Il rapporto dell’uomo contemporaneo con il Medioevo è fortemente ambiguo. Da un lato, la robusta persistenza di stereotipi che affondano le loro radici nella temperie culturale dell’Illuminismo e del Positivismo condiziona ancora il giudizio di coloro che, più o meno consapevolmente, utilizzano l’accezione “medievale” per definire qualsiasi fenomeno o evento riconducibile a un’epoca di oscurità e barbarie. Dall’altro, invece, sulla scia degli intellettuali romantici, non pochi vedono nell’Età di Mezzo una sorta di idealizzato periodo aureo della civiltà occidentale.
Questo continuo oscillare tra estremi così distanti ha prodotto negli ultimi due secoli numerosi frutti, spesso diversi tra loro. Tali approcci, che potremmo forse impropriamente definire “ideologizzati”, hanno infatti ispirato ad esempio le opere dei più grandi storici e intellettuali che si sono cimentati col Medioevo “ufficiale” – da Gibbon a Novalis, da Voltaire a Chateaubriand, fino alla storiografia nazionalista della prima metà del Novecento –, ma anche la nascita di una ingente quantità di produzioni artistiche di vario genere – pensiamo alla pittura, alla drammaturgia e, in tempi più recenti, al cinema, alla televisione e ai videogiochi – che, al Medioevo delle fonti, hanno preferito quello percepito, sognato, immaginato e rappresentato.
L’insieme di questi due fenomeni, unitamente al bisogno, soprattutto nella cultura occidentale, di ricreare e rivivere continuamente il Medioevo attraverso palii, rievocazioni e fiere, forma ciò che in ambito accademico è definito “medievalismo”, termine con cui si intende la ricezione, l’utilizzo e la rappresentazione postmedievale del Medioevo. Un fenomeno che si declina in molteplici forme, apparentemente diverse tra loro, e che influenza ancora oggi in modo profondo le società occidentali, dall’arte alla politica, dalla cultura di massa alla religione.
In Italia, lo studio del medievalismo – da alcuni anni fiorente in ambito anglosassone – stenta però a trovare una sua esatta collocazione, forse soprattutto a causa della mancanza di organicità dei (non pochi, a dire il vero) lavori sul tema, anche a opera di insigni studiosi. La natura necessariamente transdisciplinare di questo approccio ha sicuramente concorso alla formazione di alcuni pregiudizi, tra cui la percezione della disciplina come nebulosa e di difficile definizione, a metà tra giornalismo, Cultural Studies e semplice curiosità.
Riccardo Facchini
Articolo pubblicato su MedioEvo N° 257 di giugno 2018