Belgrado, 1456: la battaglia che fermò gli Ottomani

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Maometto II , ritratto di Gentile Bellini.

Maometto II, ritratto di Gentile Bellini.

Il 29 maggio del 1453 Costantinopoli è perduta. L’imperatore Costantino XI Paleologo, armi in pugno, si getta nella mischia nei pressi della Porta di San Romano e scompare. Con lui muoiono anche le ultime vestigia dell’Impero romano. Dopo la caduta di Bisanzio tutta l’Europa è in pericolo. E lo sguardo del sultano Mehmet II si appunta sulla sterminata pianura ungherese.

I preparativi turchi Nel 1456 un’armata della stessa estensione di quella che aveva conquistato Costantinopoli marcia verso Belgrado, la porta dell’Europa. Venezia ha sottoscritto una pace separata con il sultano. Vienna è lontana. La Francia sta a guardare. Solo papa Callisto III interviene a favore dell’Ungheria . Indice una crociata e invia sette frati cappuccini, con a capo il settantenne Giovanni da Capestrano, a predicare nell’Europa orientale (in latino, affinché tutti comprendessero e visto che nessuno di essi parlava le lingue dell’Est) e raccogliere volontari per combattere l’Orda verde . Mentre i frati predicano e raccolgono un esercito di diecimila volontari, però, Mehmet II è già in vista delle mura di Belgrado e assedia il forte (in ungherese Nándorfehérvár).

Gli ungheresi Ad attendere le truppe musulmane c’è il nobile transilvano János Hunyadi, padre del futuro re Mattia Corvino, e già da due decenni a capo dell’esercito ungherese nella lotta contro i turchi. Hunyadi, forte della propria esperienza di guerra aveva previsto che le armate di Mehmet II avrebbero investito Belgrado con tutta la loro forza e dall’anno prima aveva iniziato i preparativi per la difesa, sapendo di non avere la forza di affrontare il nemico in campo aperto. Così dopo aver sottoscritto la pace o la tregua con i suoi avversari, aveva approvvigionato e riarmato al fortezza di Belgrado, lasciandovi una guarnigione di 7.000 uomini (tra cui un corpo di 200 balestrieri polacchi, fondamentali per la difesa delle mura) al comando del cognato Mihály Szilágyi e del figlio maggiore Laszlo Hunyadi. Lasciata Belgrado János Hunyadi si dedica a percorrere tutta l’Ungheria per arruolare un’armata di soccorso e costituire un flotta di 200 corvette per pattugliare i corsi d’acqua e colpire le navi turche che risalgono il Danubio. La nobiltà, i notabili cittadini e i ricchi commercianti, non rispondono all’appello, timorosi del potere che Hunyadi sta accumulando, ritenendolo più pericoloso degli stessi turchi. Il rifiuto del re magiaro Ladislao il Postumo di assumere la guida dell’esercito, inoltre, esenta di fatto la nobiltà dal prendere parte alla crociata. Identiche difficoltà incontra Giovanni da Capestrano, raccogliendo adesioni alla crociata tra contadini e i piccoli proprietari terrieri, spesso armati di fionde, mazze, falci e forconi. Sommando anche le bande di mercenari e alcune compagnie di cavalieri raccolte da Hunyadi e le persone che seguono i frati (solo dalla Germania partirono alla volta di Belgrado calzolai, sarti, tessitori, minatori, fornai, studenti, chierici) si arrivò ad una forza di 30.000 uomini. Mehmet II avanzava con almeno settantamila uomini perfettamente equipaggiati.

