C’è un grande castello in cima alla scalinata, e dentro al castello un grande chiostro, e nel mezzo del chiostro diverse celle, dentro le quali ci sono frati vestiti di bianco.
Pietro vorrebbe entrare in quel palazzo, ma porta con sé un asinello che non può lasciare. Così cerca di trascinarlo su per la scalinata, ma fatti tre o quattro gradini, sui quali anche l’asinello è salito agevolmente, quella mala bestia comincia ad emettere schifosamente sterco dal corpo, quasi avesse appena mangiato dell’erba tenera.
Visto quell’umiliante spettacolo, Pietro volge lo sguardo mortificato al gradino più alto e non osa più salire.
Sulla cima delle scale vede però comparire tre persone, simili e uguali tanto da sembrare una sola, e tutte lo guardano. Allora una di loro, che sembra Cristo, gli dice: “Sali, sali! Perché non sali? Per il fatto che l’asinello ha fatto secondo sua natura? Che ha a che fare con te? Sali, sali”.
Subito Pietro si sveglia tutto sudato, ancora turbato da quel sogno ma al tempo stesso pieno di gioia e letizia. Benedice il Signore che lo ha illuminato: frate Asino fa secondo la sua natura, e non bisogna dargli troppa importanza. E se la notte porta sogni imbarazzanti, il giovane eremita non deve vivere male la cosa, perché non c’è colpa quando il corpo agisce da solo, contro la sua volontà.
Il problema sessuale è quello che sembra ostacolare più di ogni altra cosa il giovane Pietro Angelerio del Morrone nella sua ricerca della pace: quei sogni fanno svegliare all’improvviso il futuro papa Celestino V nel pieno della notte, madido di sudore.
Quelle visioni inconsce, nella solitudine assoluta dell’eremo riportano alle mente le immagini delle donne viste prima di rinchiudersi nel totale isolamento del monte Morrone.
“La tentazione – spiega Paolo Golinelli nel libro “Il papa contadino” – se sembrava vinta una volta, era sempre pronta a ripresentarsi risvegliando l’istinto del ventenne, anche se rinchiuso in un antro nascosto nel folto del bosco”.
Ecco allora che gli sembra di vederle giacere nude accanto a lui, le belle tentatrici. Una da una parte e una dall’altra: strofinano il loro corpo alla sua giovane pelle, coperta solo da una tunica col cappuccio. “Erano demoni che scomparivano alla recita del Mattutino, o erano serpenti e bisce che popolavano le grotte, che si insinuavano su per la veste e cadevano a terra quando egli si divincolava e vistele le schiacciava furiosamente, facendo uscire un liquido dalla loro bocca”.
Il sesso resterà sempre un tormento per il futuro papa. E le donne una vera e propria ossessione da fuggire in ogni modo e in ogni forma, anche in tardissima età. Dalle testimonianze raccolte al processo di canonizzazione, emerge infatti molto chiaramente come il santo eremita rifiutasse la vista stessa della donna: “Se compì guarigioni su di esse, le guarigioni avvennero per interposta persona o tramite oggetti fatti da lui pervenire all’inferma, mai direttamente”.
Insomma guarire gli infermi sì, ma a debita distanza, se l’inferma in questione appartiene al sesso tentatore.
Celestino è così terrorizzato dalle donne che non fa alcuna discriminazione, nemmeno di età. Per poterlo indurre a imporre le mani e guarire una bambina di tre anni, i genitori arrivano addirittura ad ingannare il santo, travestendo la bambina da maschietto. Perché anche una bimbetta di tre anni è una maliarda sensuale per il nostro eremita.
Nessuna meraviglia: ci sono stati santi che si rifiutavano di confessare donne e che inveivano furiosamente contro di loro. Basti pensare alla “dolcezza” con cui Tertulliano (pure, sposato) si rivolgeva al gentil sesso: “Ogni donna dovrebbe camminare come Eva nel lutto e nella penitenza. La condanna di Dio verso il tuo sesso permane ancora oggi; la tua colpa rimane ancora. Tu sei la porta del Demonio! Tu hai mangiato dell’albero proibito! Tu hai convinto Adamo, perché il Demonio non era coraggioso abbastanza per attaccarlo! Tu hai distrutto l’immagine di Dio, l’uomo! A causa di ciò che hai fatto, il Figlio di Dio è dovuto morire”.
“Ciò che stupisce semmai – commenta Golinelli – è la tardività di questa ginofobia”. Se Tertulliano scrive in un’epoca (III secolo) in cui i padri della Chiesa ancora si chiedono se la donna abbia un’anima e se le spettino altre funzioni oltre che quella di procreare, Pietro Angelerio nasce nel Duecento, il secolo dell’amore cortese, dei poeti della Scuola Siciliana, oltre che degli ordini mendicanti, anche femminili. D’altra parte Pietro non viene certo da Roma o Firenze, ma da un piccolo ambiente provinciale e contadino.
La paura delle polluzioni notturne è talmente tanta, che Celestino – disperato – prega Dio chiedendogli cosa deve fare quando succede. Deve in quel giorno celebrare la messa oppure no? Chiede consiglio a molti religiosi ma non trova una risposta unanime. C’è chi sostiene che sì, deve celebrare la messa, chi pensa di no, che non si può consacrare il corpo di Cristo dopo essersi “sporcati”.
