Cavaliere o letterato, giurista o poeta. In ogni caso, eloquente e di nobile famiglia e garante di un giudizio super partes, il podestà entra alla grande nella società medievale del Duecento, per dirimere i conflitti tra le potenti famiglie
Nel XIII secolo il Comune medievale ha raggiunto finalmente il suo pieno sviluppo. Se i Comuni, infatti, sono una presenza ormai consolidata e diffusa in tutta la penisola, si assiste al sorgere, dentro i Comuni stessi, di nuove situazioni che si fanno via via più pressanti: ad esempio, la lotta delle famiglie di uno stesso Comune alla ricerca di un maggiore spazio politico, con l’intreccio di complesse alleanze e rivalità interne ed esterne.
È in questo clima che si viene a creare una figura del tutto inedita: il podestà. Il podestà, detto anche “podestà straniero” (o forestiero), è una figura che viene scelta al di fuori della città, eletto dal consiglio proprio per pacificare i conflitti interni da un punto di vista al di sopra delle parti. I podestà sono spesso selezionati tra i cavalieri delle famiglie più autorevoli: di frequente erano uomini d’arme, proprio perché il loro compito era soprattutto di far rispettare le leggi del Comune. Questo compito è, tuttavia, molto facilitato dalla padronanza di competenze giuridiche, per cui molti podestà sono, appunto, giuristi. Un’ulteriore arma che può tornare utile nel pacificare gli animi è quella dell’eloquenza: alcuni podestà erano infatti addirittura poeti o uomini di lettere. Un’altra garanzia della presenza del podestà viene dalla durata del mandato, rigorosamente a termine: quasi sempre un anno o, molto più raramente, sei mesi.
La regione del Piemonte attuale (anche se all’epoca parte della “Lombardia”), proprio come altre zone d’Italia, aveva adottato il sistema dei podestà in un primo momento in maniera discontinua e, solo successivamente, come istituzione permanente.
L’evoluzione del Comune in Piemonte infatti, al contrario di quanto si pensava in passato, non è stata tardiva rispetto ad altre regioni e avviene all’arrivo del XIII secolo. La prima menzione in Piemonte dei “consoli” (così erano chiamati i membri dei consigli comunali: alla loro prima attestazione si fa di solito risalire l’anno di nascita di un Comune) nei documenti è del 1095 ad Asti. L’autonomia di governo rivendicata dai membri dei Comuni è limitata in tutto il Piemonte inizialmente dalla presenza ancora molto forte dei vescovi mentre, proprio nel XIII secolo, si afferma in modo chiaro il predominio delle casate principesche. In particolare due: i conti di Savoia, presenti in Val Susa fin dal X secolo e che ora premono verso la pianura rivolta a Torino, e i Marchesi di Monferrato, meno agguerriti dei primi, che esercitano la loro pressione sulle autonomie dei Comuni tra la pianura e le zone collinari ad occidente del futuro capoluogo piemontese, in quella vasta area che porta ancora il loro nome. Tale predominio principesco si renderà palpabile nella seconda parte del secolo, proprio osservando il rinnovamento della figura del podestà: nati come figure “nuove” e sopra le parti per eccellenza, finiranno per essere imposti dall’alto dai principi. Il ruolo dei Comuni, dunque, finirà ben presto per uscire fortemente stravolto e ridimensionato da questa parentesi di forte autonomia.
Tra i Comuni piemontesi più popolosi ed influenti all’esterno della regione c’erano Vercelli e Asti, ma anche la città di recente fondazione Alessandria, così chiamata in onore del papa Alessandro III, oltre a diverse altre città come Tortona, Alba, Chieri, Biella, Mondovì, Novara.
La maggior parte dei Comuni piemontesi trovano l’attestazione di consoli nel corso del XII secolo, come accadde anche anche per Torino, Casale, Cuneo: ad Alessandria la prima citazione della presenza di consoli risale addirittura all’anno della sua stessa fondazione.
La struttura del governo dei Comuni aveva la caratteristica della grande flessibilità: se la composizione dell’assemblea dei consoli, il contio, variava i suoi membri tipicamente ogni anno, il numero stesso dei consoli non era fisso, ma poteva anch’esso mutare.
