Azincourt, l’autunno della cavalleria feudale

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La Battaglia di Azincourt (miniatura XV secolo, Lambeth Palace Library).

La Battaglia di Azincourt (miniatura XV secolo, Lambeth Palace Library).

L’epopea della cavalleria medievale si infranse, in una fredda e umida mattina autunnale, nella pianura di Azincourt di fronte alla selva di frecce scagliate dai longbowmen, “villani” gallesi armati di arco lungo.

La battaglia di Azincourt (25 ottobre 1415) renderà manifesto quello che era già stato anticipato, ma non compreso, a Crécy (1340) e a Poitiers (1356): una forza leggera e mobile, con arcieri e uomini d’arme, ben diretta sul campo e con terreno favorevole, è superiore alle pesanti armi feudali, alla massa scomposta di cavalieri nobili a caccia di gloria prima che della vittoria, combattenti che ritenevano disonorevole battersi contro persone di ceto inferiore.

I nobili francesi, infatti, pensavano ancora ad una guerra “di classe”, fatta da cavalieri contro cavalieri, per dimostrare il proprio valore e, magari, prendere prigioniero il nemico per poi chiedere un riscatto. Quella mattina si trovarono di fronte l’esercito di Enrico V (9 agosto 1387-31 agosto 1422) formato da uomini d’arme, soldati non nobili, che combattevano con spada, mazza e arco, elmo o camaglio, e pronti ad utilizzare la “misericordia”, uno stiletto a quadrello che infilavano nelle fessure dell’elmo dei cavalieri disarcionati. Ad Azincourt gli uomini d’arme fecero strage della cavalleria francese. Anche a battaglia quasi finita, quando eseguirono l’ordine del re di passare a fil di spada i prigionieri.

Lo scenario politico La guerra dei “Cento anni” tra Francia e Inghilterra fu un lungo susseguirsi di campagne, scorrerie, grandi battaglie, assedi e intrighi politici. La pace di Brétigny del 1360 assicurò il dominio inglese nella Francia occidentale, di Calais, Cherbourg, Brest, della Guienna e anche un cinquantennio di pace. Con l’ascesa al trono di Carlo VI, malato di mente, si accesero i contrasti tra il partito dei borgognoni e degli armagnacchi per la gestione del potere in Francia. Enrico V aveva da poco represso la ribellione dei lollardi in Inghilterra (tacitando le richieste dell’alto clero), quando accettò l’invito dei Borgognoni ad intervenire in Francia, sia per consolidare le proprie conquiste territoriali sia per racimolare un grande bottino e tenere impegnati i suoi nobili. Intenzione del re era anche quella di stabilire rapporti economici e commerciali più saldi tra i Paesi Bassi e l’Inghilterra.

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Enrico V (1387-1422) in un ritratto di autore sconosciuto, National Portrait Gallery, Londra.

L’invasione Forte di 15.000 uomini, nel 1415, Enrico V sbarcò a Le Havre e puntò subito sulla roccaforte di Harfleur. La città capitolò dopo un assedio di cinque settimane senza che l’esercito francese riuscisse a portare soccorso. L’armata inglese fu decimata, però, da un’epidemia di dissenteria e alla caduta della città restavano ad Enrico poco più di 6.000 combattenti. A questo punto Enrico V cambiò piano e trasformò la spedizione in una “chevauchée”, una incursione di rapine, saccheggi e incendi a danno del territorio e della popolazione, da attuare lungo il tragitto di ritorno verso Calais. Il re sperava di rifornire il suo esercito nella roccaforte inglese, rimpatriare i soldati feriti (“l’esercito inglese che vinse nel 1415 ad Azincourt aveva al suo servizio non meno di venti chirurghi e di personale analogo disponeva anche l’esercito francese”1) e svernare al sicuro. La piena della Somme (lo scontro si svolgerà sui terreni gessosi dove 500 anni dopo avverrà una delle battaglie più lunghe e sanguinose della Prima guerra mondiale) costrinse il re inglese a prendere l’antica via romana fra Albert e Daupame, vicino Sars. Da lì si diresse verso la valle Termoise, in direzione di Blagny, in cerca di un guado non controllato dai francesi. Riuscì ad attraversare la Somme nei pressi di Nesle, puntando poi su Peronne e risalendo verso nord. Giunto nei pressi del castello di Azincourt, però, incrociò la strada dell’esercito francese. Il 24 ottobre uno degli esploratori inglesi tornò indietro al galoppo e avvertì il duca di York: “Di fronte a noi c’è un mondo di gente”. Il re volle certezze sulla presenza dell’esercito francese lungo la via della ritirata e inviò lo scudiero Daffyd Gamme a controllare. L’uomo d’arme raggiunse una collina e osservò la colonna di soldati che sfilava nella valle in basso: era proprio l’esercito francese composto da oltre 20mila uomini. Tornato indietro riferì ad Enrico: “Sire, ce ne sono abbastanza da uccidere, abbastanza da catturare e abbastanza da mettere in fuga”.
Enrico V raggiunse un’altura e osservò la lunga fila di cavalieri, pedoni, carriaggi, pennoni e banderuole che continuavano a sfilare a distanza. I due eserciti marciarono paralleli per alcune miglia, fino a raggiungere una stretta pianura tra Azincourt e Maisoncelles. Qui si accamparono per la notte a distanza di tre tiri d’arco l’un dall’altro. Il re inglese mandò un’ambasciata per trattare un lasciapassare: la restituzione di Harfleur in cambio del libero transito fino a Calais. I francesi rifiutarono. E allo scendere della notte iniziò a piovere.

