Le storie infinite sui Magi attraversano il Medioevo, in racconti intrisi di fede e leggenda. Dei misteriosi personaggi però, nonostante fiumi di parole, sappiamo ancora poco.
Primo problema: quanti erano? Il Vangelo di Matteo non fa nessun cenno riguardo al numero. E gli evangelisti Marco, Luca e Giovanni, non li citano nemmeno. Anche sul luogo effettivo della loro sepoltura si sono susseguite discussioni e polemiche.
Di certo, la contrastata vicenda delle loro reliquie conobbe incredibili peripezie.
C’è un fatto storico: i presunti resti mortali dei mitici personaggi furono sottratti con l’inganno alla città di Milano nel 1164 da Rainaldo di Dassel, arcivescovo e cancelliere imperiale, braccio destro di Federico Barbarossa. E a partire dal 15 agosto 1248 le reliquie dei Re Magi si trasformarono nella prima, simbolica “pietra” con la quale si iniziò a costruire la monumentale cattedrale di Colonia.
Quel che resta dei misteriosi sovrani che più di duemila anni fa resero omaggio a Gesù, è ancora lì, dietro l’altare principale della grande chiesa tedesca, nell’Ara dei Re Magi: un sepolcro costruito in legno e argento dorato che misura due metri e mezzo di lunghezza e pesa trecento chili. Risale al dodicesimo secolo. È un capolavoro dell’arte orafa medievale. Forse è il più grande sarcofago del mondo. Ma cosa contenga veramente nessuno lo sa con certezza.
Il 6 gennaio, nel giorno della festa dell’Epifania, le statuine dei Magi possono finalmente trovare posto nel presepe. La data rievoca l’apparizione di Cristo ai popoli del mondo. È la parola stessa a indicare la manifestazione della presenza divina, come spiega l’antico verbo greco ἐπιφαίνω (epifàino) che vuol dire “mi rendo manifesto”.
La capanna della Natività è la meta del loro lungo viaggio. I misteriosi personaggi portano doni, che offrono, adoranti, al Bambino: l’oro allude alla regalità, l’incenso alla divinità e la mirra alla Passione.
Il racconto dei sovrani che arrivano dal lontano oriente ci giunge da un’unica, antica fonte: la testimonianza stringata contenuta in alcune righe del Vangelo secondo Matteo, scritto in aramaico e poi tradotto in greco.
Nel testo, si parla dell’avvistamento della stella, dell’incontro dei Magi con Erode, dell’angelo che apparve in sogno ai sovrani orientali per dissuaderli dal tornare alla corte del tiranno e poi del loro viaggio di ritorno, alla volta dei paesi d’origine, seguendo a ritroso una rotta verso est.
Forse i Magi erano re caldei, come sostennero con forza Origene, Girolamo, Basilio di Cesarea e Gregorio di Nissa. Oppure dei saggi originari della Persia, come assicurarono, tra molti altri, Prudenzio, Cirillo d’Alessandria e Giovanni Crisostomo.
Partirono quando apparve loro una stella, quella annunciata dal profeta Balaam, per molto tempo attesa invano, ogni anno, da 12 uomini che salivano sul Monte Vittoria per le abluzioni e le preghiere. I Magi arrivarono dall’Oriente a Gerusalemme in tredici giorni, correndo tra i deserti con velocissimi dromedari, animali molto resistenti alla sete e capaci di percorrere tra l’alba e il tramonto un tragitto che a cavallo si copre in 36 ore.
Ludolfo di Sassonia, vissuto nella seconda metà del Trecento, nella sua “Vita Christi” ripeteva all’uomo medievale che “i tre re pagani vennero chiamati Magi non perché fossero versati nelle arti magiche, ma per la loro grande competenza nella disciplina dell’astrologia. Erano detti magi dai Persiani coloro che gli Ebrei chiamavano scribi, i Greci filosofi e i latini savi”.
