Le due spade di Innocenzo III

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Innocenzo III, ritratto in un affresco del Sacro Speco

Innocenzo III ritratto in un affresco del Sacro Speco

Lotario, figlio di Transmondo, conte di Segni, aveva orrore delle passioni. Ad eccezione di quella per la Chiesa, che lo consumò per tutta la vita, come la febbre malarica che, in modo penoso, pose fine ai suoi giorni a Perugia, il 16 luglio 1216.

Piccolo e gracile, conduceva una vita ascetica, ma era sorretto da una sconfinata energia. Coltissimo, austero e infaticabile, salì al soglio di Pietro a soli 38 anni, dopo il quasi centenario Celestino III.
Innocenzo III (1160 – 1216) aveva studiato Teologia a Parigi, nella famosa scuola del monastero di S. Vittore e Diritto a Bologna, sotto la guida di Uguccione da Pisa.

Quando diventò cardinale non aveva ancora compiuto 30 anni. Ma era già molto conosciuto tra i contemporanei grazie a un libro intitolato “Sul disprezzo del mondo”, un’opera che conobbe una grande fortuna fino al Seicento e sulla quale a lungo meditò anche il filosofo francese Blaise Pascal.
Il tema della “fuga mundi“, già caro agli antichi anacoreti, venne ripreso e arricchito da Lotario, per il quale l’uomo “è preda del peccato prima ancora di peccare e dell’errore, prima ancora di errare”.

Nel mondo malato, l’uomo vive esposto a ogni pericolo. Il compito del clero doveva quindi essere, grazie alla consacrazione dei sacramenti, quello di isolarsi dal peccato e fuggire la corruzione che infesta il mondo. Con Innocenzo III, i sacerdoti iniziano quindi a officiare la messa non più con lo sguardo verso i fedeli ma voltando la schiena alla comunità che prega, celebrando in solitudine il mistero della grazia. Laici e sacerdoti quindi non sono e non possono essere messi in una condizione di parità. Di conseguenza, parlando del papa, e quindi di se stesso, Innocenzo III ripeteva la formula: “Inferiore a Dio ma superiore all’uomo”.

Così Lotario svincolò la Chiesa dal potere temporale, come già aveva teorizzato nel secolo XI Gregorio VII nel suo “Dictatus Papae“, al tempo della lotta per le investiture.
Per Innocenzo III, il papa, nel suo sacro ruolo di “vicario di Cristo”, è il re dei re.
Il suo potere, spirituale, è quindi superiore a quello temporale, che è corrotto come il mondo, così come l’anima immortale vince sul corpo e il Sole domina la Luna. Anche i sovrani facevano discendere il loro potere dalla grazia divina.

Inocenc_IIIMa è il pontefice che ha la “plenitudo potestatis”, la pienezza del potere. Entrambe le spade sono quindi nelle sue mani. È lui e solo lui che può concederne una all’imperatore, visto soltanto come “advocatus Ecclesiae”.

In base a queste premesse, Innocenzo III, come nessun altro papa prima di lui, attuò il grande disegno di una sovranità universale sull’Occidente cristiano. Sotto il suo pontificato, durato 18 anni, la Chiesa raggiunse il punto più alto della sua autorità.

Innocenzo III regnò come un papa imperatore. E si mosse con la disinvoltura di un politico consumato. Ma fu anche un uomo di preghiera e di ascesi.
Si definì, a più riprese, “vicarius Christi”. E da allora quel titolo venne assunto da tutti gli altri papi che vennero dopo di lui. Fu anche il primo pontefice a introdurre l’uso di uno stemma personale.

Nella sua Chiesa indipendente da qualunque altro potere, i vescovi e i cardinali rispondevano soltanto a lui. Riaffermò l’autorità papale in tutti i territori pontifici dell’Italia centrale. A Roma volle essere l’arbitro della nomina dei senatori e soffocò ogni autonomia cittadina.

In Francia, lanciò l’interdizione contro il re Filippo Augusto che senza il consenso papale aveva ripudiato la moglie Ingelburga di Danimarca per sposare Agnese di Merania. Il sovrano provò a resistere ma fu costretto a richiamare accanto a sé la prima moglie.

Giovanni Senzaterra, sotto la minaccia di uno sbarco francese in Inghilterra, dovette riconoscere al suo regno lo “status” di feudo della Chiesa. Innocenzo III chiese la stessa cosa, con successo, anche a Pietro d’Aragona.

Il papa favorì la Quarta Crociata (1202-1204) che nei suoi disegni doveva servire a riunire la Chiesa d’Occidente con la Chiesa d’Oriente. Spiazzato dagli avvenimenti, condannò la vergogna del “sacco di Costantinopoli”, perpetrato da cristiani contro altri cristiani. Poi prese atto della nuova situazione con cinismo imperiale.

Molte delle tante energie di Innocenzo furono rivolte alla lotta contro l’eresia bollata come “alto tradimento contro Dio”. Ma il papa perse il controllo della situazione di fronte ai feroci episodi che segnarono la crociata contro gli Albigesi (1209) nel clima di vendette e massacri favoriti dal fanatismo di Simone di Montfort e del legato pontificio Arnaldo Amalric.

