Cracovia e la maledizione di Stanislao

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Santo Stanislao

Santo Stanislao

Stanislaw è il nome proibito. Un nome che, secondo la tradizione, non dovrà mai portare nessun vescovo di Cracovia.

È il nome appartenuto al santo patrono della Polonia e vescovo dell’antica capitale, nella cui morte si scontrano tragicamente i due pilastri dell’intera storia del paese: la Patria e la Chiesa.

Nella fine del patrono si disegnò il primo e più drammatico scontro tra i due poteri che per oltre un millennio finiranno quasi per identificarsi. D’altra parte è un paese – la Polonia – che affonda le sue radici nella tarda antichità ma che identifica la sua nascita come nazione proprio con la conversione al cristianesimo. E a partire dal 966, anno del “battesimo” del paese, nazione e chiesa sono stati praticamente una cosa sola: tutti i sovrani polacchi sono stati cattolicissimi e tutti i vescovi sono stati patrioti: non a caso se nel medioevo il re di Polonia risiedeva a Cracovia, il vescovo della città era il suo vice ed entrambi condividevano – come dimora eterna – la Cattedrale del Wawel.

Tutto ha inizio nell’anno 965, con il matrimonio della principessa boema Dobrava con il duca Mieszko, capo dei polani e residente a Gniezno, capitale della Grande Polonia.
Convinto di aver acquisito diritti sul regno vicino, Mieszko non perde troppo tempo per dichiarare guerra al cognato e impadronirsi dello Stato di Cracovia, fino ad allora appartenente al regno boemo.

Il centro storico di Cracovia, patrimonio dell'umanità Unesco (foto Diether)

Il centro storico di Cracovia, patrimonio dell’umanità Unesco (foto Diether)

Secondo la leggenda la città era stata fondata nella notte dei tempi dal mitologico sovrano Krakus, che l’aveva costruita sopra una caverna occupata da un drago: Smok Wawelski. Non a caso ancora oggi il simbolo di Cracovia è il drago, mentre sopra quella caverna sorge il castello di Wawel che ospita tanto la reggia quanto la cattedrale.
La prima attestazione storica della città risale invece all’ottavo secolo, come capitale della tribù dei Vistoliani (dal fiume Vistola), già cristianizzati. Passata sotto il regno di Boemia, Cracovia diventa polacca – di fatto – solo con la conquista di Mieszko e non è escluso che giochi un ruolo nella sua stessa conversione.

Un anno dopo il matrimonio con Dobrava, infatti, Mieszko decide di accogliere il battesimo, con la conseguente cristianizzazione dell’intera Polonia. “Indipendentemente dal fatto che la decisione fosse dettata da un calcolo politico, dalle pressioni della consorte o da una sincera conversione – spiega Lukasz Kaminski – il battesimo fu una decisione dalle enormi conseguenze. L’accettazione del cristianesimo rafforzò il giovane stato sia internamente che nell’area internazionale. La Polonia divenne parte della civiltà latina e Mieszko un pari grado degli altri regnanti europei”.

Il nuovo regno ha già un patrono che non è, però polacco ma – anche lui – boemo: sant’Adalberto, nato nel 956 e morto nel 997, era stato vescovo di Praga e si era battuto contro i commercio degli schiavi. Costretto a lasciare la sua diocesi era morto da missionario per mano dei prussi.
Il suo corpo viene stato riscattato a peso d’oro da Boleslao l’intrepido, figlio di Mieszko, che riesce a unificare tutte le terre polacche che si estendono a nord diventando il primo sovrano polacco di quella che venne definita come “Piccola Polonia”.

Boleslao II, re di Polonia

Boleslao II, re di Polonia

Nel 1000 Boleslao organizza anche un incontro con l’imperatore Ottone III a Gienzno, sulla tomba di Sant’Adalberto, che sarà – fino ad oggi – sede del primate di Polonia. E’ proprio Boleslao a fondare la diocesi di Cracovia e nel 1025 viene incoronato primo Re di Polonia. Come sua sede Boleslao sceglie proprio Cracovia, che per settecento anni resterà capitale della nazione.
Nei decenni successivi, sotto Mieszko II, il regno di Polonia viene investito da una lunga crisi e nel 1038 viene invaso dai cechi, battuti poi dal figlio Casimiro il Rinnovatore. E a Cracovia il figlio di Casimiro, Boleslao II – che ha preso il potere già dal 1058 – viene incoronato solennemente Re nel 1076.
Se l’appoggio a papa Gregorio VII nella Lotta per le investiture gli aveva fatto guadagnare la corona, appena tre anni dopo Boleslao si scontra ferocemente con il vescovo della capitale Stanislao.

