Quando accanto alle immagini meravigliose di antiche pale d’altare anche le carte d’archivio ci raccontano in maniera diretta e onestissima le storie e i dettagli che stanno dietro la commissione di un dipinto, allora riusciamo non solo a conoscere in maniera certa i fatti che hanno portato all’esecuzione di una determinata opera, ma anche a comprenderne meglio i sentimenti che
l’hanno concepita. Sentimenti di devozione, di gratitudine, a volte,
magari, di affermazione di un ruolo o di uno status particolare.
Nel caso della Vergine col Bambino e i santi Sebastiano, Cristina, Gerolamo,
Nicola da Bari e due angeli, realizzata a Montone (Perugia) da Luca Signorelli e oggi conservata alla National Gallery di Londra, una straordinaria ricchezza di documenti coevi al dipinto ci permette di ricostruire nel dettaglio le vicende,
peraltro curiose, che portarono alla sua realizzazione.
L’immagine sacra fu dipinta su tavola per la chiesa montonese di S. Francesco. In età napoleonica se ne persero le tracce e, nel 1826, lo storico e collezionista Giacomo Mancini la ritrovò in una «umidissima cantina» e la fece restaurare dal pittore tifernate Vincenzo Chialli. Il prezioso dipinto venne poi acquistato
da Elia Volpi, un antiquario internazionale, anch’egli di origini altotiberine, celebre per aver creato la collezione di Palazzo Davanzati a Firenze. Nel 1901 il grande mercante d’arte vendette la splendida pala d’altare alla National Gallery, per una cifra imprecisata.
Un ricco committente
Il dipinto era stato realizzato nel 1515 dal pittore toscano per un ricco committente di nome Alovisio de Rutanis, un medico proveniente dalla città francese di Rodez, che in quegli anni risiedeva a Montone, un piccolo, affascinante borgo che conserva ancora oggi una facies medievale di grande suggestione. Lí mastro Alovisio aveva sposato la nobile Tomassina di Silvestro di Ciuccio. Luca Signorelli approdò nel paese – patria del condottiero Braccio Fortebraccio – dopo una fervida attività nell’alta valle del Tevere, concentrata negli anni Novanta del Quattrocento.
Vergine col Bambino e santi, olio su tavola di Luca Signorelli. 1515. Londra, National Gallery.
All’epoca era già stato incoronato come pittore di corte della preminente famiglia Vitelli di Città di Castello, sotto la cui diretta giurisdizione Montone ricadeva ancora nei primi decenni del XVI secolo. L’archivio storico locale, scrigno prezioso che custodisce documenti che dal Medioevo ripercorrono l’intera storia del territorio, conserva un atto notarile piuttosto curioso e illuminante riguardo i rapporti fra il committente e il grande artista: alla presenza di due abitanti del luogo, Piergaspare di ser Cristoforo e Giuliano Giovanni Ubaldi, Luca Signorelli dichiara di non pretendere alcuna ricompensa per il lavoro, eseguito
propter bonam, mutuam et cordialem amicitiam et benevolentiam
e, soprattutto,
pro bonis et gratis servitii (…) recepitis et que in futurum recipere sperat.
Nessun pagamento in denaro dunque, per l’amicizia e la benevolenza che l’artista e il committente si dichiararono a vicenda. Il pittore donò l’opera in cambio delle cure mediche, i «graditi servizi ricevuti» e gli altri che sperava di ricevere in futuro in caso di ulteriori necessità.
Nella grande tavola, realizzata per decorare l’altare di patronato della famiglia del medico francese, la Vergine col Bambino è inserita all’interno di uno spazio unico: una soluzione iconografica piuttosto consueta nel Rinascimento e che trae le sue origini dall’evoluzione dell’impianto del polittico medievale, in cui la Madonna e le singole figure di santi sono invece sistemate in spazi fisici e pittorici separati. La Vergine, col viso pensoso, sorregge il Bambino con il braccio sinistro senza mostrare alcuno sforzo. La mano destra stringe lo scapolare, emblema di protezione materna, di salvezza e di sostegno nelle avversità. Attorno alla Madonna il pittore colloca in maniera paratattica e su piani distinti le figure dei santi: sulla sinistra, in alto, san Sebastiano rivolge alla Vergine uno sguardo carico di dolore e mostra il corpo, vigoroso, trafitto dalle frecce; piú sotto il pittore ritrae un intenso san Girolamo con l’attributo del libro, riconoscibile altresí dalla veste purpurea e dal galero ai suoi piedi.
