Dante e gli omosessuali, tra Inferno e Paradiso

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Sbaglia chi considera che Dante releghi gli omosessuali sempre e solo nell’Inferno. I sodomiti compaiono pure nel Purgatorio e sono quindi destinati, dopo la purificazione, al Paradiso. Aldo Onorati, dantista, scrittore, poeta e giornalista, insignito dalla Società Dante Alighieri del diploma di benemerenza con medaglia d’oro per la “profonda conoscenza dell’opera dantesca”, spiega la veduta lungimirante, moderna e coraggiosa del Poeta di fronte all’omosessualità. La critica si ferma, di solito al XV canto dell’Inferno e all’incontro “ambiguo” dell’autore della Divina Commedia con il suo maestro Brunetto Latini. Bisogna, invece, leggere di seguito il canto successivo, il XVI, il più importante intorno a questo tema.


La generale convinzione che Dante abbia sistemato gli omosessuali solo all’Inferno disprezzandoli, poiché tutti “d’un peccato medesmo al mondo lerci”, deve essere corretta. E vediamo perché.

Siamo nella prima cantica, al terzo girone del VII cerchio, dove sono puniti i violenti contro Natura. Una pioggia di fuoco cade incessantemente sui loro corpi, ed essi sono condannati a correre sempre.

L’incontro di Dante Alighieri e Virgilio con Brunetto Latini (Inferno, Canto XV), miniatura di Priamo della Quercia, ca. 1442-1450

Dante e Virgilio camminano su una specie di rialzo, dove non arriva la grandine bollente.

I sodomiti del primo gruppo (molti appartengono ai letterati), numerosi, hanno l’obbligo di non separarsi mai.

I violenti contro la Natura e l’arte (gli usurai), invece, stanno fermi sotto i lapilli come di lava incandescente, privi anche del sollievo di correre onde avere l’illusione che si ha sotto la pioggia battente: affrettando il passo, sembra di evitare qualche goccia d’acqua, ma il nostro riparo è una casa che ci aspetta, mentre in Inferno il percorso è identico nel cerchio chiuso.

La schiera dei sodomiti avanza, guardando, nel crepuscolo fitto, con curiosità comprensibile, aguzzando lo sguardo come nelle notti senza luna, o a guisa del vecchio sarto che deve stringere le palpebre difettando della vista.

In ogni canto (non dimentichiamo mai che si tratta sempre di exempla, per cui il Poeta descrive talvolta di sfuggita il dannato importandogli maggiormente di segnalare la pena) Dante incontra uno o più peccatori, sempre nella logica (espressa da Cacciaguida nel XVII del Paradiso) per cui c’è un individuo noto e un altro sconosciuto o quasi.

Brunetto Latini in un ritratto di fantasia

Nel XV della prima cantica, l’Alighieri s’imbatte in un suo maestro: Brunetto Latini. Costui, riconosciuto il Pellegrino, distende il braccio per toccargli il lembo del vestito. Il suo volto “cotto” dal fuoco non maschera la sua fisionomia, tanto che il Poeta riconosce il dannato. Sia il docente che l’allievo hanno esclamazioni ambigue: gioiose e stupite. La posizione elevata grazie alla cornice, obbliga Dante a chinarsi: è una significazione allusiva di rispetto oltre che di necessità pratica.

Ora, in ossequio ai dettami della Chiesa, Dante pone il suo amato e stimato maestro all’Inferno, ma, nonostante il peccato di lui e la pena (che ha del comico e del vergognoso), il Nostro è reverente nei confronti di colui che gli aveva insegnato, di quando in quando, “come l’uom s’etterna”. E dal maestro si fa predire un futuro radioso nella gloria letteraria.

Brunetto è fra i sodomiti, ma Dante ben presto lo pone a sé stante, lo qualifica indipendemente dal suo “traviamento”, quasi incurante del castigo divino. Non si dimentichi mai che nell’incontro coi dannati e i purganti, c’è, da parte del Pellegrino, una profonda e significativa diversità di trattamento e, quindi, di giudizio (si pensi a Paolo e Francesca, il cui dolore fa svenire Dante quasi fosse un corpo morto: è in disaccordo con la punizione il Sommo Poeta? No, ma sente di essere uomo e quindi in pericolo, ed ha pietà della fragilità umana).

È come se Dante talvolta si sdoppiasse: da una parte il giudice che obbedisce agli “schemi”, alle casistiche della colpa e della pena; dall’altra l’uomo, che approva la condanna aggravandola con la sua pervicacia, la sua aggiunta d’ira, oppure non la commenta, o addirittura reagisce ad essa non con il ragionamento esplicito, ma con l’umana pietà e anche lo sdegno.