Nato a Szczepanowski nel 1030, Stanislao aveva studiato nella scuola della Cattedrale di Gniezno e poi – secondo la tradizione – a Parigi. Ordinato prete dal vescovo di Cracovia Lamberto Zula, dopo la sua morte ne era stato acclamato successore ma aveva accettato l’incarico solo quando era arrivata la conferma della nomina da parte di papa Alessandro II.
Secondo l’agiografia, causa principale dello scontro con re Boleslao sono i costumi dissoluti del Re, che “si era dimostrato valoroso nella guerra contro i Russi, ma nella vita privata non rifuggiva dalle orge, e in quella pubblica dalla tirannia”.
Rapimenti e violenze sono i crimini che quotidianamente il re consuma con grande scandalo dei sudditi. “Nessuno di coloro che lo avvicinavano osava fargliene la minima rimostranza. Soltanto Stanislao ogni tanto lo andava a trovare per indurlo a riflettere sulla enormità dei propri crimini e le funeste conseguenze degli scandali che dava”.
Nonostante le buone intenzioni più volte espresse, Boleslao non riesce a liberarsi dalle sue irrefrenabili inclinazioni che lo portano – tra l’altro – a far rapire la moglie del signore di Silandia, famosa per la sua bellezza.
“L’arcivescovo di Gniezno, primate del regno, e i vescovi della corte – racconta l’agiografia – furono pregati d’intervenire, ma essi, timorosi di dispiacere al sovrano, rimasero dei cani muti. Soltanto Stanislao, dopo avere a lungo pregato, osò affrontare il re per la seconda volta e minacciargli le censure ecclesiastiche se non poneva termine alla sua vita disordinata e prepotente”.
Alle minacce di Stanislao, il re risponde con gli insulti: “Quando uno osa parlare con tanto poco rispetto ad un monarca, converrebbe che facesse il porcaio, non il vescovo”. “Non stabilite nessun paragone tra la dignità regale e quella episcopale – risponde il Santo – perché la prima sta alla seconda come la luna al sole o il piombo all’oro”.

Il sarcofago della regina Jadwiga nella Cattedrale del Wawel

Il sarcofago della regina Jadwiga nella Cattedrale del Wawel

Qualche tempo dopo Boleslao passa alle vie legali: Stanislao aveva comperato da un tale Pietro la terra di Piotrawin, ne aveva pagato il prezzo alla presenza di testimoni, per assegnarla poi alla chiesa di Cracovia. Nell’atto di vendita nessuna formalità era stata omessa, tuttavia Stanislao, confidando nella buona fede dei testimoni, non aveva richiesto al venditore una quietanza. “Essendo costui morto, il re chiamò a sé i nipoti di Pietro, li esortò a richiederne l’eredità come un bene usurpato dal vescovo, e li assicurò che avrebbe saputo intimidire i testimoni al punto da chiudere loro la bocca”.
Gli eredi, seguendo le istruzioni di Boleslao, intentano un processo contro il vescovo. “Stanislao stava per essere condannato quando, in seguito ad una improvvisa ispirazione, chiese ai giudici una dilazione di tre giorni, promettendo di fare comparire in persona Pietro, morto da tre anni. La richiesta fu accolta con uno sprezzante sogghigno. Dopo aver digiunato, pregato e vegliato, Stanislao il terzo giorno si recò al luogo in cui Pietro era stato seppellito, fece aprire la tomba e, toccandone con il pastorale la salma, gli ordinò di alzarsi. Il defunto ubbidì e il santo lo condusse con sé al tribunale dov’era ad attenderlo il re, la corte e una grande folla di curiosi”. Il defunto testimonia a favore del vescovo invitando i nipoti a fare penitenza per l’ingiustizia commessa, poi se ne torna alla tomba da cui era uscito scongiurando il santo di pregare Dio affinché gli abbrevi le pene del Purgatorio.

Il miracolo suscita così tanta impressione sullo stesso Boleslao, che il re si sforza di reprimere la sua lussuria e di mitigare le sue crudeltà, riscontrandone in cambio grandi successi militari, come la conquista di Kiev.

