L’inebriante odore dell’incenso si leva tra le altissime volte della cattedrale di Reims, addobbata a festa, gremita di colori, paramenti, manti, copricapi d’ogni foggia, voci, colpi di tosse, ventagli; illuminata da centinaia di candele, è uno splendore a perdita d’occhio. Ma tutti gli sguardi sono per lei: bella come mai una donna è stata bella dai tempi dell’Annunciazione, felice fino quasi a esplodere, vittima di una gioia immensa.
Jeanne attende come una sposa il suo delfino. Scintillante nella sua armatura, il volto raggiante, tiene tra le mani lo stendardo bianco, non trattiene dagli occhi le lacrime.
Il 17 luglio 1429 è il giorno più bello della sua vita. È il momento per cui ha lottato, per cui ha combattuto, per cui ha scavalcato con forza, energia e fede ogni ostacolo, contro tutto e contro tutti: contro gli inglesi invasori e contro la diffidenza della gente, contro i francesi traditori e contro il maschilismo dell’esercito. Armata solo di fede in Dio e amore di patria.
Un boato e un applauso accolgono, in fondo alla chiesa, l’ingresso della processione. La folla di fedeli e sudditi si apre in due come le acque del Mar Rosso per far passare uno stuolo di vescovi, prelati, nobili e cavalieri; e finalmente appare lui: il Delfino di Francia.
Spoglio di ogni paramento come mai Giovanna lo aveva visto prima, Carlo indossa solo una veste blu e appare ai suoi occhi bellissimo e maestoso.
L’amore, anche solo di patria, fa di questi effetti: perché certo bellissimo, Carlo VII, non è, e maestoso non lo è mai stato, con quella sua testa calva, gli occhi spenti, la faccia smunta, il fisico gracile, lo sguardo perso e sempre un po’ perplesso.
Che potesse diventare davvero re di Francia ci aveva creduto solo Giovanna d’Arco. Lui stesso non ci aveva mai pensato seriamente, fino al giorno in cui quella contadinella spiritata era piombata nel suo castello a Chinon.
D’altra parte il padre stesso lo aveva diseredato, cedendo nove anni prima il trono di Francia al re d’Inghilterra a patto che avesse preso in moglie una delle sue figlie. Ed Enrico V non si era fatto pregare: aveva sposato Caterina, sorella di Carlo e si era preso la Francia, occupandone il nord e avanzando verso sud.
Il Delfino, da parte, sua, pur rivendicando il trono – sosteneva infatti che la malattia mentale del padre avesse invalidato l’accordo con gli inglesi – si era rifugiato nel sud, girando con una corte itinerante tra i castelli della Loira e continuando a temporeggiare mentre il nemico, che assediava Orléans, si preparava a prendersi anche il resto del paese.
All’improvviso era arrivata a corte quella ragazzina, che sosteneva di essere stata mandata da Dio per cacciare gli inglesi e incoronarlo re. Carlo non le aveva dato un soldo di fiducia: non voleva nemmeno riceverla e quando, finalmente, aveva ceduto alle sue insistenze, l’aveva presa in giro mettendo un cortigiano qualsiasi sul trono e mescolandosi tra la folla. Tutto inutilmente: Jeanne, Dio solo sa come, l’aveva riconosciuto e aveva insistito perché acconsentisse a farle guidare una spedizione a Orléans.
Alla fine, s’era detto lui, non aveva niente da perdere e quella ragazza stava catalizzando incredibilmente l’entusiasmo della gente e dello stesso esercito. Così aveva acconsentito e la verginella – assurdo ma vero! – aveva cacciato gli inglesi da Orléans, avviando la riscossa della Francia e rovesciando le sorti della guerra.
