L’11 marzo 1387, lungo le rive dell’Adige, si combatte la battaglia di Castagnaro tra l’esercito degli Scaligeri, signori di Verona, e quello dei Carraresi, signori di Padova. Uno scontro che consacrerà (nel caso ve ne fosse bisogno) Giovanni Acuto, l’inglese John Hawkwood. Secondo molti storici militari fu una delle più grandi battaglie dell’epoca con i maggiori capitani di ventura sul campo ed è considerata la più grande vittoria del condottiero inglese al comando delle truppe padovane.
L’inseguimento
La rivalità tra Scaligeri e Carraresi è giunto al momento cruciale. I due eserciti si inseguono da giorni su e giù lungo le rive dell’Adige. I padovani marciano in direzione di Verona, mentre gli scaligeri discendono il fiume, riescono ad aggirare il nemico e tagliare le vie di rifornimento. I padovani si ritrovano in territorio nemico senza viveri (le cronache dell’epoca raccontano che i soldati mangiano i cavalli per sopravvivere) e costretti a riguadagnare il territorio amico vicino a Castelbaldo, dove il signore di Padova ha fatto confluire rifornimenti. I veronesi sono stati più veloci e li attendono al varco, freschi e riposati e in numero quasi quadruplo rispetto ai padovani.
Pensare di passare il fiume è impossibile, come mantenere la disciplina di un esercito impaurito e affamato. Francesco Novello con il suo contingente sono provano a passare il fiume per trasportare le provviste al campo, ma è tutto inutile. Giovanni Acuto capisce di non poter aspettare oltre: è in inferiorità numerica e con un esercito stremato, ma sa che l’unica possibilità di sopravvivere è di attaccare subito battaglia. Non così allo sbaraglio, però, prima vuole guadagnare almeno la posizione migliore. Che poi è quella presidiata dai veronesi.
Lo stratagemma
L’inglese escogita uno stratagemma tanto semplice quanto efficace: fa montare dei cavalieri, raggruppa dei guastatori e lì manda all’attacco dei veronesi, i quali ne hanno facilmente la meglio. I padovani allora fingono una fuga disordinata e nemici si gettano al loro inseguimento sul terreno acquitrinoso. Mentre gli Scaligeri arrancano l’Acuto fa attraversare rapidamente al grosso dell’esercito il Castagnaro, coprendolo la mossa con una pavesata e i balestrieri schierati sull’argine, a protezione dei cavalieri. Adesso le parti sono invertite. L’Acuto è in posizione di vantaggio e a quel punto lancia il segnale d’attacco. I Veronesi, pur più numerosi, non possono più attaccare frontalmente con tutta la forza della cavalleria e in superiorità numerica.
Lo schieramento
L’11 marzo 1387 sul Castagnaro, un canale emissario dell’Adige, si fronteggiano i due schieramenti in assetto da battaglia. L’Acuto far rinfrescare alla meglio le sue truppe e le organizza in otto schiere. In prima linea, sotto il suo comando le sue 500 lance personali e i suoi 600 arcieri, al suo fianco ci sono l’Ubaldini, il Pietramala, Ugolotto Biancardo, Francesco Novello, il Broglia, il Brandolino e il Biordo. Due ulteriori schiere al comando di Antonio Balestrazzi e di Filippo da Pisa, per un totale di altri 1600 cavalieri, sono mantenute come riserva intorno al Carroccio, pronte a dare manforte. Di riserva con mille fanti c’è di Bartolomeo Cermisone da Parma (famoso come comandante di fanterie, in un’epoca di cavalieri, tanto che sul Castagnaro giocherà un ruolo fondamentale per l’esito della giornata).
Il fronte veronese è ordinato in dodici schiere a cavallo, coperte dagli arcieri e balestrieri. Antonio della Scala si è portato dietro anche i tre carri da combattimento di cui dispone. Si tratta una torre quadrata girevole a tre piani dotata, su ciascun piano e lato di dodici “bombardelle” per un totale di 144 bocche di fuoco, manovrate da tre uomini e trainata da quattro cavalli corazzati. “L’azione di tali mezzi richiama la balista quadrirotis e il traino il currodepranus, descritti nel De rebus bellicis e nel trattato di Vegezio. Di carri imbattagliati parla anche Guido da Vigevano, descrivendone anche l’azione militare e bellica: progettati per correre con furore a confusione dell’esercito nemico”. Anche le carrette, o carri armati, di Antonio della Scala sono progettate per infilarsi in mezzo alle schiere dei nemici “tirare fuori le bombarde” e “tempestare di fuoco e proiettili le schiere nemiche, per romperle e dividerle, e prendere le bandiere”. Nella battaglia di Castagnaro, i carri rimangono inutilizzati. Dalle cronache “non risulta che si sia nemmeno tentata un’utilizzazione pratica dei tre carri, i quali caddero intatti nelle mani dei Padovani vincitori. Anch’essi, però, non seppero cosa farsene e non si hanno notizie di un loro utilizzo”.
Le forze in campo
L’esercito Carrarese era composto da Giovanni Acuto con 500 cavalieri e 600 arcieri; Giovanni D’Azzo e 1000 cavalieri; Giovanni da Pietramala con 1000 cavalieri; Ugolotto Biancardo e 800 cavalieri; Francesco Novello da Carrara con 1500 cavalieri; Broglia Brandolino e 500 cavalieri; Biordo e Antonio Balestruzzo con 600 cavalieri; Filippo da Pisa e 1000 fanti.
