Quali sono stati gli istituti di assistenza nel periodo tardoantico? Come si evolvono poi nei secoli centrali del Medioevo? Quale è stato il ruolo della Chiesa e degli imperatori nel sostenere la causa dei più poveri?
Alla metà del IV secolo la religione cristiana acquista nuovo vigore. Nella sua evoluzione sono stati fondamentali due eventi: l’editto di Milano del 313, con cui si è dichiarato la libertà del culto, e l’editto di Tessalonica del 380, con il quale il cristianesimo è stato decretato religione ufficiale dell’Impero.
Da quel momento i vescovi acquisiscono un ruolo crescente diventando il fulcro della città, garantendo anche la persistenza di funzioni proprie della tradizione romana. La nuova rete cristiana assimila a sé e mantiene alcuni interventi come quelli annonari e la pratica dell’evergetismo, la donazione dei privati in favore dei poveri.
Resistono nel tempo anche alcuni istituti di assistenza ai pauperes, come la diaconia, un luogo in cui si provvede alla registrazione e alla distribuzione di aiuti e che si insedia presso le stationes annonae; il sistema della matricula, una lista di persone che hanno diritto ad essere assistiti; lo xenodochium, un termine greco – bizantino, che inizialmente indica un ospizio per stranieri, e successivamente un luogo di accoglienza per coloro che versano in stato di necessità.
Testimonianze sullo xenodochium ci arrivano dal Codex di Giustiniano, che lo assegna, insieme ad altri istituti ecclesiastici, all’assistenza dei fanciulli abbandonati e degli anziani. Informazioni sulla costruzione di questi luoghi ci vengono anche dal Liber Pontificalis, che attribuisce a papa Pelagio II (579-590) la creazione di uno xenodochio nella sua casa. A Lione, invece, è re franco Childerberto che, insieme alla moglie, fonda un luogo di accoglienza e di cura, poi gestito dalla chiesa lionese.
La presenza di diaconiae, matriculae, xenodochia e altre attività svolte dai monasteri ci fanno capire come il problema relativo ai bisogni dei poveri abbia avuto approcci diversi. Le funzioni di tutte queste istituzioni sembrano confondersi, anche se le diaconiae sono destinate principalmente alla distribuzione di aiuti, mentre le matriculae e gli xenodochia all’accoglienza dei bisognosi. Ma non è difficile trovare nello stesso documento termini diversi per una stessa struttura.
Gli organismi assistenziali possono trovarsi sia all’interno che all’esterno del monastero, sempre alla loro dipendenza e collocati lontano, lungo le vie del pellegrinaggio. Probabilmente dovevano essere semplici stanze dove pellegrini, viandanti, poveri e malati potevano trovare una sistemazione.
Dall’VIII – IX secolo lo xenodochium viene affiancato da un’altra struttura destinata sempre al ricovero e all’assistenza dei pellegrini: l’hospitium o hospitale. Un lungo elenco di capitolari carolingi ci mostrano come Carlo Magno e suo figlio Pipino abbiano avuto a cuore la sorte di questi edifici.
Nelle normative si incarica il clero di provvedere al mantenimento e al loro restauro. Ad esempio nell’Admonitio generalis si raccomanda l’istituzione di hospitia per ospiti di riguardo e per poveri e pellegrini: “perché il Signore stesso dirà, nel gran giorno della ricompensa: ‘ero straniero e voi mi avete accolto’”.
Il cap.1 del Capitulare di Pipino re d’Italia del 790 invece raccomanda di nutrire i poveri e di tenere gli hospitia in maniera ordinata. Nella stessa direzione il Capitulare Mantuanum del 781 dove si ordina in maniera chiara che gli ospizi devono essere restaurati.
Per regolare e garantire il funzionamento dell’autorità pubblica in materia di ospitalità e protezione dei poveri, Carlo Magno si avvale della collaborazione ecclesiastica, a cui sono rivolti i numerosi capitolari cosiddetti “ecclesiastici”. In queste leggi l’imperatore, oltre all’ospitalità, chiede agli abati e alle badesse, di evitare che a coloro che sono ospitati siano rivolte frodi e rapine, e anche di offrirgli, oltre ad un tetto e ad un pasto caldo, una parola di conforto.
La tutela degli hospitia è tenuta in considerazione anche dai successori di Carlo Magno. Le norme emanate nell’822 – 823 e nell’825, prima con Lotario re d’Italia e poi con Ludovico il Pio, ci informano sulla cattiva gestione degli ospedali. Il primo capitolare evidenzia l’uso, da parte dei vescovi, di concedere gli ospedali a parenti, amici e altre persone, dietro il pagamento di una somma di denaro. Questa consuetudine ha poi portato alla stesura del secondo capitolare che menziona i monasteri e gli xenodochia di pertinenza regia, caduti in rovina, e l’obbligo da parte dei gestori di rispettare le disposizioni dei loro benefattori in merito al loro uso. Il terzo capitolare, quello dell’825, sottolinea proprio le cause che hanno portato alla decadenza delle strutture in questione, forse dovute alla mancanza di indicazioni concrete su loro uso e sulle entrate economiche.
Quello della costruzione degli xenodochia è un fenomeno diverso da città a città e da area ad area, anche se un quadro comune si trova nella finalità di accoglienza per pellegrini e bisognosi lungo i punti più importanti della viabilità. Possiamo con sicurezza affermare che tra l’VIII e il X secolo c’è una buona presenza di xenodochia o hospitalia, sia interni che esterni al monastero.
Nell’XI secolo iniziano ad esserci delle sostanziali novità: gli xenodochia iniziano ad essere sempre meno e in declino. Questo periodo vede una povertà economica diffusa che porta a sviluppare un vero e proprio sistema assistenziale, quello degli ospedali che, pur avendo dei punti di contatto con le strutture precedenti, sono il frutto di nuove iniziative. A partire da questo secolo la presenza degli hospitalia contribuisce a costituire lo scheletro dell’organizzazione medievale, insieme a fondaci, stazioni di posta, osterie, taverne e locande.
Al ruolo tradizionale svolto dal vescovo si affiancano altri progetti che coinvolgono laici animati da un forte religiosità e desiderosi di operare nella realtà sociale con opere di carità o di misericordia. È questa la consistente novità rispetto al periodo precedente: gli ospedali iniziano ad assumere una propria identità, anche istituzionale.
Daniele Lamberti
Bibliografia
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