Insomma, Dante ha una sua “teologia”, tanto che non dobbiamo stupirci se pone vicini, in Paradiso, personaggi che in Terra si sono combattuti e hanno vissuto chi lontano dalla Chiesa e chi vicino: Sigieri di Brabante e san Tommaso, ad esempio.

La dolcezza dell’incontro, la riverenza e la devozione di Dante per il sodomita Brunetto, viene spiegata così: “Latini è stato il suo maestro, quindi l’allievo non poteva agire altrimenti nei suoi confronti”.
La scusante è vera solo in parte. Lo vedremo fra poco, ed inequivocabilmente.

Tra parentesi: ai tempi dell’Alighieri la sodomia non era tollerata come oggi, e tantomeno compresa, anche se ugualmente praticata. Ma i secoli erano quelli. Roma, e più ancora Atene, erano passate. Dunque – come vedremo via via – Dante ha una veduta lungimirante, moderna e coraggiosa: non dà decisiva importanza alla sodomia, se debolezza minore in uno spirito grande e retto.

Ora, per la questione degli omosessuali ci si ferma, di solito, all’incontro “ambiguo” del Poeta con il suo maestro Latini. Bisogna, invece, leggere di seguito il canto successivo, il XVI, più importante e dichiarativo del XV. Tuttavia, anche qui si nota subito uno “stacco” di giudizio, quando Brunetto indica altri sodomiti che stanno con lui: Andrea de’ Mozzi, vescovo di Firenze, mandato da Bonifacio VIII a Vicenza, poiché i parenti di lui (il Mozzi) volevano togliere lo scandalo della sua pederastia; ma il vescovo era anche un approfittatore della ricchezza di Firenze, e Dante lo dispregia con questo verso (114): “Dove lasciò i mal protesi nervi” (il che significa, secondo i commentatori antichi: “le energie sessuali volte a soddisfare il vizio contro natura, in modo esagerato”.

Riprendiamo una considerazione: gli exempla (cioè le persone che Dante incontra nel primo e nel secondo regno oltremondano) vengono diversamente presentati dall’Autore, e ciò obbliga noi finalmente a una riflessione di fondo: il peccato e la pena sono uguali per ogni gruppo di dannati e purganti, ma ben diverso è l’atteggiamento di Dante per ognuno. Allora, la collocazione secondo lo schema delle colpe è il denominatore comune sul quale però giocano varianti di gran peso, come dire – in questo caso -: c’è omosessuale e omosessuale.

Abonimo Fiorentino, 1330. Firenze, Biblioteca Nazionale, MS Palat. 313. Dante e Virgilio con i tre sodomiti fiorentini sulla sabbia ardente

Dunque una nuova schiera si appressa e Brunetto Latini deve raggiungere il suo gruppo. I nuovi venuti appartengono ai politici e a persone d’armi. Tre dannati si staccano dagli altri, venendo verso Virgilio e Dante. Dal modo di vestire del Poeta, costoro riconoscono che è fiorentino (Boccaccio dice che ogni città aveva un suo singolar modo di abbigliamento).

I peccatori sono pieni di piaghe vecchie e recenti; Dante ne prova ancora dolore al ricordo. Virgilio si arresta alle loro grida. Il procedimento narrativo muove dalla disperata richiesta dei dannati a Dante di fermarsi. Virgilio è perentorio nell’ordinare all’Alighieri di non muoversi: “Or aspetta: si deve essere cortesi con costoro”.

Colui che aveva abbracciato Dante quando questi si era scagliato contro l’iracondo Filippo Argenti, esagerando la bontà del suo atto, adesso ordina all’Alighieri di usare gentilezza verso le anime che si avvicinano. Ciò è importante. Virgilio dispone il Pellegrino all’ossequio verso i tre fiorentini sodomiti. I tre (Guido Guerra, Tegghiaio Aldobrandi, Guglielmo Borsiere) devono muoversi comunque per la stessa ragione spiegata da Brunetto. Così, ruotano in cerchio.

Al verso 28 comincia il parlare di uno dei tre fiorentini, il quale presenta gli altri due compagni di pena, poi sé stesso. Guido Guerra – spiega costui – compì notevoli opere col senno e con la spada; l’altro, Tegghiaio, fu podestà di Arezzo e consigliò per il meglio di non attaccare i Senesi: non fu ascoltato e ne seguì gran danno. Chi parla è Iacopo Rusticucci, valido mediatore, per ordine del comune di Firenze, di trattare la pace tra Volterra e San Gimignano. Persone, quindi, eccellenti nella politica.

