Ha aperto un varco nella Storia come solo pochissime donne sono riuscite a fare: è la Giovanna d’Arco della scienza e della filosofia, l’Ipazia di Alessandria del Medioevo, la Chiara d’Assisi del mondo laico, una precorritrice dell’intero movimento femminista.
Dorotea Bucca è la prima insegnante universitaria della storia, salita in cattedra nella prima università d’Europa, in un’epoca in cui alle donne veniva impedito di studiare anche solo per imparare a leggere e scrivere.
Come Ipazia è figlia d’arte, come Giovanna cresce in una famiglia che asseconda le sue attitudini, come Chiara è la prima donna ad assumere incarichi prettamente maschili, come altre pochissime donne del Medioevo riuscirà a farsi largo in un mondo di uomini divenendo l’autorevole maestra per centinaia di loro.
A differenza però di Ipazia (capo della scuola di Alessandria nel IV secolo), di Giovanna (condottiera dell’esercito francese alla riscossa durante la Guerra dei Cent’anni) e di Chiara (prima donna a scrivere una regola monastica), di Dorotea sappiamo pochissimo; nessuno dei suoi contemporanei, pur riconoscendone l’autorità e l’importanza, si è infatti preso la briga di raccontarne la vita, e nemmeno uno dei suoi scritti è giunto fino a noi.
Tutto ciò che sappiamo su Dorotea Bucca, di fatto, è quanto riportato nel libro di Giovanni Boccaccio Delle donne illustri. Con una piccola notazione da premettere: e cioè che Boccaccio è vissuto tra il 1313 e il 1375, mentre Dorotea dal 1360 al 1436; aveva quindi appena quindici anni quando morì il suo presunto biografo.
In effetti il libro dedicato dallo scrittore fiorentino alle grandi donne dell’antichità e del Medioevo ci è giunto attraverso una stampa pubblicata da Filippo Giunti e curata da Francesco Serdonati nel 1596: è lui, dunque, l’autore del profilo biografico della prima docente universitaria donna, aggiunto – insieme a molti altri – nella nuova edizione dell’opera di Boccaccio, tradotta dal latino in volgare da Giuseppe Betussi e aggiornata “con una giunta fatta dal medesimo d’altre donne famose e un’altra nuova giunta fatta da Francesco Serdonati d’altre donne illustri antiche e moderne”.
Donati racconta che Dorotea, nata a Bologna nel 1360, era figlia di un importante insegnante dell’università di Bologna, di cui ci sono rimaste però ancora meno notizie che su di lei: Giovanni Bucco, “bolognese filosofo e medico di gran fama”.
Giovanni aveva dunque “una figliuola nomata Dorotea, la quale s’esercitò parimente nelle lettere e fece tal profitto, che ancor essa meritò di conseguire l’insegne del dottorato nello studio di Bologna nella scienza di filosofia”.
Giovanni è così fiducioso nel talento della figlioletta, da incoraggiarla nello studio delle lettere e della medicina fino a farle conseguire il dottorato in filosofia. Poco dopo Dorotea si cimenta in una pubblica lettura all’Università di Bologna, ottenendo un successo tale, che alla morte del padre nel 1390 è lei stessa a ereditare la cattedra di medicina e filosofia dello Studio bolognese. “Come ancora oggi – scrive Serdonati – appare nella camera di Bologna al campione dei lettori stipendiati”.
Per continuare a insegnare agli studenti del padre, a Dorotea – che ha trent’anni di età – viene garantito uno stipendio di cento lire, cifra enorme per il periodo.
Dorotea, scrive ancora il biografo, “esercitò molti anni tale ufficio con suo grande onore e con soddisfazione di tutta la città e a udir lei concorrevano molti scolari d’ogni nazione, cosa veramente rara e degna d’esser notata e ammirata”.
La prima insegnante universitaria donna occuperà infatti la cattedra per ben 46 anni, fino al 1436, quando morirà quasi ottantenne tra la venerazione dei suoi studenti.
A differenza di molte sue “colleghe” femministe ante litteram, infatti, Dorotea affronta una carriera sostanzialmente priva di ostacoli: i suoi quasi cinquant’anni di insegnamento trascorrono serenamente nel rispetto dei colleghi e degli allievi: forse anche per questo il suo personaggio non ha “fatto notizia” ed è ignorato persino dall’Enciclopedia Treccani.
Se pensiamo a Ipazia (massacrata da fanatici cristiani), a Giovanna d’Arco, abbandonata dal suo stesso re nelle mani del nemico e bruciata sul rogo, e agli stessi scontri tra Chiara d’Assisi e il papato, ci rendiamo conto che la maggior parte delle grandi donne del Medioevo ha fatto emergere la propria grandezza attraverso il conflitto con gli uomini, pagando spesso con la vita il prezzo del carisma e dell’indipendenza.
È vero anche, però, che il contesto in cui cresce Dorotea è il migliore che la giovane intellettuale possa trovare in Europa: c’è infatti molta più apertura in Italia, riguardo all’educazione delle donne in materie scientifiche, di quanto non avvenga nello stesso periodo, ad esempio, in Inghilterra.
Nel suo campo Dorotea trova un antecedente innanzitutto nelle mulieres salernitane, le donne della Scuola medica di Salerno che – caso unico nella storia accademica – godevano di ancora maggiore autorevolezza dei colleghi uomini. La più celebre tra esse era Trotula di Salerno, “magistra” nata tra il 1030 e 1040 e morta verso la fine del secolo, che aveva sposato Giovanni Plateario senior, altro illustre maestro della Scuola, scritto il libro De mulierum passionibus e trovato il tempo di crescere due figli: Giovanni Plateario il Giovane e Matteo Plateario.
Contemporanee di Dorotea sono invece Albella (che compone due trattati in versi), Mercuriade (autrice di quattro opere), Jacobina Felice, Alessandra Giliani e Margherita.
Successivamente si faranno notare invece Costanza Calenda e Rebecca Guarna, fisica, chirurga e scrittrice del XIV secolo, cresciuta in un’importante famiglia salernitana e destinata a lasciare alcuni trattati su febbre, urina ed embrioni.
Quello che stupirà, però, è che Dorotea ha un precedente ancora più illustre in un mondo che immaginiamo il più chiuso in assoluto nei confronti delle donne: l’Islam.
Se l’Università di Bologna è la più antica d’Europa, infatti, è solo la terza ad essere sorta nel mondo: la prima in assoluto è l’Università di al-Qarawiyyin, a Fès, in Marocco, fondata nell’anno 859 proprio da una donna: Fatima, figlia di un ricco mercante chiamato Muhammad al-Fihri.
Come la sorella Maryam, Fatima era molto istruita e aveva ricevuto una ricca eredità dal padre, che aveva voluto destinare alla costruzione di una moschea e di un centro di istruzione religiosa e politica per la comunità di al-Qarawiyyūn.
Più che delle grandi eroine che hanno legato il loro nome a imprese gloriose, quindi, Dorotea è testimone eccellente di quell’esercito silenzioso di donne che, nel corso dei secoli, hanno fatto crescere l’emancipazione femminile non attraverso atti eroici ma nella quotidianità, senza lasciare una memoria sensazionale ma dando un fondamentale contributo a rendere normale ciò che un tempo sembrava inaudito.
Arnaldo Casali