando vescovo di Maiorca l’antipapa Clemente VIII (successore di Benedetto) in cambio delle sue dimissioni.
E il grande scisma, dopo cinquant’anni, si poté finalmente ritenere concluso.