Dei saggi dunque, come aveva già spiegato molto tempo prima Jacopo da Varazze (1228-1298) nella sua “Legenda Aurea”, la raccolta delle vite dei santi che ebbe una enorme diffusione nell’Età di Mezzo. Il frate domenicano faceva derivare la parola “magi” da “magni”.
Erano comunque dei “gentili”. Sapienti pagani che con il loro omaggio riconobbero al Bambino Gesù una natura divina, in contrasto aperto con i giudei. L’attesa messianica di un salvatore, il Saoshyant, era coltivata attraverso l’osservazione dei fenomeni celesti dai seguaci della religione mazdea, della quale i Magi costituivano il corpo sacerdotale.
Per la Chiesa, i tre personaggi citati dall’evangelista Matteo sono invece il simbolo eterno dell’uomo che si mette in cammino alla ricerca di Dio.
Papa Benedetto XVI, nell’omelia pronunciata nell’Epifania del 2011, parlò di “sapienti che scrutavano il cielo, ma non per cercare di “leggere” il futuro negli astri”. Li definì “uomini in ricerca della vera luce”, persone convinte che nella creazione esista “quella che potremmo definire la “firma” di Dio, una firma che l’uomo può e deve tentare di scoprire e decifrare”.
Il fascino dei Re Magi unì a lungo l’Oriente e l’Occidente. Quando nel 614 i Persiani guidati da re Cosroe II occuparono la Palestina, distrussero subito quasi tutte le chiese cristiane. Ma risparmiarono la Basilica della Natività di Betlemme che sulla facciata mostrava un mosaico raffigurante le mitologiche figure dei sapienti vestite con il tradizionale abito persiano.
I Magi sono diventati tre a poco a poco. All’inizio, il loro numero variava secondo i racconti.
Una cronaca orientale del 774 parla di “dodici saggi”. Altri documenti di 6, 7 o 12 personaggi. Nelle raffigurazioni emerse nelle antiche catacombe, crescono o diminuiscono secondo le convinzioni degli “artisti” che provarono a descriverli.
Quel che è certo è che la tradizione cristiana ne riconobbe tre, con i nomi che sono giunti fino a noi: Caspar, Balthasar, Melchior.
Il numero definitivo fu stabilito nel Medioevo in relazione ai doni di cui erano portatori. Tre è il numero perfetto. Tre sono anche le razze umane (semitica, camitica, giapetica) rappresentate dai Magi per ricordare a tutti l’universalità del messaggio cristiano. Sant’Agostino (354-430) insisteva poi sulla tripartizione che è insita nel destino dell’uomo: nascita, fatica e morte.
Umberto Eco, attraverso Baudolino, il contadino bugiardo protagonista del suo quarto romanzo, capace di conquistare Federico Barbarossa fino a diventarne il figlio adottivo, si sofferma sui mitici luoghi di origine dei personaggi: Melichior (Melchior) è re di Nubia e di Arabia, Bithisarea (Balthasar) è sovrano di Godolia e Saba e Gataspha (Caspar) regna su Tharsis e sull’isola Egriseuta.
Mondi sconosciuti e lontani. Come i tanti racconti giunti fino a noi.
Nel secolo VIII, il Venerabile Beda descriveva Melchiorre come “un vecchio dai capelli bianchi, con una folta barba e lunghe chiome ricciute”. Gasparre era invece “un giovane imberbe”. E Baldassarre “di carnagione olivastra e con una barba considerevole”.
Roberto di Torigny nella sua “Chronique” (1182) scrisse che nell’anno 1158, quando le spoglie attribuite ai Magi furono scoperte nella chiesa milanese di Sant’Eustorgio, i resti di quei corpi sembravano appartenere a tre persone di 15, 30 e 60 anni, la cui pelle e i cui capelli erano ancora intatti.
Un miracolo. Come l’impresa che affrontò Sant’Elena, l’irrequieta imperatrice, madre di Costantino I il Grande, morta nel 330, che secondo un favoloso racconto recuperò i resti mortali dei Re Magi sul monte Vaus, identificato con la montagna chiamata Sabalan, che spicca tra le vette nell’attuale Azerbajan.