La preparazione Enrico V non dormì quella notte, aggirandosi per l’accampamento, riflettendo e incitando i soldati, i compagni d’arme. Ispezionò le squadre di arcieri gallesi ricordando loro che i francesi avrebbero tagliato due dita della mano destra a qualunque arciere avessero catturato. Il re inglese pensava alla battaglia dell’indomani.
La mattina del 25 ottobre Enrico controllò il campo e sorrise: il terreno arato che si stendeva tra i due eserciti, circondato dalla foresta di Azincourt a sinistra e di Tremencourt a destra, era fangoso, pesante e stretto, meno di 1 chilometro. Uno spazio contenuto, a forma di clessidra, all’interno del quale la cavalleria francese non avrebbe potuto dispiegarsi e caricare pesantemente. Un fronte molto stretto, invece, che poteva ben essere coperto dai longbowmen di Enrico. L’arco lungo gallese univa la potenza di lancio della balestra ad una cadenza di tiro pressoché tripla. Grazie a speciali punte era in grado di penetrare la pesante corazza dei cavalieri. I longbowmen si spostavano a cavallo o a piedi e combattevano in ranghi come gli uomini d’arme, indossavano giacche imbottite, a volte pettorine di ferro o una cotta di ferro, un elmo aperto davanti o un camaglio (un cappuccio di maglia di ferro), all’epoca della battaglia era già in uso indossare schinieri e avambracci di metallo.

Rappresentazione schematica della battaglia le forze inglesi sono in rosso, le francesi in blu

Rappresentazione schematica della battaglia: le forze inglesi sono in rosso, le francesi in blu.

Lo schieramento Gli inglesi si schierano con gli uomini d’arme dispiegati su quattro file e gli arcieri in formazione a cuneo a copertura dei fianchi dell’esercito e dietro le fila dei fanti. I cento cavalieri nobili si dispongono attorno al re. Davanti allo schieramento vengono piantati dei pali appuntiti per fermare la carica di cavalleria.
L’esercito francese contava 1.500 balestrieri e 4.000 arcieri al comando del maestro David de Rambunes, 2.500 tra cavalieri pesanti e uomini d’arme e oltre 15.000 fanti (comprese le salmerie). I francesi erano guidati dal Conestabile d’Albret, dal maresciallo Boucicaut, dal duca D’Alençon e dal conte di Marle, vista l’impossibilità del “re folle” Carlo VI di Valois di governare regno ed esercito, e si schierarono con una parte dei cavalieri all’ala destra, e un’altra a sinistra e tre “battaglie” al centro. La “battaglia” era la suddivisione in ondate di cariche della cavalleria o di fanti. La prima “battaglia” era la più ambita, perché permetteva ai cavalieri di mostrare il proprio valore. Il Conestabile d’Albret aveva studiato un piano che prevedeva l’avvio della battaglia attraverso un fitto lancio di dardi e frecce da parte dei balestrieri e degli arcieri per decimare le fila dei longbowmen. Poi sarebbero partite le cariche: la prima per travolgere le fila nemiche, la seconda per dare il colpo di grazia e la terza per eliminare fuggiaschi e prendere prigionieri. I nobili cavalieri francesi rifiutarono tale piano, ritenendolo un oltraggio e spinsero affinché la fanteria finisse ai lati del campo di battaglia. I balestrieri non scoccarono un dardo nel corso dello scontro, finendo relegati tra i carriaggi. I cavalieri francesi, quindi, si accalcarono per prendere posto nella “prima battaglia”, di fronte agli inglesi.