L’assedio Il 28 giugno del 1456 gli uomini di Szilágyi osservano all’orizzonte le truppe turche che sfilano dietro il vessillo con la coda di cavallo e si posizionano sulle alture davanti alla fortezza. Il 29 Mehmet dà l’ordine di iniziare a bombardare le mura con i cannoni trascinati a forza fino sopra le colline, mentre dispone le sue forze con i rumeli (fanteria leggera e artiglieria) sul lato destro, i corpi di fanteria pesante dell’Anatolia sul lato sinistro e riservando il centro ai suoi giannizzeri. La cavalleria leggera, gli spahis, pattugliava il Danubio ad est, mentre una parte della flotta presidiava la Sava a sud-ovest e a nord-ovest per evitare che eventuali rinforzi raggiungessero la fortezza.
Hunyadi proseguiva l’opera di reclutamento di truppe e sperava di giungere in tempo per rompere l’assedio, facendo affidamento sulla resistenza della rocca bizantina trasformata da Stefan Lazarevic, nel 1404, in un castello tra i meglio costruiti e difesi dell’Europa. La costruzione era dotata di tre linee difensive, del castello interno con il palazzo, un grande dongione (o maschio) difensivo, la città alta, quattro cancelli e una doppia cinta di mura. La città bassa con la cattedrale e il porto sul Danubio furono rinforzate da trincee, cancelli e nuove mura. Nel corso degli anni vennero aggiunte altre torri, compresa a Nebojsa costruita appositamente per ospitare per l’artiglieria.
I turchi martellano la città per quindici giorni, colpendo le mura con il tiro dei loro cannoni. Le difese reggono e gli assalti, nonostante le mura cittadine siano ormai sbriciolate, vengono respinti dai soldati assediati. Gli uomini di Szilágyi rispondono colpo su colpo ai giannizzeri di Mehmet II. La sera del 13 luglio Jànos Hunyadi è in vista della città e prepara il suo piano. Belgrado è circondata, ma la via del Danubio presenta un punto debole. Ed è lì che le truppe di soccorso puntano.

La Fortezza di Belgrado come appariva nel Medioevo. Sono visibili la città alta e quella bassa con il palazzo.

La fortezza di Belgrado come appariva nel Medioevo. Sono visibili la città alta e quella bassa con il palazzo.

La battaglia Quaranta navi ungheresi attaccano la flotta fluviale ottomana. Colano a picco tre grandi galee turche e vengono catturati quattro grandi vascelli e altre 20 piccole imbarcazioni. Alcuni cittadini di Belgrado, al comando di Iancu Hunedoara, all’approssimarsi della flotta di Hunyadi uscirono da Belgrado per colpire alle spalle la flottiglia ottomana, permettendo l’accerchiamento e l’annientamento del nemico. Un colpo di mano che consente a Hunyadi di entrare in città e rinforzare le difese, evitando che crollassero.
Il sultano, conquistatore di Bisanzio, non demorde e fa aumentare il tiro di artiglieria fino a riuscire ad aprire, il 21 luglio, diverse brecce nelle mura. In serata ordina l’assalto: prima avanzano la fanteria leggera degli azab, seguita dalla seconda ondata di akinji e di spahis, smontati. In formazione compatta, infine, seguono i giannizzeri. L’urto è violentissimo, l’assalto prosegue dal tramonto fino a notte inoltrata e le difese ungheresi cedono. Hunyadi dà ordine di ritirarsi nella cittadella fortificata. Appena gli ottomani entrano in città, però, vengono accolti da ripetute scariche di frecce e da pezzi di legno imbevuti di pece o altro materiale infiammabile, poi dal fuoco.

L'eroismo di Titus Dugović, dipinto ungherese del XIX secolo.

L’eroismo di Titus Dugović, dipinto ungherese del XIX secolo.