Giovanna d’Arco e l’esercito francese avevano iniziato poi una trionfale offensiva nel nord della Francia. Dopo aver rafforzato gli organici e reclutato nuovi soldati, avevano risalito la valle della Loira e l’11 giugno erano arrivati a Jargeau, cittadina a 10 miglia ad est di Orléans, difesa da 700 inglesi dotati di armi da fuoco. Dopo aver conquistato i sobborghi della città, Giovanna aveva invitato gli inglesi ad arrendersi pacificamente, per poi far partire un pesante bombardamento di artiglieria prendendo una delle torri.
Poi era partito l’assalto alle mura: appena salita sulla scala, però, Giovanna era stata colpita da una pietra che si era spaccata in due sul suo elmo e l’aveva quasi uccisa. Eppure lei, miracolosamente, si era rialzata subito e la città era stata conquistata. Quattro giorni dopo avevano preso anche Meung-sur-Loire e il 17 giugno Beaugency, in una battaglia che aveva dimostrato anche le abilità diplomatiche della diciassettenne.
All’assedio del castello in mano inglese, infatti, si era voluto unire il Connestabile di Richemont, alla testa di 1200 uomini. Richemont, però, a causa di vecchi rancori con alcuni nobili della famiglia reale, era stato bandito dalle terre del Delfino. L’intervento era stato quindi contestato dal duca d’Alençon, comandante delle truppe francesi, ma a sanare il conflitto era intervenuta la Pulzella, a cui non interessavano le beghe di corte ma solo la vittoria.
Così aveva accolto il connestabile contestato tra i ranghi dell’esercito in cambio della fedeltà al Delfino. Di fronte a tale schieramento di forze gli inglesi non avevano potuto far altro che arrendersi; e anche qui Giovanna aveva messo a punto un capolavoro di diplomazia: aveva permesso all’esercito nemico di fuggire concedendo al comandante Richard Guétin un salvacondotto in cambio della promessa che non avrebbe ripreso le armi per almeno dieci giorni.
Il giorno dopo era stata la volta di Patay, dove l’esercito inglese partito da Parigi era arrivato per contrastare quella che appariva ormai come un’inarrestabile avanzata dei francesi.
La battaglia, la prima in campo aperto, era stata persa dagli inglesi anche per stupidità: gli arcieri – punto di forza dell’esercito britannico – si erano nascosti per un attacco a sorpresa, ma il giorno prima della battaglia vedendo passare un cervo nel campo si erano lanciati alla caccia e le loro grida avevano messo in allarme una spia francese. I 1500 uomini guidati da Giovanna avevano potuto così attaccare loro, a sorpresa, cogliendo gli inglesi impreparati: la fanteria era stata sterminata e la cavalleria era fuggita. Un comandante inglese era stato catturato mentre un altro – Falstaff – era riuscito a fuggire dando origine alla leggenda del comandante codardo e vanaglorioso che sarà ripresa poi da William Shakespeare e Giuseppe Verdi nelle loro opere.
Il bilancio finale era stato di oltre 2000 morti tra gli inglesi e appena 3 tra i francesi: un trionfo assoluto sotto il profilo militare, ma una immane tragedia sotto quello umano. Dinanzi ad un prigioniero inglese colpito con tale violenza da stramazzare al suolo Giovanna era scesa da cavallo e lo aveva preso tra le braccia. Lo aveva tenuto stretto, accarezzandolo e consolandolo, lo aveva aiutato a confessarsi e l’aveva accompagnato piangendo fino alla morte.
Dopo quel tragico trionfo, molte città in mano inglese si erano arrese spontaneamente, la via verso Reims era stata liberata e il Delfino poteva finalmente essere incoronato Re di Francia.
Eppure, se il popolo aveva acclamato festoso Giovanna, a corte la Pulzella aveva trovato una accoglienza freddissima. Carlo, indispettito per la riabilitazione non autorizzata di Richemont, era anche perplesso riguardo all’imminente incoronazione e Giovanna si era data da fare per rassicurarlo ed esortarlo a recarsi quanto prima verso la liberata Reims.
