Non è la luce del mattino ad indurlo ad alzare la cresta e a gridare il suo canto, ma il ritmo biologico che gli è proprio. Quel che è certo, però, è che lui – il gallo – a dare la sveglia all’uomo del Medioevo. Al ricco e al povero, all’artigiano e al contadino, al buon padre di famiglia che si è coricato al tramonto e al balordo, che è rimasto fino a notte fonda in taverna a giocare a dadi ed è rientrato in casa ubriaco fradicio, ha centrato con la pesante chiave il buco della serratura solo dopo un paio di tentativi andati a vuoto, poi ha attraversato la bottega al pian terreno ed è arrivato in cucina.
Qui non ha disdegnato di farsi un’ultima staffa di vinello. Poi è salito al piano superiore, in camera. Nel grande letto – fornito di un baldacchino per riparare dagli spifferi – dormono la moglie con i figli: il materasso è pieno di paglia mentre i cuscini sono imbottiti di piume. Ai piedi del letto sono sistemate delle brande – casse di fieno con cuscini di paglia – dove dormono le serve. Lui ci inciampa sopra, svegliandole. Ma loro non ci fanno caso, sono avvezze alle abitudini poco delicate del padrone. E d’altra parte, quando anche non è lui a lasciare loro qualche calcio in faccia tornando sbronzo dalla locanda, ci pensano i figli, alzandosi in piena notte per un bisogno impellente: per quelli più “soft” c’è il vaso da notte da svuotare per strada, ma per le questioni più impegnative c’è la loggetta con il sedile che si apre direttamente sul canale o sul fossato, ben fornito di cenere, oppure su una grande tinozza. A pulire la strada, poi, ci pensano le piogge, ma anche galline, cani e maiali.
Gli abiti sono riposti, arrotolati, nella cassapanca, dove trovano posto anche la biancheria profumata con erbe odorose e i documenti. Il denaro e i preziosi, invece, sono all’interno di una borsa di cuoio tenuta dentro uno stipo ben ferrato e chiuso, sotto il letto.
All’alba, poco dopo il canto del gallo, l’aria è percorsa dal rintocco di una campana cui ne rispondono altre. Suonano ogni tre ore, ritmando la giornata secondo il tempo liturgico: all’alba le laudi, poi la prima, la sesta intorno a mezzogiorno (da cui lo spagnolo “fare la siesta”), la nona, i vespri e infine compieta.
Il tempo si conta in modo molto differente rispetto al nostro: se il giorno è diviso – come per noi – in 24 ore, la ripartizione è diversa: non si comincia da mezzanotte e da mezzogiorno (che stanno, appunto, a metà), ma dall’alba e dal tramonto, con 12 ore di giorno e 12 di notte. La “prima” corrisponde alle nostre 7 e la “dodicesima” alle 18, la sesta notturna alla mezzanotte e la dodicesima notturna alle nostre sei di mattina. Non si tratta però di ore da 60 minuti ciascuna. La durata di un’ora varia a seconda della stagione: d’estate le ore diurne sono più lunghe di quelle notturne, e d’inverno sono più corte. Insomma il sole sorge sempre alla prima e tramonta sempre alla dodicesima, sia in novembre che a luglio.
Non esistendo strumenti di misurazione precisa, però, gli inconvenienti sono numerosi e può capitare – come racconta Marc Bloch – che per stabilire l’ora esatta in cui debba svolgersi un duello, si interroghino giudici e chierici. “Quanto lontana appare dalla nostra civiltà e da noi stessi abituati a vivere solo con gli occhi costantemente fissi all’orologio, quella società ove un tribunale doveva discutere e informarsi per sapere quale ora fosse!”.
Al sorgere del sole inizia la giornata per tutti. O quasi. “Si citano a scandalo quegli studenti dormiglioni e scansafatiche che si iscrivevano di preferenza al corso dei decretasti – commenta Arsenio Frugoni – che aveva luogo solo a terza, cioè dopo tutto alle nove, quando tanti zelanti impiegati d’oggi iniziano senza rimorso la loro giornata.”
Appena alzati un triplice segno di croce, poi ci si veste e ci si lavano mani e viso. Insomma, niente doccia. D’altra parte il bagno si fa solo in occasioni speciali: se si è appena tornati da un viaggio o si è particolarmente sporchi. Allora si prende la tinozza del bucato e la si riempie con acqua riscaldata sul camino. Ma esistono anche i bagni pubblici e al mattino – quando l’acqua è ben calda – girano per le strade i garzoni a darne notizia. A Parigi, per dire, nel 1292 ci sono ben 26 bagni su 200mila abitanti, aperti tutti i giorni salvo i festivi.