Gli Scaligeri schierano Giovanni degli Ordelaffi con 1000 cavalieri; Ostasio da Polenta con 1500 cavalieri; Ugolino dal Verme e 500 cavalieri; Benetto da Marcesana con 800 cavalieri; il conte di Erre con 800 cavalieri; Martino da Besizuolo con 400 cavalieri; Francesco Sassuolo e 800 cavalieri; Marcoardo dalla Rocca e 400 cavalieri; Francesco Visconte con 300 cavalieri; Taddeo dal Verme con 600 cavalieri; Giovanni dal Garzo e Ludovico Cantello e 500 cavalieri; Raimondo Resta e Frignano da Sesso con 1800 cavalieri; Giovanni da Isola con 1000 fanti, 1600 arcieri e balestrieri.
La battaglia
Lo scontro è raccontato con dovizia di particolari, spesso inventati, dal padovano Galeazzo Gatari, ed è preceduta dai consueti rituali: si invocano i santi patroni, si sfidano i cavalieri nemici, si mostrano insegne e partono insulti dall’uno all’altro campo. Francesco Novello da Carrara crea sul campo cinque cavalieri e l’Acuto in persona calza gli speroni d’oro ad alcuni cavalieri inglesi. I veronesi sono esortati dal comandante Giovanni degli Ordelaffi ad attaccare con ardore visto con lo scarso numero dei nemici e dietro la promessa di un ricco bottino e altrettanta possibilità di chiedere ingenti riscatti, visto che tra i padovani combattono tantissimi cittadini benestanti se non ricchi.
Sui campi di battagli non combattono solo mercenari, tanto che sul Castagnaro, accanto al fior fiore dei professionisti, ci sono anche soldati territoriali e, anzi, secondo le cronache sono proprio questi ultimi a essere fatti prigionieri in gran quantità. I veronesi hanno affidato il comando delle truppe territoriali a Giovanni dall’Isola. Questi campagnoli saranno gli ultimi ad arrendersi.
Ormai è pomeriggio e i veronesi decidono di attaccare, a piedi, per superare l’acquitrino (riempito di ramaglie) che li divide dai padovani. Avanzano con foga, incuranti dei dardi e delle frecce scagliate dagli arcieri inglesi e dai balestrieri padovani. Si fatto sotto, spingono i padovani e la difesa sembra quasi cedere. “Il sollecito capitano signor Giovanni degli Ordelaffi spinse al fosso sei delle sue battaglie contro tre delle carraresi, ove si diede principio ad un crudelissimo assalto, urtando e facendo uno contro l’altro con crudelissimo impeto rumori, e gridi alti e spaventevoli in ogni parte si sentivano”. La pressione dei veronesi arriva fino sotto le truppe dove si trova il signore di Padova. Allora il condottiero inglese fa cambiare posizione a Francesco Novello, spostandolo in un punto dello schieramento che gli permetterà di sganciarsi senza grosse perdite se le cose dovessero prendere una brutta piega.
Prima dello scontro il condottiero cerca di persuadere Francesco Novello da Carrara a non prendere parte alla lotta, di non esporsi al pericolo. Il signore di Padova sembra tentennare poi si rivolge a Ugolotto Biancardo e gli chiede cosa ne pensi. Ugolotto risponde che non fuggirebbe mai dalla mischia e chi lo vuole cacciare dovrà farlo con la forza. Udendo questo Francesco Novello risponde che non voglia dunque Dio che io parta dal campo di battaglia.
Mentre arcieri e balestrieri tengono impegnato l’esercito veronese, Acuto lo attacca sul fianco. È il momento dell’attacco vincente. Memore del suo passato di guerriero (il condottiero ha quasi settanta anni) getta il bastone del comando in faccia la nemico e urlando “carne, carne” sguaina la spada e si lancia nella mischia. Simile il racconto che fa lo scrittore bolognese Gherarducci, narrando le imprese del capitano di ventura e della battaglia in inferiorità numerica, conclusa in due ore di terribile carneficina.
A nulla serve l’entrata in campo delle riserve scaligere degli Ordelaffi e di Ostasio da Polenta. I nuovi arrivati sul campo si trovano la strada sbarrata dai padovani e non possono ricongiungersi con il grosso dell’esercito.
È la rotta dei Veronesi. Gli scaligeri perdono bandiere, capitani come Francesco Visconti, Ordelaffi, da Polenta, dal Verme e Facino Cane, uomini e cavalli.
Per Padova è un trionfo e Francesco da Carrara onora quanto ha promesso all’inizio dello scontro: paga doppia, un mese intero per tutta la soldatesca, a cavallo o a piedi, mentre ai capitani e condottieri toccano doni secondo loro “condizione e portamento”.
Le conseguenze
La fama dell’Acuto di essere il migliore capitano in Italia risultò pienamente confermata, anche se non bastò a conservare l’incarico, lasciato poco dopo.
La sconfitta di Castagnaro segnò la fine della lunga egemonia degli Scaligeri, che dopo qualche mese sarebbero stati cacciati da Verona dalle truppe viscontee. Nel 1406 terminava, con l’intervento di Venezia, anche la signoria dei Da Carrara a Padova.
Umberto Maiorca