Ma una risposta arriva proprio da quel sogno mandatogli da Dio, con quell’elevazione spirituale turbata dall’asinello che defeca senza ritegno. E’ il suo stesso corpo, l’asinello (non a caso Francesco d’Assisi lo chiamava proprio “frate Asino”) e i bisogni corporali dell’animale simboleggiano quelli sessuali del proprio corpo.
“E’ un problema che tormenta tanti religiosi nel Medioevo” spiega ancora lo storico Golinelli. “Se nel giorno erano stati vigili a combattere contro le tentazioni della carne, la notte – nonostante le veglie e le interruzioni stabilite dalla regola – li trovava impreparati a difendersi dalle immagini che si insinuavano nei sogni: le Nocturnae illusionaes”.
Un inno di Sant’Ambrogio, da recitarsi prima di dormire, è tutta un’invocazione a Dio perché conceda un sonno privo di quei fantasmi che portano a sporcare i corpi: “Se ne stiano lontani i sogni e i fantasmi notturni, schiaccia il nostro nemico, che i corpi non si insozzino”.
Giovanni Cassiano, un teorico del monachesimo del V secolo, dedica un’intera dissertazione nelle sue Collationes, la 22ma, a questo problema.
Sull’argomento si soffermava anche la Reugla Magistri, sulla quale san Benedetto impostò la sua Regola, che nel capitolo 80 impone al monaco che è involontariamente incorso in questo infortunio nella notte di confessarlo al mattino all’abate. Non così san Benedetto che, riconoscendone la delicatezza e l’involontarietà, non ne parla esplicitamente e la inserisce tra le piccole mancanze da riferire al padre spirituale.
Ma la tradizione monastica successiva continuerà ad avvertire la polluzione notturna come una sporcizia di cui era necessario purificarsi immediatamente. Oddone, abate di Cluny dal 927 al 942, così racconta di Gerardo d’Aurillac: “Quanto orrore avesse delle brutture della carne possiamo comprendere dal fatto che subiva con grande rammarico le illusioni notturne. Infatti, ogni volta che nel sonno era sorpreso da questa disgrazia del genere umano, un servo che dormiva vicino a lui gli portava in luogo adatto la biancheria sempre pronta perché si cambiasse, un asciugamano e un recipiente d’acqua. Il santo non tollerava che il suo corpo fosse sporcato, al punto che l’unica macchia che lo segnava nel sonno egli la lavava con l’acqua e soprattutto con le lacrime”.
Senso di disagio, senso di sporco, così come anche in Pietro Celestino, che tuttavia nella visione descritta va oltre la tradizione benedettina. Assume quasi i tratti della spiritualità francescana, che insegna ad accettare il corpo e le sue manifestazioni come naturali, quando sono spontanee, e quindi non da condannare.
Vanno però fatte delle distinzioni. Se sulle polluzioni involontarie può esserci tolleranza, la masturbazione viene considerata senza dubbio come una colpa. Nell’autobiografia di Celestino si racconta infatti di un pellegrino (molto giovane) che almeno due volte per notte aveva una polluzione e fu liberato da questo “vizio” dal suono miracoloso delle campane dell’oratorio di Santo Spirito di Maiella, fondato da Pietro Celestino, dove poi decise di fermarsi.
Colpisce tuttavia la grande differenza di visione tra Celestino e Francesco d’Assisi, nato, tra l’altro, circa trent’anni prima del futuro pontefice. Ma Pietro da Morrone era cresciuto in un isolato mondo contadino, mentre il Poverello proveniva dalla borghesia cittadina.
Francesco, infatti, ha una straordinaria apertura nei confronti del mondo femminile e una grande disinvoltura nella frequentazione delle donne.
Se ammette Jacopa dei Settesoli (che chiama però, scherzosamente e significativamente “Frate Jacopa” – quasi a sottolineare che non la considera una vera femmina) ai suoi momenti più intimi, morte compresa, con la bellissima Chiara ha un rapporto molto più prudente e distaccato, come testimonia la leggenda secondo cui al termine di un incontro in pieno inverno, alla richiesta della donna, “Quando ci rivedremo?”, avrebbe risposto: “Quando fioriranno le rose”. Resta però una frequentazione sicuramente insolita per un uomo medievale: basti pensare che lo stesso Cantico delle Creature viene scritto durante un soggiorno a San Damiano.
Rilevante è poi il buon senso con cui il santo interpreta le tentazioni sessuali: non una influenza maligna e diabolica, ma una chiamata alle proprie responsabilità. Quando subisce la più forte tentazione sessuale che le fonti gli attribuiscono, Francesco si spoglia completamente nudo e si getta sulla neve. Ma non si limita a calmare così i “bollenti spiriti”: si mette a costruire dei pupazzi di neve, poi dice: “Questa è tua moglie, questi i tuoi figli, questi i servi. Ora lascia tutto e vai a lavorare per dare loro da mangiare”.
La sessualità, quindi, non è un male in sé. Al contrario: ma l’attività sessuale comporta delle responsabilità sociali ed economiche che un frate non può permettersi per la vita che ha scelto. Si tratta quindi, di una questione di coerenza, e non di purezza.
Quanto alle tentazioni meramente sessuali e alle polluzioni notturne, è significativa la risposta che l’assisiate dà ad un frate che gli si rivolge particolarmente turbato: “Non avere paura, perché ciò che avviene attorno a te, senza il tuo consenso, ti sarà attribuito a merito, non a colpa”.
Arnaldo Casali