battle-of-agincourt Chronique de France. French. Manuscript

La battaglia di Azincourt fu immortalata anche da Shakespeare nell’Enrico V.

La battaglia Sono le 7 del mattino, le bandiere e i vessilli non garriscono per l’assenza di vento e perché bagnati dalla pioggia notturna. Enrico V passa in rassegna lo schieramento e, come racconta William Shakespeare nell’Enrico V (Atto IV, scena III), arringa le truppe: “Noi pochi. Noi felici, pochi. Noi manipolo di fratelli: poiché chi oggi verserà il suo sangue con me sarà mio fratello, e per quanto umile la sua condizione, sarà da questo giorno elevata, e tanti gentiluomini ora a letto in patria si sentiranno maledetti per non essersi trovati oggi qui, e menomati nella loro virilità sentendo parlare chi ha combattuto con noi questo giorno di San Crispino”. I francesi, però, non si muovono, sparano solo qualche colpo con i pochi cannoni (alle prime presenze sul campo di battaglia), ma con scarsi risultati vista la ridottissima cadenza di tiro e a causa delle condizioni del terreno: le palle di pietra non rimbalzavano nel fango e non arrecavano danno agli inglesi. Per quasi tre ore i due schieramenti si guardano da lontano, ma nessuno fa la prima mossa. Tanto che molti cavalieri francesi smontano di sella e mandano gli scudieri a prendere acqua e cibo.
Enrico V prende una decisione che cambierà il corso della giornata: si consulta con sir Thomas Erpingham (comandante degli arcieri) e con il duca di York e decide di far avanzare i suoi soldati. I longbowmen (circa 6.000) e gli uomini d’arme divelgono i pali di protezione e avanzano, nel fango, fino a portarsi a distanza di tiro degli archi, circa 300 metri. Le prime file piantano nel terreno i pali frangicarica e rientrano nei ranghi. Gli uomini d’arme inglesi sono un migliaio. Enrico è senza speroni, segno che combatterà a piedi, in mezzo ai suoi. I francesi guardano dalle loro posizioni e non intervengono, perdendo il vantaggio tattico di attaccare un esercito in movimento. Gli inglesi riprendono fiato dopo l’avanzata nel fango, incoccano le frecce e danno inizio alla battaglia.
Seimila frecce si abbattono sui francesi provocando morti, feriti (tra uomini e cavalli) e disordine. Le cavalcature impazzite travolgono tutto ciò che hanno intorno, i feriti cercano di guadagnare le retrovie per farsi medicare. I cavalieri che riescono a lanciarsi nella carica, dopo aver superato il caos che regna nella prima fila, si trovano impantanati nel fango e il tradizionale “élan” si perde prima ancora di entrare a contatto con gli inglesi. I quali continuano a scoccare frecce che decimano le schiere avversarie avanzanti a ranghi serrati, spalla contro spalla. Un bersaglio troppo facile per gli arcieri gallesi. Il destino di morte e ferite che era toccato ai cavalieri tocca anche ai fanti e agli uomini d’arme appiedati che provano a guadagnare il campo di battaglia. E mentre i fanti avanzano a piedi, con gli scudi alzati a proteggersi dalle frecce, l’ala destra francese carica gli inglesi, ma in maniera scoordinata, e si infrange contro la prima “battaglia” di cavalieri che si ritirava e i pedoni francesi all’attacco.

Rievocazione degli arcieri di Azincourt

L’arco lungo inglese, chiamato anche Longbow gallese, è un potente arco medievale lungo circa 6 piedi (1,8 m), utilizzato da inglesi e gallesi per la caccia e come arma di guerra.