Nell’età comunale si conobbe una grandissima espansione demografica, accompagnata ad un forte inurbamento, così come avvenne nel resto d’Italia: le città si espandevano anche oltre le mura, cosa che creò contrasti, ad esempio, dei cittadini con i proprietari dei terreni, spesso vescovi e conti. L’assetto urbano richiese in molte città una riprogettazione sostanziale, accompagnata da un aumento di giustizia “spicciola”, tramite contratti e atti giuridici, per i nuovi equilibri venutisi a creare. Un altro effetto di queste trasformazioni fu proprio il moltiplicarsi a dismisura delle fonti scritte, prodotte dai Comuni stessi di tali attività, fonti conservate talvolta fino ad oggi.
In questa fase espansiva era chiaramente aperta la strada alla conquista di spazi di potere sempre maggiore da parte delle famiglie consolari, nonostante fossero già un numero ristretto sul totale: di fatto, queste famiglie costituivano una vera e propria classe aristocratica.
L’introduzione della figura del podestà forestiero dunque, se da un lato tentò di riportare un maggiore ordine nell’applicazione delle leggi, dall’altro offrì uno spazio nuovo ad un vero e proprio mestiere di prestigio, per così dire, “internazionale” in un mondo di autonomie locali. Tale, nuova, circolazione di uomini finì inoltre per creare una nuova fitta rete di rapporti tra una città e l’altra, che produrrà una cultura diffusa di maggiore partecipazione politica.
In un primo momento i podestà venivano chiamati in specifici periodi di difficoltà in questo o quel Comune: ben presto, però, la loro presenza venne generalmente considerata tanto necessaria da rendere permanente la loro presenza nei Comuni, dando luogo così ad un vero e proprio “regime potestarile” sempre attivo: il fenomeno si verificò nei Comuni Piemontesi già nel corso del XIII secolo. I podestà, contrariamente a quanto avveniva altrove, spesso coprivano un’area geografica limitata, concedendosi rare puntate in Comuni all’esterno del Piemonte, quali ad esempio Genova, soprattutto, ma anche Savona, Milano, spingendosi raramente anche più lontano, fino a Belluno.
I podestà piemontesi furono pochi: solo 68 in tutto, fino alla metà del Trecento.
In compenso, spesso nelle maggiori città dell’est della regione, come Asti, Vercelli e Alessandria, erano chiamati podestà di provenienza milanese: l’influenza via via crescente delle famiglie milanesi in Piemonte finì per creare una fitta rete di alleanze che costituì, per un certo tempo, un barriera efficace contro la volontà di influenza di Federico II di Svevia in tutta l’area.
In Piemonte arrivarono anche diversi podestà genovesi, come nel caso del famoso poeta e trovatore Percivalle Doria, autore anche di alcune canzoni in provenzale e in siciliano, proveniente da una delle più antiche e potenti famiglie genovesi già allora e che proprio ad Asti, nel 1228, cominciò la sua lunga carriera di potestà “di professione”.
Un caso opposto, ovvero di un piemontese che è divenuto podestà altrove, è quello del novarese Brunasio Porca, che fu in carica a Milano nel 1216. Fu invece un vercellese, Giacomo Vialardi, a diventare il primo podestà di Torino, giusto nel 1200 : in virtù delle esperienze in più Comuni, unite alle origini lombarde della sua famiglia, divenne un personaggio chiave proprio nell’intreccio della rete di alleanze dei Comuni piemontesi con l’area milanese.
I podestà non agivano da soli, ma portavano spesso con sé una serie di figure specializzate in diversi ambiti, in particolare quello giuridico.
Ad esempio, a Torino nel 1217 Orfino da Lodi operò come giudice al seguito di un podestà: questo però non gli impedì, nel 1229, di divenire podestà egli stesso a Ivrea. Man mano che l’istituzione del podestà si arricchì di figure di contorno, di riflesso si vennero a formare consigli comunali sempre più allargati a famiglie di professionisti grandi e piccoli, che fino a quel momento erano rimaste estranee alla gestione del potere.
Questi consigli allargati, sempre nel corso del Duecento, finirono per eleggere il podestà, oppure, sempre più frequentemente, anche il “podestà del popolo”, anticipazione del “capitano del popolo”, attestato anche a Torino, Asti e Tortona.