Poi avevano cavalcato insieme fino a Châteauneuf-sur-Loire, dove si era svolto un aspro confronto tra i notabili che consigliavano prudenza e attesa e i capitani meno influenti presso la corte, ma che avevano sperimentato sul campo il formidabile potenziale di cui disponevano: grazie a Giovanna per la prima volta l’esercito francese poteva contare sull’appoggio del popolo e sul continuo arrivo di volontari e non si poteva perdere tempo di fronte ad un simile stato di grazia.
Alla fine la Pulzella aveva avuto la meglio e l’esercito aveva marciato risolutamente verso Reims, in pieno territorio borgognone, affrontando una nuova battaglia a Troyes. Qui il consiglio dei capitani di guerra, riunitisi dinanzi al Delfino, aveva proposto ancora una volta di interrompere la spedizione e Giovanna – esasperata – aveva fatto irruzione durante la riunione chiedendo due o tre giorni per prendere la città. Anche stavolta i fatti le avevano dato ragione: di fronte al suo carisma, Troyes si era arresa e aveva riconosciuto Carlo come proprio sovrano. Le truppe inglesi e borgognone avevano ottenuto di poter lasciare la città con quanto avevano, compresi i prigionieri ma Giovanna si era opposta e aveva costretto Carlo a pagare il riscatto per la liberazione dei francesi catturati.
Il 10 luglio Giovanna la Pulzella era entrata a Troyes con la propria compagnia e, di lì a poche ore, Carlo aveva fatto il suo ingresso trionfale nella città senza colpo ferire.
L’esercito “della Consacrazione” aveva attraversato poi Châlons, dove gli era venuto incontro il vescovo accompagnato da una delegazione di cittadini e il 14 luglio Sept-Saulx, dove gli stessi abitanti avevano cacciato la guarnigione anglo-borgognona. Lungo la via Giovanna aveva ritrovato anche alcuni abitanti del suo paese natale, Domrémy, e aveva potuto riabbracciare i suoi genitori, abbandonati qualche mese prima senza nemmeno un saluto.
Il 16 luglio l’esercito aveva fatto ingresso a Reims e iniziato i preparativi per la cerimonia di consacrazione del re.
Ed eccoci arrivati qui, dunque: ai due lati del presbiterio stanno gli “ostaggi” della Santa Ampolla, quattro cavalieri incaricati di scortare la reliquia che dai tempi di Clodoveo è utilizzata per consacrare ed incoronare il re di Francia, affiancati da sei esponenti della nobiltà; dall’altra parte siedono sei pari ecclesiastici. Dinnanzi a tutti gli altri stendardi, a un passo dell’altare, c’è quello bianco della Pulzella.
Giunto all’altare maggiore Carlo si inginocchia di fronte all’arcivescovo Renault de Chartres. Pronuncia i giuramenti prescritti, poi l’arcivescovo gli unge la testa e le spalle con l’olio della sacra ampolla che, secondo la tradizione, un angelo sotto forma di colomba ha affidato a san Remigio mille anni fa.
Renault consegna lo scettro a Carlo mentre viene ricoperto dei paramenti regali e del mantello di pelliccia bianca e velluto blu tempestato di gigli dorati. Infine, tutti i prelati presenti circondano il nuovo re e gli pongono sulla testa la corona.
Re Carlo viene poi accompagnato solennemente sul trono sovrastato dal baldacchino per ricevere l’omaggio dei sudditi, mentre i pari laici annunciano ufficialmente al popolo la consacrazione dando inizio alla festa per le vie della città.
Giovanna si avvicina a Carlo con le lacrime agli occhi, si getta a suoi piedi e lo abbraccia. Abbraccia il suo gentile Delfino, diventato finalmente il suo re. Adesso nessuno potrà più fermarli.
“O gentile re – esclama – ora è compiuto il volere di Dio, che voleva che vi conducessi a Reims per ricevere la Consacrazione, dimostrando che siete il vero re, e colui al quale il Regno di Francia deve appartenere!” .