I giannizzeri e le altre forze turche entrate a Belgrado sono separate da quelle ancora fuori dalla mura. La fanteria pesante ungherese assale gli ottomani da tutte le parti e la città bassa si trasforma nel teatro di una carneficina che cessa solo all’alba del 22 luglio. Nessuno dei giannizzeri entrati in città ne uscì vivo, mentre tra i soldati che tentavano di varcare le brecce si contarono perdite ingenti. Un turco era quasi riuscito a scalare il bastione principale ed issare il vessillo verde, quando un soldato di nome Dugovics Titusz lo scaraventò di sotto, cadendo anch’egli (per questo gesto di coraggio il re d’Ungheria Mattia Corvino elevò al rango di nobile il figlio di Tito, tre anni più tardi).
Il sole si alza sulle mura del castello di Belgrado e i due eserciti sono troppo stanchi per proseguire nella battaglia. Gli ungheresi liberano le mura da corpi e macerie, mentre i turchi riparano verso il proprio campo. Ed è a questo punto che accade l’inaspettato. Le cronache riferiscono che un gruppo di crociati arrivati in città con fra’ Giovanni da Capestrano esce dalla mura per una razzia. Altre fonti parlano di un’azione militare iniziata su stimolazione del frate abruzzese. Da altri racconti si sa che alcuni difensori raggiunsero le fortificazioni avanzate semidistrutte e iniziarono ad attaccare i soldati nemici isolati. Alcuni spahis turchi cercano di caricare, ma vengono respinti. Dalle mura accorrono altri cristiani. La scaramuccia diventa presto battaglia.
Giovanni da Capestrano, secondo una cronaca di un confratello, cerca di richiamare i suoi, ma quando si vede attorniato da oltre 2.000 uomini li conduce alle spalle delle linee ottomane, attraversando la Sava, sollevando il crocifisso e gridando le parole di san Paolo: «Colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento» (Fil. 1,6). Hunyadi vede tutto dalle mura del castello, comprende il pericolo, ma ormai l’attacco è iniziato. Ordina alla fanteria pesante ungherese di attaccare il campo ottomano e si dirige verso le posizioni dell’artiglieria turca.

Assedio di Belgrado, 1456.

Assedio di Belgrado, 1456.

I nemici sono presi alla sprovvista e non si difendono, ma cercano di fuggire. Solo la guardia personale del sultano, circa 5.000 giannizzeri, si compatta e cerca di riconquistare il campo. Mehmet II stesso combatte. Uccide un cavaliere cristiano, ma viene ferito da una freccia ad una coscia e sviene. Gli ottomani sono presi dal panico, cedono di schianto su tutto il fronte e abbandonano senza combattere le tre linee di trincee difensive scavate giorni prima. Il nemico è in rotta, ma Hunyadi non si fida e ordina ai suoi di rientrare tra le mura e vigilare tutta la notte. Il contrattacco turco non arrivò più.
Con il favore della notte i turchi si ritirano, portandosi via i feriti su 140 carri. Il sultano riprende conoscenza solo a Sarona e preso atto della disfatta, migliaia di soldati morti, le artiglierie perse, l’equipaggiamento abbandonato, la flotta semidistrutta, tenta di uccidersi con il veleno, ma viene fermato da alcuni dignitari. Tra le fila ottomane si contarono 50.000 vittime, mentre tra gli assediati 7.000.

L’epilogo Per gli ungheresi fu un trionfo, tanto che papa Callisto III volle che la vittoria venisse ricordata nel calendario liturgico in occasione della festa della Trasfigurazione del 6 agosto.
Durante l’assedio il pontefice ordinò che la campane suonassero a mezzogiorno, così da chiamare i credenti a pregare per i difensori. Da allora, per commemorare l’avvenimento, continuano a suonare alla stessa ora.
Pochi giorni dopo la vittoria, però, scoppiò la peste che fece 3.000 morti nel campo magiaro. Jànos Hunyadi morì l’11 agosto e fra’ Giovanni da Capestrano il 23 ottobre.
La battaglia fermò l’espansionismo ottomano in Europa per almeno 70 anni. I cannoni persi a Belgrado furono recuperati dai turchi dopo la disfatta cristiana di Mohàcs (1526).
Nel canto XLIV dell’Orlando furioso, Ariosto parla dell’arrivo di Ruggiero “ove la Sava nel Danubio scende” nel momento in cui l’imperatore d’Oriente Costantino ha deciso di attaccare i bulgari. Il paladino si schiera in battaglia a fianco di questi ultimi. Secondo recenti studi, il grande poeta avrebbe voluto descrivere, con quei versi, proprio l’assedio di Belgrado da parte dei turchi nel 1456.

Umberto Maiorca