Con l’ingrandirsi dell'”istituzione podestà”, vennero costruiti degli edifici per ospitare il personale al seguito della nuova figura politica. La prima città che scelse questa soluzione fu Vercelli.
Ad Asti esiste una “casa del podestà”, effettivamente attestata, anche se diversa da quella indicata dalla tradizione: a Torino invece, Comune ad autonomia limitata perché al centro delle contese dei Savoia e del suo vescovo, bisognerà aspettare addirittura la metà secolo XIV per vedere edificato questo particolare edificio.
In ogni Comune, annoverare un podestà tra i propri cittadini era naturalmente un grande onore, ben noto agli storici di tutte le epoche. Tra i podestà piemontesi che operarono fuori dal loro territorio, c’è Alberto da Rivoli, annoverato tra i podestà che operarono a Genova nel 1261 dallo storico piemontese Goffredo Casalis, nella sua opera monumentale intitolata “Dizionario, storico, statistico, commerciale degli stati di S.M. il re di Sardegna”, redatta a cavallo della metà dell’Ottocento. Il personaggio è citato anche in opere successive.
Rivoli nel Duecento è un Comune vero e proprio, i cui consoli sono attestati fin dal secolo precedente, tuttavia il territorio esso è ferocemente conteso tra i vescovi di Torino e i Savoia, che sono in piena avanzata dalla vicina Avigliana.
Il Comune a Rivoli ha un’autonomia molto limitata, come pure avviene nella stessa Torino.
A metà stessa del XIII secolo, con l’indebolirsi del potere vescovile torinese, Rivoli entrerà definitivamente nel dominio dei Savoia, come futura sede della corte.
Casalis annovera Alberto proprio tra i cittadini illustri nati a Rivoli. Per questo si rifà all’opera del “Giustinano” e dei suoi “Annali Genovesi”. Genova, oltre a vedere effettivamente avvicendarsi diversi podestà originari dal Piemonte, è proprio uno dei Comuni italiani pionieri della produzione annalistica fin dall’epoca delle Crociate del secolo precedente e, dunque, di solida tradizione: per cui, è possibile fare una controprova con buona affidabilità.
In un mio studio, ho però verificato che tra gli annalisti genovesi non figura alcun “Giustiniano”: la citazione è dunque parzialmente inesatta. Tuttavia, leggendo i “Castigatissimi Annali di Genova”, opera dell’annalista cinquecentesco genovese Agostino Giustiniani, si nota che sono presenti le descrizioni delle attività e i nomi dei podestà che si sono avvicendati a Genova, anche nel Duecento: nel 1261 è presente effettivamente un podestà piemontese. Ma non è Alberto da Rivoli. Si tratta infatti dell’astigiano Giordano di Ralengo, il secondo podestà piemontese della città: il primo fu il giurista Martino del Cassero da Fano, scelto solo l’anno precedente e riconfermato anche l’anno successivo.
Tuttavia, lo stesso Giustiniani riporta, poche righe dopo, la notizia che nel 1265 fu podestà a Genova un bergamasco: Alberto da Rivola. Lo ricorda anche un altro annalista, Bartolomeo Scriba, in questo caso in latino (“Anno MCCLX. Fuit potestas dominus Albertus de Riuola cuius Pergami“). La mia conclusione, dunque, è che Alberto da Rivoli non sia stato un illustre personaggio rivolese, ma sia una falsa attestazione del 1847 ad opera del Casalis, successivamente ripresa da altre fonti, del molto meglio attestato podestà bergamasco Alberto da Rivola (noto anche come Alberto da Bagno).
Il che prova due cose: una, quanta confusione possano ingenerare oggi i nomi duecenteschi e, a mia opinione, quanto ancora sia forte il fascino della figura del podestà, per sua natura eclettica, autorevole e a tratti difficile da inquadrare nella sua epoca, anche per la inedita quantità di figure a suo contorno, al punto da indurre qualche piccola distrazione.
Marco Ciaramella
Bibliografia:
– Marco Ciaramella, “Alberto da Rivoli: an historical figure?“, Academia.edu, 2016.
– Goffredo Casalis, Dizionario, storico, statistico, commerciale degli stati di S.M. il re di Sardegna, 1847.
– Alessandro Barbero, Storia del Piemonte, 2008.