Sono la coppia più bella del mondo, pensa lei. La più improbabile, pensa lui: l’uomo senza carisma, senza coraggio e senza bellezza ma con il sangue reale nelle vene e la corona sulla testa, che nulla ha fatto per guadagnare la sua gloria e la donna senza titoli, senza educazione e senza ambizioni, ma con una fede incrollabile, un fascino irresistibile, un coraggio imbattibile, che quella gloria l’ha conquistata solo per regalarla a lui e alla patria che rappresenta.
Carlo la guarda inginocchiata ai suoi piedi, piena di amore e di devozione. Sa di doverle tutto, ma proprio per questo quelle braccia attorno alle ginocchia iniziano a stargli strette. Per sei mesi ha obbedito a quella ragazzina, ha dovuto eseguire tutti i suoi ordini, assecondarla in ogni capriccio, difenderla da tutti i nemici, seguire le sue strategie. Ma adesso basta: adesso l’obiettivo è stato raggiunto e non ha più bisogno di lei; adesso è il re e sarà lui a decidere cosa fare.
Giovanna, da parte sua, si sente confusa e felice. L’apice della gioia è anche l’inizio dello sconforto. Ora che tutto è compiuto, ora che ha visto il popolo sollevarsi contro l’invasore e il suo Delfino diventare re, ora che si è riconciliata anche con i suoi genitori, ora che anche i suoi compaesani la acclamano come eroina, ora la sua missione è finita.
Quell’adrenalina che l’ha portata a compiere missioni impossibili sta venendo meno. E mentre guarda quegli occhi freddi che sembrano volerle dire: “Adesso non mi servi più, te ne devi andare” anche lei pensa la stessa cosa. Pensa che tutto sommato lascerebbe volentieri le armi per tornare a casa sua e che se dovesse scegliere un luogo dove morire sarebbe tra quei contadini che l’hanno seguita, semplici ed entusiasti, e certo non in quella corte piena di ipocrisia e opportunismo.
Ma no, non tornerà a casa, Giovanna la Pulzella; non ci tornerà mai.
Nei prossimi giorni, assegnata ad uno dei corpi di battaglia dell’esercito regio, riprenderà il cammino cavalcando a fianco al Bastardo di Orléans, accolta trionfalmente a Soissons ed a Château-Thierry, mentre Laon, Provins, Compiègne ed altre città faranno atto di obbedienza al re.
Ma in quella corte sempre più divisa da invidie e personalismi si scontreranno ancora quelli che vorranno dirigersi con Giovanna verso Saint-Denis per riconquistare la stessa Parigi e quelli che preferiranno trattare con i borgognoni per trarne vantaggio personale.
Tra i principali nemici di Jeanne ci sarà La Trémoïlle, favorito del re e acerrimo rivale di Richemont, che insieme ad altri membri del Consiglio reale convinceranno Carlo a prendere tempo e indugiare.
Una nuova battaglia la aspetterà il 15 agosto a Montépilloy; questa volta, però, gli inglesi si difenderanno bene con una siepe di pioli che impedirà ogni carica di cavalleria frontale e che Giovanna stessa cercherà di abbattere colpendola – inutilmente – con la sua spada.
Alla fine, però, l’esercito inglese si ritirerà a Parigi permettendo ai francesi di raggiungere Compiègne e, da lì, Saint-Denis, luogo delle sepolture reali.
Ad un passo dalla conquista della capitale, però, Giovanna si troverà isolata. Carlo VII, deciso a percorrere la via più lenta – e remunerativa – degli accordi diplomatici, scioglierà l’esercito avviando trattative con la Borgogna e siglando una tregua di quindici giorni, mentre il Bastardo d’Orléans e la sua compagnia saranno licenziati. Giovanna, tradita dal re che lei stessa ha creato, perderà uno dopo l’altro l’appoggio di quasi tutti i nobili.
Il 21 agosto, a Compiègne, prenderà forma l’idea di una tregua più lunga. Più che delusa, Jeanne sarà furibonda: la cessazione delle ostilità proprio alla vigilia della vittoria finale aiuterà gli inglesi – allo stremo – a riprendere fiato senza ottenere alcun vantaggio per i francesi.
