“Vi lascio liberi da entrambi gli uomini”.
È stato San Marino in persona a donare la libertà al suo popolo. E lo stato più piccolo d’Europa non permetterà mai a nessuno di portargliela via: nessun imperatore e nessun papa, nessun regime e nessuno straniero riusciranno a minare l’indipendenza della democrazia più antica del mondo.
E se pure, a dispetto della tradizione, a fondare la città libera non fosse stato lo stesso patrono il 3 settembre 366 quando, ormai novantenne, avrebbe convocato gli abitanti del monte Titano pronunciando la fatidica promessa, quel che è certo è che la Repubblica di San Marino è tale e quale almeno dal 27 giugno 1463, data in cui i Patti di Fossombrone sanciti con lo Stato Pontificio fissano i confini definitivi dello Stato che nessuno, d’ora in avanti, oserà più mettere in discussione.
Al di là della leggenda, che vede protagonista un tagliapietre originario della Croazia arrivato a Rimini per sfuggire alle persecuzioni di Diocleziano, la storia di San Marino inizia come quella di tanti liberi comuni del basso Medioevo, ma – a differenza di tutti gli altri comuni italiani – riesce a mantenere la sua totale indipendenza per più di mille anni grazie ad un’accorta strategia diplomatica unita all’autorevolezza di una antichissima tradizione.
Tradizione che si richiama, appunto, al tagliapietre dalmata giunto alla fine del III secolo insieme al compagno Leo (a cui è a sua volta dedicata una città). Marino converte al cristianesimo molti abitanti di Rimini, ma poi è costretto a ritirarsi sul monte Titano per sfuggire alle molestie di una donna giunta dalla Dalmazia che pretende di essere sua moglie.
Riuscito infine a smascherare il tentativo di raggiro, Marino viene ordinato diacono dal vescovo Gaudenzio e muore a 90 anni dopo aver garantito al suo popolo l’indipendenza sia dall’autorità del papa che da quella dell’imperatore.
La leggenda, scritta intorno al 900, con il passare dei secoli viene messa sempre più in discussione dagli storici, che giudicano totalmente anacronistica la sete di libertà espressa dal patrono.
“Le supreme parole Relinquo vos liberos ab utroque homine – dirà Giosuè Carducci nel 1894 inaugurando il nuovo Palazzo Pubblico – non le poté Marino aver pronunziate: troppo era aliena l’idea barbarica del doppio feudalesimo nell’impero e nella chiesa dal concetto della romanità pur cristiana del secolo quarto: ma verissime elle sonavano nel decimo o undecimo quando al santo moriente le diede lo scrittore qual si fosse della sua vita e degli atti”.
Una tradizione che se pure non iniziata dal santo, resta comunque antichissima: d’altra parte la “Terra di San Marino” (come era chiamata in origine) è abitata sin dalla preistoria e già nell’anno 1000 è governata dall’Arengo, l’assemblea composta da tutti i capi famiglia della città che ancora oggi rappresenta un raro esempio di democrazia diretta che la Repubblica può vantare.
Cresciuta all’ombra dell’impero bizantino prima e dello Stato Pontificio poi, la comunità di San Marino sotto ogni autorità continua a mantenere una forte autonomia; autonomia che si esprime innanzitutto nel mancato pagamento dei tributi al sovrano: “Non pagano perché non hanno mai pagato” si legge negli atti di un processo celebrato nel 1296. “È stato il loro Santo a lasciarli liberi”.
Come San Leo, Talamello e Maiolo, anche la città di San Marino è infatti esente dalle tassazioni. Con una differenza fondamentale, però: mentre nelle altre tre località l’esenzione dai tributi è un privilegio concesso dal feudatario, a San Marino è la comunità a rivendicare l’esenzione come diritto proveniente dal comandamento del santo patrono.
Nel frattempo, nel 1243 viene introdotta la figura dei capitani reggenti eletti dall’Arengo, che durano in carica solo 6 mesi e sono tuttora i capi di Stato e di governo di San Marino.
L’autonomia della città dallo Stato Pontificio viene formalizzata nel 1291 da papa Niccolò IV e nel 1351 dal vescovo di San Leo e del Montefeltro che la affranca dai vincoli feudali. Un secolo dopo viene creato anche il Consiglio Grande e Generale, composto da 60 membri dell’Arengo, al quale vengono delegate alcune prerogative dell’assemblea.
Arriva nel 1463, invece, l’occasione per trasformare il libero comune – finora limitato quasi esclusivamente al Monte Titano – in una vera e propria Repubblica raddoppiandone il territorio.
Nel 1460 i Malatesta, signori di Rimini, si apprestano a cingere d’assedio il Monte costruendo fortezze a Domagnano, Faetano e Fiorentino, situate a pochi chilometri dalla città di San Marino. La Repubblica assediata, però, non resta sola: a sentirsi minacciati dall’avanzata dei Malatesta sono infatti anche il ducato di Urbino guidato da Federico da Montefeltro e lo stesso Papa.
San Marino resiste, edifica nuove mura e rafforza gli armamenti: ogni Capitano reggente, al termine del mandato, deve consegnare una balestra nuova, e l’esperienza come mercenari ha fatto dei sammarinesi abili soldati; e altrettanto abili diplomatici: i capitani reggenti stipulano un’alleanza con il Ducato di Urbino e con lo Stato Pontificio, poi passano al contrattacco occupando tutte le fortezze dei Malatesta e avanzando fino a Falciano, ad appena 10 chilometri da Rimini, sconfiggendo le armate guidate da Sigismondo Pandolfo costrette a riparare a Cerasolo.
