di Enrico Menestò –
Superata l’idea di un Medioevo età delle tenebre, si è presto scoperto un Medioevo età della luce. E la barbarie dei secoli bui si è così trasformata in una tensione verso la libertà individuale prima che collettiva.
Ben oltre i limiti o le mistiche metafore dei romantici, si assiste oggi a un imponente revival del Medioevo: letteratura, teatro e musica, ma anche e soprattutto cinema, televisione, fumetti e videogiochi continuano, infatti, a riproporre un’età che diviene una figura dai cento volti, che si impone nel presente e si proietta nel futuro.
È sotto gli occhi di tutti quanto costante e approfondita sia ormai l’informazione sulla storiografia medievistica che offrono i più grandi quotidiani italiani.
Ciò vuol dire che alcuni tra i più acuti studiosi di quella storia ritengono doveroso informare i lettori sui risultati più significativi della medievistica, non solo perché molti sembrano inseguire l’idea di riconoscersi nel Medioevo, specchio e alibi del tempo presente.
Il panorama delle culture attuali è sempre più intriso di Medioevo. Ma quale Medioevo? La domanda è certamente legittima, se si pensa che accanto ad un cosiddetto Medioevo rozzo, incolto, culla delle corrusche origini germaniche vive ed opera un Medioevo di altissima e raffinata cultura; che ad un Medioevo mistico e devoto si contrappone un medioevo laico e profano; che ad un Medioevo pieno di superstizioni corrisponde un Medioevo assolutamente razionalista, e ad un Medioevo guerriero uno pacifista.
Sono interessi ed esigenze particolari a scegliere e a riproporre oggi uno dei tanti Medioevi.
È proprio in una siffatta operazione che il Medioevo viene a costituire un alibi, un alibi che non di rado si deteriora in equivoco.
La scoperta del Medioevo – ha detto qualcuno – è l’approdo ad un’isola che non esiste, dove l’uomo va a cercare – o rincorrendo i miti dell’infanzia o per sfuggire dal tempo attuale – altre dimensioni di se stesso.
Il Medioevo, del resto, è un’età che sembra corrispondere sempre a qualsiasi domanda. Per una società come la nostra che ha fatto del protagonismo uno dei principali punti di riferimento, la figura del cavaliere medievale – ad esempio– è un modello pieno di attrattiva e irresistibile.
Ma quel cavaliere, che è non solo un protagonista ma anche un emarginato come tanti eroi più o meno attuali di films western, ha un codice d’onore, elemento che lo rende ancora più affascinante agli occhi di un mondo che i codici d’onore ha perduto da un pezzo. Egli ha in sé – come tutto il Medioevo – una vocazione interiore intensa e talvolta muta: agire in nome di un ideale che si rispecchia nell’immagine di Dio.
L’idea di un Medioevo intriso di religiosità e di desiderio di Dio, sembra essere il vestito fatto indossare a viva forza ad alcune tensioni in realtà attualissime. Lo dimostrano, almeno, l’inquietudine e il fascino che esercitano sulla coscienza moderna le tante immagini dell’uomo medievale intento a misurare le proprie azioni col metro di un Dio presentissimo e inevitabile.
Si tratta, quasi, della nostalgia di un’epoca che, persi i puntelli di riferimento delle ideologie, resta caratterizzata dalla provvisorietà e dall’incertezza. “Condannato” all’autodeterminazione, l’uomo contemporaneo, sia pure forte del proprio progresso, sembra smarrito, vittima di se stesso, condannato a un’invincibile angoscia esistenziale.
Nel fondo oscuro di questa condizione pare attecchire e germogliare con sempre maggiore frequenza e rigoglio l’esigenza di un rapporto con una certezza esterna, autosufficiente, capace di smussare la spigolosità del relativismo culturale. Ed è questa esigenza ansiosa che trova il suo simmetrico ancestrale nella certezza dell’uomo medievale di vivere immerso e confortato dalla Provvidenza divina, appeso a uno qualunque dei punti di circonferenza di un circolo chiuso di cui Dio è centro, punto d’avvio e punto d’arrivo.
La certezza, cioè, agli estremi possibili, del monaco che, rifuggendo il mondo, cerca per tutta la vita una più piena contemplazione di Dio, e quella dell’eretico, che, nella propria dissidente militanza dentro il secolo, continua a cercare un Dio giusto e meno “istituzionale”.
D’altra parte, i desideri, le tensioni, le paure, le angosce e gli incubi del Medioevo si originavano per le stesse ragioni per cui nascono oggi. Ecco perché di quel Medioevo pare quasi impossibile liberarci.
Il Medioevo siamo noi stessi. Il Medioevo, dunque, non “prossimo venturo”, né “presente alternativo” e neppure “passato remoto”, come sono invece altre età della storia umana, ma – stando a una felicissima intuizione di Ovidio Capitani – “passato prossimo”, con una sua grande eredità alla quale tutti apparteniamo.
Enrico Menestò
Testo estratto da “Quale Medioevo”, magazine edito dal Cisam (aprile 2010)