Il sole non è ancora spuntato quando si esce per la messa. “Vanno a messa tutti quelli che possono e che hanno tempo. Popolo di credenti è per antonomasia quello del Medioevo” scrive Arsenio Frugoni in Storia di un giorno in una città medievale. “Il soprannaturale non era sentito, come oggi, distinto dalla vita terrena di quaggiù”.
Finita la messa – siamo ancora verso le sei del mattino – la giornata entra nel vivo. Dopo la prima colazione si comincia il lavoro: gli artigiani aprono bottega, i medici con la caratteristica cappa rosso-viola e i guanti rossi, cominciano il loro giro, dalla campagna arrivano gli ortolani e per le vie si fa strada il carro del merciaio. A casa la massaia dà ordini ai servi e alle figlie per la cucina e il bucato. Frugoni cita due pratiche ricette, una contro le pulci, l’altra contro la rabbia: “Se una coperta ha le pulci, arrotolala stretta e ponila in un sacco e stringi il sacco in un sacco ben stretto anch’esso e così le pulci prive d’aria e di luce verranno a morire”. La specialissima antirabbica, invece, funziona così: “Prendi un crosta di pane e scrivi “bestera, bestinai, rigonai, dictera, sagragan, es domina, fiat fiat fiat”.
Intanto i bambini sono a scuola, dove imparano a memoria le risposte come nel catechismo di Pio X e se sbagliano vengono picchiati con verghe. Non mancano di ribellarsi, come accade nel 937 a San Gallo quando gi studenti danno fuoco alle verghe che i maestri li hanno mandati a prendere. Ma quando i rapporti si sono rasserenati, i genitori invitano a pranzo il maestro e gli fanno piccoli doni, come una botticella di vino.
Quando finalmente è ora di pranzo, la tavola viene apparecchiata senza forchette né tanto meno tovaglioli, mentre al posto dei piatti ci sono grandi fette di pane dove vengono appoggiate carne e salse, e ciò che ne rimane viene gettato in un recipiente al centro della tavola e destinato ai poveri. I ricchi mangiano soprattutto selvaggina condita con salse e spezie e si fanno servire il vino solo a fine pasto insieme al dolce, mentre i poveri mangiano una zuppa dove a fare compagnia all’acqua c’è solo un pezzetto di maiale. Il pasto di un operaio consiste invece in un “pane grosso, minestra di fave, sei uova e da bere fin tanto quanto basterà” con l’eccezione della quaresima, quando le uova vengono sostituite da “tre aringhe e noci”.
Dopo la siesta si torna al lavoro e a cena il pasto è più leggero: “Mangiate poco la sera e liberatevi d’ogni pensiero terrestre e mondano” si legge in un libretto devozionale.
Quando scende la sera la città viene avvolta dall’oscurità. Le porte del Comune vengono chiuse, isolando e proteggendo il borgo dal mondo esterno.
Tutta la città dorme. Solo le taverne restano aperte per qualche balordo che si attarda a bere e a giocare a dadi fino a notte fonda, e poi se ne torna a casa barcollando; cammina tra le strade buie, illuminate solo dalle candele accese di fronte alle edicole sacre. Il silenzio totale è interrotto solo dall’abbaiare dei cani e lui si sente un po’ in colpa, ma pensa che non può farci niente se i colori li vede più vividi a quest’ora.
Gli pare di salire le scale normalmente, ma gli fugge di mano la chiave. La brace cova sotto la cenere nel camino. Getta gli abiti su una pertica orizzontale per proteggerli dagli animali, e rimane nudo. Non vorrebbe svegliarla ma non è detto che riesca a centrare il suo lato del letto. Indugia a sfiorarle una spalla o un’ascella, ma lei si gira e si copre di più. E no, pensa lui, non è un luogo comune che tornare alterati dia qualche problema. E non è l’intenzione di rinfacciargli qualcosa – lo sa – ad indurre il gallo ad alzare la cresta e a gridare il suo canto, ma il ritmo biologico che gli è proprio.
Lui però se ne frega del perché e lo odia, quel gallo, e se solo avesse la forza e la voglia, gli tirerebbe volentieri un sasso addosso, per farlo tacere, per riportare il tempo indietro e guadagnare qualche altra ora di sonno prima di una nuova, ordinaria, giornata medievale.
Arnaldo Casali