In quel luogo i Magi consacrarono una cappella a Gesù. Non sappiamo se morirono insieme. Ma secondo la tradizione furono tutti sepolti nello stesso posto.
Sant’Elena alla quale è attribuito anche il ritrovamento della Santa Croce e degli strumenti della Passione di Cristo, ora custoditi a Roma, nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme, portò le preziose a Costantinopoli, allora centro del mondo.
I preziosi resti arrivarono a Milano nell’anno 343: l’imperatore Costante (320-350) li donò a Sant’Eustorgio che era andato nella capitale dell’Impero Romano d’Oriente per avere conferma della sua nomina a vescovo della città lombarda.
Le reliquie affrontarono il lungo viaggio verso l’Italia all’interno di un enorme sarcofago. Così pesante, che proprio all’entrata di Milano, i buoi che trainavano quel tesoro di fede, non vollero più andare avanti.
Eustorgio interpretò quella impuntatura come un segno del cielo: le reliquie non dovevano finire nella cattedrale cittadina ma fermarsi proprio lì. Così, in quel punto, nei pressi dell’attuale Porta Ticinese, nacque la bella basilica di Sant’Eustorgio, dove un capitello illustra ancora la storia dei buoi stremati dalla fatica del trasporto del pesantissimo sarcofago.
Le reliquie dei Re Magi furono poi sistemate in una apposita cappella. E lì rimasero fino al 1164.
Due anni prima, Federico Barbarossa aveva quasi raso al suolo Milano, dopo averla messa a ferro e a fuoco. La tutela tedesca era ancora pesantissima. L’imperatore aveva affidato il controllo della città al suo braccio destro, Rainaldo di Dassel, arcivescovo di Colonia. Un uomo d’armi più che di chiesa.
I preziosi resti erano sfuggiti al saccheggio grazie al nobile Assone della Torre che li aveva occultati all’interno del campanile di San Giorgio. Rainaldo se ne accorse. Così ricattò Assone, costretto a scegliere tra la consegna delle reliquie o la sua condanna a morte. Il maggiorente milanese piegò la testa e cedette all’invasore gli amati resti. Non prima di supplicare l’arcivescovo di non rendere pubblico l’indecente scambio per il quale sarebbe forse stato linciato dai suoi concittadini. Ma Rainaldo non voleva certo dare pubblicità alla cosa. Piuttosto, era ossessionato dal prestigio che le reliquie dei Magi avrebbero portato alla sua città: Colonia da tempo era il centro più importante della Germania.
L’arcivescovo guerriero non perse tempo: allestì in fretta e furia tre feretri su cui caricò le preziose reliquie. Fece diffondere la voce che le casse contenessero i cadaveri di tre suoi parenti stretti, stroncati dalla peste, a cui voleva dare degna sepoltura in Germania.
La paura del morbo tenne lontani i curiosi. E il 10 giugno 1164 Rainaldo lasciò Milano. Il fragile e prezioso carico arrivò a Colonia, tra il giubilo degli abitanti, il 23 luglio, dopo un viaggio lungo e tortuoso, che toccò il Moncenisio, la Borgogna, la Lorena e le terre del Reno. I sacri resti, in via provvisoria, furono deposti nella chiesa di San Pietro. Tempo dopo, furono traslati nel grande duomo. Rainaldo, al culmine della gioia, fu protagonista di un altro colpo di teatro: regalò tre dita dei Magi alla vicina città di Hildesheim, alla quale era particolarmente legato per via dei suoi studi giovanili. I cittadini di tutta la regione mostrarono di apprezzare il pensiero. E nei registri dei battesimi di un vasto territorio cominciarono ad essere registrati nomi dai suoni insoliti, di sicuro poco teutonici: Melchiorre, Gaspare e Baldassarre.
Da allora, anche i re germanici, dopo essere stati consacrati con l’olio e incoronati ad Aquisgrana, presero l’abitudine di frequentare più spesso Colonia per inginocchiarsi davanti alla grande arca esposta all’interno del gigantesco duomo.