“Tuttavia, l’ebrezza della vittoria lo fece ricadere in braccio alle più sregolate passioni”. Stanislao, da parte sua, alterna preghiera a Dio e visite al Re. Ma le sue fatiche sono inutili: il sovrano lo carica di ingiurie e minacce di morte. Arriva così la scomunica e la proibizione di entrare in chiesa. Proibizione ignorata puntualmente da Boleslao. Il Vescovo arriva allora a ordinare ai ai sacerdoti di sospendere i divini uffici ogni volta che lo scomunicato entra nelle loro chiese mentre lui stesso sospende le messe in Cattedrale e va a celebrare a San Michele, fuori Cracovia.
Ogni limite è stato passato e Boleslao ordina l’omicidio.
E’ l’11 aprile dell’anno 1079: il vescovo sta celebrando la messa quando le guardie reali fanno irruzione nella chiesa di San Michele. Secondo la leggenda è il Re in persona a sguainare la spada e assestare un fendente sulla testa di Stanislao con tanta violenza da farne schizzare le cervella contro la parete. Poi infierisce sul corpo: del Vescovo vengono tagliati naso e labbra, e – dopo averlo trascinato fuori dalla chiesa – tutto il corpo viene fatto a pezzi e dato in pasto ai cani.
Secondo la tradizione quattro aquile restano a difendere per due giorni le reliquie del santo. Infine, nonostante le proibizioni, i fedeli arrivano a raccoglierle e le seppelliscono sotto la porta della chiesa. Due anni dopo il resti del vescovo vengono recuperati e traslati nella Cattedrale di Cracovia, dove si trovano ancora a vegliare quelli dei suoi successori.

Il cardinale Dziwisz bacia la bara di Giovanni Paolo II il giorno della sua beatificazione

Il cardinale Dziwisz bacia la bara di Giovanni Paolo II il giorno della sua beatificazione

Papa Gregorio, da parte sua, lancia l’interdetto sul Regno di Polonia, scomunica Boleslao II e lo dichiara decaduto. L’ex re trova rifugio in Ungheria dove matura – sempre secondo l’agiografia – un sincero pentimento che lo porta ad intraprendere un pellegrinaggio a Roma per implorare dal papa il perdono. Finirà i suoi giorni nel 1081 nel monastero benedettino di Ossiach, in Carinzia.
Intanto il regno di Polonia viene diviso tra i nipoti di Boleslao dando luogo a un lungo periodo di frammentazione territoriale.

La gloria tornerà nella nazione polacca solo dopo tre secoli, con il regno di santa Jadwiga: figlia di Luigi D’Angiò, divenuta regina a soli 11 anni, Jadwiga darà un grande impulso alla cultura (fa tradurre il Libro dei salmi in polacco e rinnova l’università di Cracovia, donandole dutto il suo patrimonio) e alle opere religiose e caritatevoli. Nel 1384 sposa il principe lituano Jagellone, dando vita alla più importante dinastia reale della storia polacca e al grande regno di Polonia e Lituania, destinato a dominare per tutto il medioevo l’Europa dell’Est con il nome di “Repubblica delle Due Nazioni”.

Santo Stanilslao di Cracovia viene canonizzato da papa Innocenzo IV ad Assisi nel 1253, lo stesso anno in cui muore santa Chiara.
Il vescovo diventa il principale patrono della Polonia ma sui suoi successori cade una maledizione: nessuno di loro dovrà più portare il suo nome.
Così avviene per quasi dieci secoli: fino al termine del secondo millennio dei 72 successori di San Stanislao (tra i quali si contano due beati e un altro santo – Karol Wojtyla) solo uno ha portato il nome proibito e ha pagato cara la trasgressione: nell’anno 1700, Stanislaw Dabski è infatti morto appena nove mesi dopo la nomina.

Ma la sfida di sfatare definitivamente la maledizione è stata assunta, a quanto pare, dal braccio destro dell’unico santo polacco e vescovo di Cracovia capace di mettere in ombra il patrono.
Segretario personale di Giovanni Paolo II per più di quarant’anni, dopo la morte di papa Wojtyla il cardinale Stanislaw Dziwisz è tornato a Cracovia come arcivescovo diventando – nel 2005 – l’ultimo successore del santo di cui porta il nome.

Arnaldo Casali