Il più famoso santo scozzese veniva dall’Irlanda. È passato alla storia con un nome gentile: Columba che in lingua gaelica suonava come Colum Cille, “colomba della Chiesa”. Da non confondere con San Colombano abate, l’irlandese più noto del primo Medioevo, che edificò il celebre monastero di Bobbio, in Val Trebbia.
Columba era dolce ma solo nel nome. Le cronache medievali lo dipingono come un uomo austero e al tempo stesso focoso, severo con se stesso prima che con gli altri. Carismatico, di modi frugali, era naturalmente autorevole. Del resto, veniva da una famiglia di re, quella del potente clan degli Uí Néill (O’Neill) di Gartan: il suo bisnonno era infatti “Niall dei Nove Ostaggi”, il sovrano irlandese del V secolo che secondo la leggenda, durante una scorreria in Scozia, rapì il giovanissimo San Patrizio e lo portò con sé in Irlanda come schiavo.
San Columba nacque a Donegal, la terra più impervia e montagnosa dell’Ulster, il 7 dicembre del 521. Da quelle parti, ancora oggi, si parla il gaelico. Il futuro santo, con le parole dell’antica lingua, fin da quando era bambino amava dialogare con Dio. Appena adolescente, volle studiare il latino e la teologia. E scelse come maestro San Finnian di Clonard, uno dei padri del monachesimo irlandese. Negli anni successivi, forte del suo ruolo sociale, trovò anche il tempo di fondare comunità monastiche con importanti scuole annesse a Derry (545), Durrow P (553) e Kells (554).
Ma a cambiare la sua vita fu un altro viaggio di studi. Era andato a Moville, un centro costiero del Donegal, ancora oggi definita come “a place apart”, un posto a parte. Allora, nel 560, il piccolo paese all’estremo nord dell’Irlanda, era la sede di un importante centro monastico, guidato da un altro Finnian, meno famoso del suo omonimo di Clonard ma egualmente santo.
Lì Columba poteva studiare in modo appassionato, giorno e notte. Fu affascinato da un libro dei salmi, un prezioso salterio, che per ordine dell’abate nessuno poteva consultare. Columba disobbedì: lo copiò di nascosto, senza autorizzazione. Le leggende intorno al santo ricordano che scriveva in modo febbrile, di notte, con la mano destra, tenendo in alto le sante dita della mano sinistra che, in modo miracoloso, illuminavano le pagine che scorrevano sotto i suoi occhi.
Il monaco riuscì nell’impresa ma fu scoperto. Quando Finnian si accorse di essere stato ingannato, pretese che gli venisse subito restituita la copia abusiva di quella meraviglia. Columba si rifiutò: voleva quel libro per sé. Finnian, esasperato, lo portò a giudizio davanti al re Diarmuid, che ascoltò le parti e poi sentenziò: “A ogni mucca il suo vitello, a ogni libro la sua copia”. Columba fu costretto a riconsegnare la preziosa copia del libro di preghiere.
Ma non finì lì. Le storie d’Irlanda raccontano che Columba, offeso e furioso per il verdetto del sovrano, dichiarò guerra a Diarmiud. E insieme ai sudditi del suo clan e con l’aiuto dei nobili parenti, combatté quella che, ancora oggi, viene ricordata come la “battaglia del libro”. La realtà storica dice che lo scontro, che si svolse nel 560 a Cooldrumman, nell’attuale contea di Sligo, fu una vera e propria “guerra civile” per il controllo del potere tra le opposte fazioni della famiglia reale.
Fatto sta che furono uccisi tremila soldati del re a fronte di una sola vittima dichiarata dall’esercito di Columba. Forse fu lo choc per la strage, il realismo politico o la voglia impellente di un importante atto di penitenza dopo aver causato con la sua ostinazione la sanguinosa battaglia, che consigliarono a Columba di lasciare il suo paese: nel 563 partì come missionario per la vicina Scozia insieme a altri 12 monaci. Obbediva al desiderio, comune a tutti gli irlandesi, di “divenire pellegrini di Cristo”. Era comunque deciso a convertire al Cristianesimo un numero di persone almeno pari a quelle morte nello scontro fratricida di Cooldrumman.
Columba non tornò mai più in Irlanda. Ma sotto la protezione di Conall, sovrano della Scozia occidentale, approdò a Iona, la piccola isola delle Ebridi Interne posta davanti alla costa ovest della Scozia. In quel minuscolo lembo di terra esposto ai venti e alle tempeste, fondò un centro monastico la cui fama in breve tempo travalicò le isole del nord e giunse sino a Roma.