Il 27 giugno 1463 a Fossombrone vengono firmati i patti tra San Marino e lo Stato Pontificio che assegnano alla Repubblica i castelli strappati ai Malatesta di Domagnano, Faetano, Fiorentino, Montegiardino e Serravalle, stabiliscono l’affrancamento definitivo dal papa e quindi la piena indipendenza oltre ad altri privilegi.
“La detta Comunità di San Marino – si legge nei documenti – romperà guerra contro Sigismondo Pandolfo, e Malatesta de Cesena delli Malatesti, e loro complici e seguaci, et aderenti, e loro terre e sudditi (…) alla detta Comunità di San Marino saranno date in dominio la Corte di Fiorentino, li castelli di Mongiardino e Serravalle come le loro Corti, terreni e jurisdictione, in piede e per terra secondo parerà alla detta Comunità, pigliandose dette Terre”.
A segnare i nuovi confini è una città chiamata significativamente Dogana, e destinata a diventare con il tempo la più popolosa della Repubblica.
L’accorta politica del governo di San Marino, unitamente alla tradizione sempre più radicata di minuscolo stato indipendente, permetteranno alla Repubblica di continuare a mantenere la sua indipendenza per secoli resistendo a guerre, invasioni, dittature e rivolgimenti politici.
I tentativi di occupazione da parte dello Stato Pontificio, nei secoli successivi, resteranno infatti timidi e sporadici: nel 1503 Cesare Borgia instaurerà un regime che durerà appena dieci mesi per crollare alla morte del padre, papa Alessandro VI. Nel 1739, invece, un fallito colpo di Stato contro il governo della Repubblica sempre meno democratico (al Consiglio Generale si accede ora per cooptazione e non più per elezione) offrirà al cardinale Alberoni il pretesto per un tentativo di annessione allo Stato della Chiesa: tra i cospiratori ci sarà infatti Pietro Lolli, titolare di un’onoreficenza del Santuario di Loreto in virtù della quale chiederà di essere estradato nello Stato Pontificio per essere giudicato da un tribunale ecclesiastico
Il rifiuto da parte delle autorità repubblicane porterà ad una guerra con lo Stato della Chiesa e il cardinale legato arriverà a San Marino per “liberare il popolo dall’oligarchia”: in altre parole, per esportare la democrazia nell’antica repubblica. Ambizione piuttosto grottesca, da parte dell’ultima monarchia assoluta rimasta nel mondo occidentale.
Alberoni sarà tuttavia accolto festosamente dai parrocchiani; poi, però, di fronte al rifiuto delle autorità sanmarinesi di giurare fedeltà allo Stato Pontificio, sarà lo stesso papa a cambiare rotta e ambasciatore, finendo per restituire alla Repubblica la sua totale indipendenza.
Sceso in Italia nel 1797, persino Napoleone, rispetterà l’autonomia del piccolo paese, offrendogli addirittura di estendere ulteriormente i suoi territori arrivando fino al mare. Un’offerta prontamente e saggiamente declinata dal governo repubblicano: il capitano Antonio Onofri risponderà infatti al generale corso che “la Repubblica di San Marino, contenta della sua piccolezza non ardisce accettare l’offerta generosa che le viene fatta, né entrare in viste di ambizioso ingrandimento che potrebbero col tempo compromettere la sua libertà”.
Una scelta che sarà premiata dalla Storia: quando l’impero francese crollerà a Waterloo, infatti, la Repubblica di San Marino non sarà considerata sua alleata e il Congresso di Vienna nel 1815 ne confermerà i confini.
Durante il Risorgimento la Repubblica dimostrerà, ancora una volta, lungimiranza politica offrendo rifugio a Garibaldi in cambio della promessa di veder tutelata la sua indipendenza. San Marino si inimicherà così lo Stato della Chiesa – suo protettore da sempre – e l’impero austriaco, ma si guadagnerà il rispetto dell’Italia unita, che si sostituirà al Vaticano nel ruolo di partner privilegiato della Repubblica con un Trattato di amicizia firmato nel 1862 e rinnovato nel 1939 e nel 1971.
Di fatto San Marino – pur indipendente – oltre a stabilire con l’Italia un’unione doganale, linguistica e monetaria (come Città del Vaticano, la Repubblica adotterà prima la Lira italiana e poi l’Euro, pur non facendo parte dell’Unione Europea), condividerà con il resto della penisola anche le vicissitudini sociali e politiche: dal fenomeno dell’emigrazione verso l’America all’intervento della Prima guerra mondiale, fino all’avvento del fascismo che prenderà il potere con le elezioni del 1923 e lo manterrà per vent’anni, senza però trasformare la Repubblica in dittatura.
San Marino seguirà il destino dell’Italia anche al tempo di Salò, l’occupazione tedesca e i bombardamenti alleati, mentre nel dopoguerra prenderà una direzione molto diversa, sotto il profilo politico, dal resto della penisola: mentre in Italia inizierà la lunga era della Democrazia Cristiana, infatti, a San Marino il governo sarà di matrice comunista-socialista, guadagnandosi la diffidenza dell’intero blocco occidentale.
Tra gli anni ‘80 e il 2000 la Repubblica di San Marino si svincolerà progressivamente dal rapporto quasi esclusivo con la Repubblica Italiana, ampliando le sue relazioni internazionali: entrerà nel Consiglio d’Europa e nelle Nazioni Unite fino a definire – ufficialmente nel 2011 – stemma e bandiera, con una striscia celeste, che rappresenta il cielo, sovrastata da una bianca che vuole ricordare la libertà.
Perché la libertà, a San Marino, sta sopra a tutto: anche sopra al cielo.
Arnaldo Casali