I Magi erano lì, in terra tedesca. E poco importò ai sudditi del Sacro Romano Impero che un tal Marco Polo (“Il Milione”, capitolo 30) affermasse di aver visitato intorno al 1270, le tombe dei Magi a sud di Teheran: “In Persia è la città ch’è chiamata Saba, da la quale si partiro li tre re ch’andaro adorare Dio quando nacque. In quella città son soppeliti gli tre Magi in una bella sepoltura, e sonvi ancora tutti interi con barba e co’ capegli: l’uno ebbe nome Beltasar, l’altro Gaspar, lo terzo Melquior. Messer Marco dimandò più volte in quella cittade di quegli III re: niuno gliene seppe dire nulla, se non che erano III re soppelliti anticamente”.
Quanto a Milano, dovette aspettare 740 anni per avere indietro una piccola parte di quello che le era stato trafugato.
Solo il 3 gennaio del 1904, dopo innumerevoli richieste, l’arcivescovo della città, il cardinal Ferrari, fece ricollocare due fibule, una tibia e una vertebra dei Re Magi sopra l’altare nella Basilica di Sant’Eustorgio. I resti furono posti in un’urna di bronzo, accanto all’antico sacello vuoto con la scritta “Sepulcrum Trium Magorum”.
Il culto dei tre personaggi è ancora vivissimo tra i milanesi: uno scritto di Galvano Fiamma ci informa che già nel 1336, sotto Azzone Visconti, si celebrava la cerimonia di un corteo dei Magi a cavallo, che attraversava la città, seguito da una schiera di servitori e di animali esotici. La prima tappa era l’antica chiesa di San Lorenzo, costruita a pianta centrale, ad imitazione del tempio di Gerusalemme: lì si rappresentava l’arrivo dei mitici personaggi al cospetto di Erode. Poi, sull’altare maggiore di Sant’Eustorgio, veniva replicato il momento dell’Adorazione.
Il corteo dei Re Magi, come allora, si ripete a Milano il 6 gennaio di ogni anno: da Piazza del Duomo, con fermata a San Lorenzo, fino al sagrato di Sant’Eustorgio, per portare doni alla Sacra Famiglia.
Vicino al grande sarcofago in pietra viene ancora esposta una medaglia che la tradizione cattolica dice sia stata realizzata con una parte dell’oro donato dai Magi a Gesù Bambino.
E la liturgia ambrosiana, nel giorno dell’Epifania, prevede paramenti di colore rosso.
Insieme alla basilica milanese e al duomo di Colonia c’è anche un altro luogo che conserva parte delle reliquie dei misteriosi re. Tre falangi sono custodite nella parrocchia di Sant’Ambrogio a Brugherio, in provincia di Monza e della Brianza. Sarebbero state donate dal patrono di Milano alla sorella Marcellina prima del clamoroso trafugamento di Rainaldo di Dassel del 116. Tornarono alla luce nel 1596, durante la prima visita pastorale del cardinale Federigo Borromeo. A Brugherio la devozione per il reliquario seicentesco degli “ummit”, i “piccoli uomini”, è ancora molto forte. E ogni 6 gennaio le reliquie vengono esposte alla visione dei fedeli.
Pellegrini eccellenti, Melchiorre, Gaspare e Baldassarre, nelle culture popolari europee diventarono i viaggiatori per antonomasia. A loro vennero intitolati, soprattutto nei paesi tedeschi, i ricorrenti nomi di tante locande ed alberghi chiamati, in loro onore, “Ai Tre Re” (Am drei Könige).
Le loro immagini, dipinte o scolpite, adornano ancora le chiese d’Europa.
Un viaggio sulle orme dei Magi diventa uno straordinario cammino nella storia dell’arte occidentale.
La prima raffigurazione conosciuta spunta nella cosiddetta cappella Greca della catacomba di Priscilla: i tre personaggi indossano un chitone succinto insieme a copricapi di foggia orientale.