La Pulzella con i capitani fedeli si attesterà allora presso le mura di Parigi sferrando l’assalto l’8 settembre. Arriverà con la sua compagnia fino al secondo fossato che circonda le mura, ne testerà la profondità con la sua lancia e proprio in quel momento sarà colpita alla coscia da una freccia, senza per questo arrendersi, e anzi, cercando di riempire con fascine e altro materiale il fossato. Dovrà farla trascinare via a forza il duca d’Alençon per metterla in salvo.
Il giorno seguente, preparandosi a sferrare un nuovo attacco nonostante la ferita, Giovanna sarà fermata da due emissari del re che le ordineranno di tornare a St. Denis, sul cui altare deporrà solennemente la sua armatura dando addio alla guerra.
Nelle lunghe settimane di inattività in cui sarà ospite della moglie di un consigliere del sovrano, però, sarà preda della depressione.
Quando finalmente Carlo le ordinerà di accompagnare una spedizione militare a Saint-Pierre-le-Moûtier, Giovanna tenterà una disperata riscossa.
Il 4 novembre la città sarà presa d’assalto e l’esercito più volte respinto; anche quando suonerà la ritirata, però, Giovanna continuerà l’assedio sotto le mura con cinque soldati, convinta di averne attorno cinquantamila. Eppure, ancora una volta, grazie a lei l’esercito riprenderà coraggio, tornerà all’attacco e prenderà la città volgendosi poi verso La Charité-sur-Loire dove condurrà un lungo e fallimentare assedio.
Tornata a corte, nuovamente stanca della forza inattività, fra fine marzo e i primi di aprile del 1430 Giovanna si rimetterà in marcia verso Compiègne, assediata dalle truppe anglo-borgognone. Sarà la sua ultima battaglia.
Niente più che una scaramuccia – sotto il profilo tattico – segnerà la fine della più grande eroina della Francia, un assedio minore in una guerra divenuta indolente e indecisa costerà la vita alla Pulzella e il suo simbolo più bello alla Francia.
Il 26 maggio Giovanna partirà da Compiègne per lanciarsi nell’assalto di Margny, cittadina in mano ai borgognoni, ma sarà sconfitta grazie ai rinforzi mandati da Jean di Lussemburgo: dopo aver respinto per tre volte l’assalto nemico, Giovanna ordinerà la ritirata e la proteggerà restando in coda allo schieramento di ritorno a Compiègne.
Quando arriverà finalmente alle porte della città per mettersi in salvo, però, le troverà sbarrate. Il governatore Guglielmo di Flavy, infatti, ne ordinerà la chiusura prima del rientro delle ultime truppe in ritirata, lasciandola fuori.
Nessuno saprà mai se si sia trattato di paura, confusione o tradimento. Quel che è certo che Jeanne la Pulzelle sarà abbandonata nelle mani del nemico: la Francia perderà il suo vessillo e la sua luce, e Carlo VII una figura divenuta in fondo troppo ingombrante.
“Allora la pulzella – scriverà il cronista Georges Chastellain, coetaneo di Giovanna – oltrepassando la natura di donna, assunse un atteggiamento di grande forza, e si accollò molta pena nel salvare la sua compagnia dalla sconfitta, rimanendo dietro, come leader e come la più coraggiosa fra la truppa. Ma lì la fortuna permise che fosse la fine della sua gloria, il suo ultimo combattimento, e che non dovesse mai più portare armi. Un arciere, un rozzo e molto arcigno figuro, pieno di molto livore poiché donna, della quale così tanto aveva sentito parlare, potesse pretendere di respingere così tanti uomini coraggiosi, così come già aveva fatto, afferrò un lembo della sua cappa dorata e la scaraventò a terra da cavallo”.
Sarà il tramonto della condottiera e l’alba della martire.
Arnaldo Casali