La riforma morale e disciplinare del clero fu la vera ossessione del pontefice. La struttura diocesana fu riformata in modo profondo. Per i vescovi arrivò l’obbligo di visitare Roma almeno ogni quattro anni. E nuove regole guidarono la burocrazia pontificia.
Come ricorda lo storico Franzen, con Innocenzo III “Gli ordini mendicanti diventarono presto i più forti baluardi della Chiesa”.
Il papa seguì con particolare attenzione gli Umiliati della Lombardia e fondò l’associazione dei “Poveri Cattolici”. E accolse a Roma, con benevolenza, Francesco d’Assisi che chiedeva l’attenzione papale per la sua piccola comunità di frati.

Giotto, il Sogno di Innocenzo III, Basilica Superiore di Assisi

Giotto, il Sogno di Innocenzo III, Basilica Superiore di Assisi

Le cronache dei decenni successivi raccontano il celebre episodio rappresentato nel ciclo degli affreschi giotteschi della Basilica Superiore di Assisi. I dubbi di Innocenzo III furono fugati da un sogno: il papa vide la chiesa di S.Giovanni in Laterano pericolante sostenuta solo dal Poverello d’Assisi. Ma l’approvazione alla regola francescana arrivò solo oralmente. La “seconda corona” giunse infatti nel 1223 ad opera di Onorio III.

Innocenzo III ebbe una analoga attenzione anche per l’ordine domenicano (1215).
Due grandi santi, ricordati nella Divina Commedia da Dante Alighieri (Paradiso, canto XI):

“L’un fu tutto serafico in ardore; / l’altro per sapïenza in terra fue / di cherubica luce uno splendore”.

Pastore e insieme supremo giudice della cristianità, Innocenzo III diventò l’arbitro della politica europea dopo la morte di Enrico VI: alla successione imperiale era strettamente legato il destino del trono di Sicilia. Innocenzo, temendo le mire di riunificazione degli Hohenstaufen, all’inizio sostenne le ragioni del guelfo Ottone di Brunswick, che aveva promesso di rinunciare ai diritti imperiali in Italia.

In un secondo momento, il papa, impressionato dalle vittorie di Filippo di Svevia, iniziò a spostare i suoi favori verso il nuovo candidato. Poi, quando, nel 1208, Filippo fu ucciso, acconsentì a incoronare Ottone, eletto re di Germania.  L’imperatore fu “unto” a Roma, durante una solenne cerimonia. Il guelfo, più sicuro di sé, dimenticò le sue promesse e si accinse a conquistare il Regno di Sicilia con la forza delle armi. Il papa non glielo permise e lo scomunicò.

La nuova situazione segnò il destino di Federico, futuro imperatore svevo. Innocenzo III lo protesse e proclamò i diritti del giovanissimo erede al trono che la madre Costanza d’Altavilla aveva posto sotto la tutela del papa già dal 1198.
Dopo la battaglia di Bouvines (1214) Ottone scomparve dal palcoscenico del potere. E Innocenzo III guidò verso la corona il fanciullo che in seguito sarebbe diventato l’avversario più grande e più aspro del potere politico dei papi.
Lo fece perché Federico aderì a tutte le sue richieste e perché non aveva alternative. Ma intuì, con sottile lungimiranza, quello che sarebbe successo negli anni a venire. Scrisse infatti in una epistola: “Quando questo fanciullo sarà giunto all’età del giudizio e apprenderà che fu la Chiesa a derubarlo della dignità imperiale, non soltanto le negherà il rispetto che le compete, ma la combatterà in tutti i modi possibili, strapperà dai feudi di Roma la Sicilia, rifiutando alla Chiesa l’obbedienza dovuta”.

Così avvenne. Ma intanto Innocenzo III esercitava il suo ruolo di “verus Imperator”, seduto a metà strada tra Dio e l’umanità.

Ottone IV incontra papa Innocenzo III

Ottone IV incontra papa Innocenzo III

I giorni più alti della sua gloria terrena arrivarono un anno prima della sua morte, durante il Concilio Lateranense del 1215. Settanta arcivescovi, più di 300 vescovi, 800 tra abati e priori, decine di dotti e teologi, ambasciatori di re, principi e comunità cittadine, arrivarono a Roma da tutte le regioni d’Europa.
Fu una manifestazione di potenza e di decisionismo: arrivò la condanna di tutte le eresie, il divieto di fondazione di nuovi ordini religiosi e precise disposizioni sulla confessione e la comunione pasquale, che da allora ebbero una durata permanente.
Lotario dei Conti di Segni guidò i lavori con la consueta fermezza e a nome di tutti i delegati confermò la trasmutazione sacramentale del pane e del vino, che fu però elevata a dogma della Chiesa soltanto durante il Concilio di Trento (1551-1552).

Nei primi giorni di luglio del 1216, all’inizio di un viaggio verso la Lombardia, fu colpito dalla febbre che lo portò alla tomba.
Appena due settimane prima aveva ricordato a tutti che la Sicilia era un feudo della Chiesa. E per questo aveva chiesto a Federico di Svevia, in procinto di essere incoronato imperatore, di rinnovare la promessa di lasciare all’erede Enrico il trono palermitano.

Innocenzo III morì a Perugia, il 16 luglio 1216. La salma fu esposta in cattedrale, avvolta dagli indumenti pontifici intessuti d’oro. Ma la mattina dopo il cadavere fu trovato nudo, in terra, spogliato da tutti i simboli del potere. Nella cattedrale perugina si può ancora vedere il loculo dove fu sepolto. Poi nel 1891, Leone XIII volle che i resti fossero trasferiti nella Basilica Lateranense. È lì che ora riposa uno dei più grandi papi del Medioevo.

Federico Fioravanti