Nel canto VI dell’Inferno, infatti, Dante chiede a Ciacco dove fossero alcuni concittadini, fra cui i tre che abbiamo incontrato ora, i quali “a ben far puoser li ‘ngegni” (v. 81): è una dichiarazione che non ha nulla a che vedere con la pena per sodomia.

Dante distingue gli uomini pur nello stesso peccato (ha colto nel segno Giuseppe Prezzolini, scrivendo: “L’entusiasmo e l’ammirazione per una condotta nobile gli strappano il riconoscimento del valore dell’uomo, sia pure peccatore o ribelle, purché mosso da grandezza d’animo”). È come affermare: ci sono sodomiti e sodomiti, anche se tutti colpiti dalla grandine infuocata, ma disuguali nel giudizio e nella stima del Poeta. È come se il peccato di omosessualità stesse in secondo piano per Dante, altrimenti avrebbe per tutti l’identico comportamento.

Fondamentali e significative al massimo sono le parole di Virgilio. Dopo aver detto all’Allievo: “A costor si vuole esser cortese”, aggiunge tale dichiarazione che spiegheremo subito dopo: “E se non fosse il foco che saetta/ la natura del loco, i’ dicerei/ che meglio stesse a te che a lor la fretta”.
Ecco il significato recondito dell’invito virgiliano: “Tu devi un omaggio rispettoso verso costoro per il loro passato valore: dovresti tu fermarti – se fosse possibile – onde apprendere l’insegnamento morale e civile del loro fare quand’erano in vita”.

Dante, Virgilio, Brunetto Latini e i Sodomiti, 1335-1340 Chantilly, Musée Condé, MS 597, particolare fols. 113v, 114r.

Ciò basterebbe per togliere di dosso a Dante la burbera maschera affibbiatagli da una superficiale lettura dell’opera e da una morale corrente (fino a poco tempo fa) che ha dovuto addomesticare la libertà dantesca volta al futuro. Ma l’Alighieri ha fatto di più, e tale aspetto – per quanto mi sembra – viene sorvolato.

Quella che ora porterò è una sorta di prova del nove: Dante non mette solo all’Inferno i sodomiti, senza speranza del Paradiso.

Dante sulla spiaggia del Purgatorio, Agnolo Bronzino, 1530 ca., National Gallery of Art, Washington DC

Lasciatemi però scrivere una riflessione. In Inferno i peccati più sono gravi più scendono al fondo. I lussuriosi stanno nel secondo cerchio, sotto il Limbo: come a significare che la “macula” è la meno pesante nella logica delle punizioni (il peccato più detestabile è il tradimento verso i benefattori). In Purgatorio, che è una sorta di imbuto capovolto, i lussuriosi stanno nella settima cornice, la più in alto, l’ultima prima del Paradiso Terrestre. E dentro a questa cornice infiammata, due schiere contrarie corrono per baciarsi quando si incontrano e deprecare il loro peccato; poi continuano la corsa in senso contrario. Sono i sodomiti e gli ermafroditi, naturalmente coloro i quali – come quelli del quinto canto della prima cantica – hanno sottomesso la ragione al “talento” (cioè alla passione). Dante non poteva parlare più chiaro di così al tempo in cui gli amori “contro natura” venivano puniti pesantemente.

Mi pare evidente e incontrovertibile che certi peccati ritenuti fino a poco fa “imperdonabili” (omosessualità e lussuria spinta) non coinvolgano – nel pensiero di Dante – l’intera personalità dell’individuo. L’avaro, l’usuraio, il traditore, l’assassino, il raggiratore, il testimonio falso, il ladrone, i portatori di lutti e dolori per gli altri e per l’umanità…, hanno un difetto cardinale, che non può essere separato dall’aspetto etico della personalità globale. Un usuraio, un invidioso, un omicida etc. sono intaccati nel profondo, dal vizio che parte dalla e ritorna moltiplicato alla sfera superiore umana, la quale ne rimane deturpata impedendo la possibilità della virtù.

L’amore (anche quello omosessuale) e l’eros, sembra non intacchino il midollo dell’essere e la virtù nell’agire.

Aldo Onorati

Il testo in cui è sviluppata ampiamente questa tesi è dello stesso autore e si intitola:
Dante e gli omosessuali nella Commedia: tra Inferno e Paradiso
Società Editrice Dante Alighieri
Prefazione di Massimo Desideri, introduzione di Daniele Priori
Anno 2018, pp. 82, euro 7,50, quinta ristampa.
Per maggiori informazioni: scheda del libro