“I cavalieri francesi non fecero alcun tentativo di aggirare gli inglesi sul fianco o di attaccare gli arcieri dotati di forti archi lunghi”2. E quando i primi francesi riescono ad arrivare al corpo a corpo si ritrovano così compatti da non poter utilizzare le spade, mentre gli inglesi li assalgono da tutti i lati con le spade “bastarde”, cioè da mischia, corte, a lama larga e pesante, o con le mazze a manico lungo utilizzate per piantare i frangicarica. “Gli inglesi assaltarono i francesi con spade, asce e altre armi, e incontrarono poca resistenza” scrisse un anonimo cronista francese. Molti cavalieri cadono nella mischia e finiscono affogati nel fango sotto il peso delle armature o calpestati dai combattenti (destino che toccherà al duca di York nelle fila inglesi). Gli arcieri inglesi si arrampicano sulle cataste dei corpi francesi per bersagliare la seconda “battaglia” che avanza agli ordini del duca d’Alençon. Altri gruppi di arcieri si muovono come mute di cani a caccia di fuggitivi o soldati isolati.
La mischia va avanti per poco. I francesi iniziano ad arrendersi e gli inglesi fanno migliaia di prigionieri, dividendo i nobili dai “villani”. Dai primi si possono lucrare forti somme di riscatto. In lontananza la terza “battaglia” francese si dirige verso il bosco di Tramecourt. Gli inglesi pensano ad un tentativo di prenderli alle spalle (alcuni popolani al seguito francese hanno già saccheggiato il campo del re inglese rubando il sigillo, la corona e il guardaroba di Enrico). In realtà si tratta di una fuga, di soldati che abbandonano il campo di battaglia, ma il re inglese non lo sa e prende una decisione che rimarrà come una macchia sul suo onore: far uccidere i prigionieri per poter fronteggiare un eventuale attacco. Minacciando di impiccare chiunque non avesse eseguito l’ordine, Enrico comanda alla sua guardia personale di iniziare l’eccidio. Cadono tutti coloro che non erano nobili, non avevano indosso i simboli della casato o non potevano permettersi un riscatto. Il duca di Brabante, in battaglia con l’armatura di un ciambellano e senza sopravveste con i colori del casato, viene passato per le armi.
Alla fine dello scontro si contano i morti. Gli inglesi ebbero 500 perdite tra soldati e cavalieri. “Dopo la vittoria inglese ad Azincourt gli oltre seimila caduti furono inumati sul luogo dai contadini della zona per interessamento del vescovo di Arras”3. I francesi piangono la perdita del Conestabile di Francia, tre duchi, 90 signori feudali, oltre 1.500 cavalieri e 7.000 fanti.
Seimila arcieri gallesi avevano avuto ragione della cavalleria francese. La lezione, però, non era stata ben appresa, neanche da chi aveva applicato tale strategia. Nel marzo del 1421 Enrico V venne sconfitto a Baugé, e suo fratello morì in battaglia, proprio perché aveva rinunciato ad usare la stessa tattica, mettendo da parte gli arcieri e attaccando con la sola cavalleria.

Conseguenze La sconfitta ad Azincourt e il possesso di Harfleur permisero ad Enrico V di condurre diverse campagne di devastazione nell’arco dei quattro anni successivi, consolidando le conquiste e riprendendo possesso della Normandia. Con il trattato di Troyes del 1420 e con il matrimonio tra lo stesso Enrico e Caterina, la figlia di Carlo VI, vennero poste le basi affinché le corone d’Inghilterra e Francia, se pur chiaramente distinte in base al trattato, finissero sullo stesso capo. Tre anni prima della battaglia di Azincourt, però, era nata, nel villaggio di Domrémy nel dipartimento dei Vosgi, una bambina alla quale venne messo nome di Giovanna. La guerra dei “Cento anni” (1337-1453) si avviava alla favorevole conclusione per la Francia. In oltre cento anni era cambiato il modo di far la guerra ed era cambiata l’Europa. L’Inghilterra si sarebbe votata al mare, il Sacro romano impero diventava una questione tedesca e la Francia assurgeva a nazione unificata.

Umberto Maiorca

A. A. Settia, Rapine, assedi, battaglie. La guerra nel medioevo, Laterza, 2004, pag. 283
G. Regan, Il guinnes dei fiaschi militari, Mondadori, 1999, pag. 142
A. A. Settia, op. cit., pag. 294