Da Iona, i monaci iniziarono a convertire al Cristianesimo la Scozia pagana e gran parte dell’Inghilterra settentrionale. Il monastero fu per molto tempo l’ultimo avamposto di alfabetizzazione di una vasta regione del nord Europa. La crescente fama di santità permise a Columba di essere spesso eletto anche al difficile ruolo di mediatore tra i clan scozzesi, eternamente in lotta tra di loro. La piccola isola diventò una sede continua di pellegrinaggi. E assurse al ruolo di luogo “santo” per almeno tre popoli, quando i re di Scozia, d’Irlanda e di Norvegia iniziarono a essere sepolti nel monastero.
La maggior parte delle notizie su San Columba ci sono arrivate grazie ai tre libri che compongono la “Vita Columbae” scritta da Adamnano, un altro monaco irlandese che fu il nono abate di Iona e morì nel 704.
L’opera di Adamnano sorprende il lettore per la prima citazione storica in assoluto del nome di re Artù in un documento inglese: Arturius è un principe degli Scoti, signore dall’anno 574 del regno gaelico di Dál Riata, tra l’Irlanda del nord e la costa occidentale della Scozia. Un territorio molto lontano dal rifugio del leggendario Re Artù poi individuato nel sudovest della Britannia.
Subito dopo la morte del santo, il poeta Dallán Forgaill scrisse un “Elogio di San Columba”: il testo di 25 strofe è la più antica poesia in lingua irlandese. Fu scritto per ringraziare il santo monaco che nel 575 convinse i principi a non espellere dall’isola i poeti, troppo esosi verso i nobili. Da allora Columba protegge anche i rimatori. Beda il Venerabile (673-735) ricorda invece che Columba convertì al Cristianesimo il re dei Pitti (dal latino pictus) che venivano chiamati così perché avevano l’abitudine di tingersi il corpo e i capelli.
Ma il santo permaloso che scatenò una guerra per amore di un libro, fu anche il primo a conoscere da vicino il “Mostro di Loch Ness”. In una data imprecisata del 565 il grande serpente disertò le sponde del famoso lago ma apparve lungo il fiume Ness. Stava mangiando un uomo di fronte a una folla terrorizzata. Columba arrivò appena in tempo con una croce in mano urlando: “Tu non andrai più oltre!”. La bestia scappò e non si fece più vedere da quelle parti. Almeno fino al 1930, quando riapparve nei racconti e sulle colonne dei giornali.
Del primitivo monastero di Iona, costruito con il legno e la pietra, non resta nulla (nella foto, l’attuale abbazia di Iona, in Scozia). Quando Columba morì, nel 597, i monaci continuarono la sua opera edificando nuove abbazie tra cui quella di Lindisfarne. A partire dal secolo VIII l’isola subì numerosi attacchi da parte dei Vichinghi che solo nel X secolo iniziarono ad abbracciare la nuova religione. Naturalmente adottarono San Columba come loro patrono. Ma la nuova fede, nella notte di Natale del 986, non impedì a un esercito danese stanziato a Dublino, di depredare il tesoro di Iona e di uccidere 20 monaci. Le continue razzie costrinsero molti religiosi a emigrare: le reliquie di San Columba furono trasportate nel monastero irlandese di Kells e in quello scozzese di Dunkeld.
Somerled, un abile capo gaelico, conquistò le Ebridi nel XII secolo. E i suoi discendenti, mescolati al potente clan scozzese dei Mac Donald, mantennero il controllo dell’arcipelago, tanto da adottare, al partire dal Trecento, il titolo di “Signori delle Isole”. Nello stesso periodo, a Iona sbarcarono anche i benedettini che si integrarono presto con i monaci superstiti dell’ordine di San Columba. Ai pellegrini, che sbarcavano ancora numerosi, i religiosi mostravano l’ultima reliquia rimasta di quel santo tenace e irascibile: una mano che sembrava quasi indicare ancora ai confratelli la via giusta da seguire. Beathag, figlia prediletta del re Somerled, fece costruire sull’isola anche un monastero femminile agostiniano del quale diventò badessa.
Da allora, molto tempo è passato. Le storie si sono mescolate alle leggende. Oggi, dopo numerosi e accurati restauri, il monastero di Iona è tornato agli antichi splendori. Columba, insieme a san Patrizio e santa Brigida è uno dei tre santi patroni d’Irlanda. E la sua festa si celebra il 9 giugno anche in Australia e in Nuova Zelanda.
Virginia Valente