Sul coperchio di un sarcofago delle Grotte Vaticane, rinvenuto sotto la Basilica di S. Pietro, i Magi sono raffigurati insieme a tre dromedari. E un rilievo sulla porta lignea di Santa Sabina, a Roma, eseguito intorno al 431, mostra Maria e il Bambino che ricevono grandi scatole rotonde contenenti i regali dei mitici re. Una meravigliosa processione di vergini e martiri che muove verso il trono di Maria e Gesù è raffigurata nello splendido mosaico “Adorazione dei Magi” che si può ammirare a Ravenna in Sant’Apollinare Nuovo.
Il Duomo di Fidenza e l’Abbazia di San Mercuriale a Forlì trasmettono ancora tutto il fascino dell’antica storia.
Tre stelle comete, una per ogni personaggio e doni offerti in vasi a forma di scodelle catturano lo sguardo nell’affresco di Santa Maria di Tahull, conservato nel museo d’arte catalana a Barcellona.
Magi raffigurati con le sembianze di re, si possono ammirare in una miniatura del Sacramentario di Fulda, custodita nella biblioteca dell’Università di Gottinga. Oppure nel mosaico dell’arco trionfale in Santa Maria Maggiore a Roma. E anche sugli affreschi del XII secolo di Sant’Angelo in Formis, nei pressi di Capua.
Ma la vera novità nella rappresentazione sacra arrivò con il famoso affresco dipinto da Giotto a Padova, nella Cappella degli Scrovegni (1303-1305). Per. la prima volta nella storia dell’arte cristiana, nella scena dell’adorazione dei Magi a brillare sopra la capanna della Natività non c’era una semplice stella ma una cometa, forse quella di Halley, avvistata in quegli anni nei cieli notturni d’Europa.
Un nuovo schema della raffigurazione dei tre re in adorazione davanti a Maria ed al bambino Gesù emerge invece a Colonia, in un reliquiario che arricchisce il Museo Walraff-Richartz: il secondo re, con il braccio alzato, mostra al sovrano più giovane la stella sopra la testa della Madonna.
Lo stesso episodio viene replicato in un altro affresco del 1450 che abbellisce la volta gotica della Arentuna kyrka di Uppland, in Svezia.
Agli inizi del Quattrocento, gli artisti aggiunsero fastosi cortei alle loro composizioni. Uno splendido esempio arriva dalle famose “Très riches heures”, il libro delle ore del duca De Berry, conservato nel Museo di Chantilly.
Negli anni successivi, le raffigurazioni dei tre re che portavano doni al Bambino Gesù si moltiplicarono, grazie soprattutto alle generose donazioni fatte alla Chiesa da molti mecenati, ansiosi di modellare la loro immagine ultraterrena a somiglianza di Melchiorre, Gaspare e Baldassarre.
Non è un caso che il museo degli Uffizi di Firenze sia tuttora la galleria d’arte al mondo con più pale d’altare dedicate al tema della Natività. Opere meravigliose firmate da artisti come Gentile da Fabriano, Beato Angelico, Filippo e Filippino Lippi, Domenico Ghirlandaio, Sandro Botticelli e Leonardo da Vinci.
L’incanto dell’oriente emerge tra gli ori, i broccati, gli animali esotici e le vesti lussuose, in un raffinato gioco di simboli e allegorie nella “Cappella dei Magi”, l’opera di Benozzo Gozzoli realizzata nel 1459 nel Palazzo Medici Riccardi, in via Larga a Firenze.
Al centro di un paesaggio fiabesco, tre principi a cavallo guidano un corteo. L’artista non racconta il presepe ma soltanto il momento del viaggio. Il Bambino è disteso su un prato fiorito, accanto alla Madonna. Sullo sfondo, una fitta foresta. In primo piano, la visione di una trionfale cavalcata alla volta di Betlemme, celebra il potere e la gloria di altri re: i Medici, che vollero quel capolavoro come un segno indelebile del loro potere.
Federico Fioravanti