Alcune scene della predella che originariamente completava la Vergine con Bambino
Ritratti e simboli
Speculare a questi personaggi emerge l’immagine di santa Cristina con gli attributi del suo martirio (una freccia e la grande ruota di pietra appesa al collo). Piú in basso, san Nicola di Bari, protettore dei fanciulli e delle giovani nubili, è riconoscibile dal prezioso paludamento vescovile e dalle tre sfere d’oro poggiate a terra. Sopra il gruppo dei santi, due angeli disposti ad assecondare la forma centinata della tavola, incoronano la Vergine e mostrano due gigli, simbolo cristiano di purezza e candore. Il paesaggio dal sapore di fiaba alle spalle dei santi è descritto con l’attenzione del miniatore ed è reso vivace dalla presenza di pastori, animali, cavalieri e da due fraticelli con gli abiti scomposti e intenti nella lettura. Nelle dolci colline che incastonano il villaggio, circondato da mura e lambito da un lago, è evidente il richiamo a tanta pittura umbra contemporanea. Ai piedi dei santi, nella parte centrale della tavola, è inserito un cartiglio contenente i nomi dei committenti e la data di realizzazione del dipinto.
La tavola era in origine fornita di una predella, attualmente conservata presso la Pinacoteca di Brera a Milano, nella quale vengono raccontati gli episodi della vita di santa Cristina, vissuta nel III-IV secolo. Con carattere squisitamente narrativo, nella tavola rettangolare che una volta era alla base della pala, vengono descritti gli episodi salienti della biografia della martire. La predella di certo è opera di un anonimo apprendista signorelliano, perlomeno a giudicare dalla qualità inferiore della pittura. Santa Cristina era figlia di Urbano, governatore imperiale della città di Bolsena e fervente nemico dei cristiani. La leggenda narra che la giovane si convertì in segreto alla nuova fede: impietosita di fronte ad alcuni poveri che chiedevano l’elemosina, spezzò gli idoli d’oro e d’argento del potente genitore e li distribuì ai mendicanti come atto di carità. Il padre, infuriato, la sottopose a torture ferocissime. Dapprima fece percuotere la figlia con le verghe, poi la rinchiuse in prigione, la sottopose alla ruota di fuoco e la fece gettare nel lago con una grossa pietra appesa al collo. Ma ogni volta la giovane uscí indenne dai supplizi. Subì allora numerose altre violenze: venne sottoposta nuovamente al fuoco, fu imprigionata in una gabbia insieme a vari serpenti e le venne anche strappata la lingua. Di fronte agli arcieri pronti a infliggerle nuove torture, supplicando che le fosse finalmente concessa la corona del martirio, Cristina morí infine trafitta dalle frecce.
Un documento d’archivio rintracciato tra i rogiti dei notai attivi nel borgo all’inizio del Cinquecento permette di individuare l’originaria collocazione del dipinto di Luca Signorelli all’interno della suggestiva chiesa di S. Francesco. E ci offre la possibilità di ricostruire idealmente una parte dell’edificio al tempo in cui il nostro pittore intratteneva rapporti col committente medico (la chiesa è stata infatti rimaneggiata nel corso dei secoli e il suo aspetto attuale, sempre di grande fascino, non coincide con l’allestimento cinquecentesco). Nel 1515 la tavola venne sistemata sopra l’altare della cappella «facta et dedicata ad honorem et laudem Sancte Cristine». Dal documento sappiamo che i frati «dederunt et concesserunt (…) magistro Alovisio de Rutanis medico galleo et nunc habitatori montoni et domine Tomassine eius uxori»: lo spazio fu assegnato all’interno dell’edificio sacro affinché il medico e sua moglie potessero omaggiare la santa con le loro preghiere. La cappella della nobile famiglia doveva collocarsi tra la scomparsa cappella di S. Bernardino, la prima sulla sinistra rispetto a chi entrava in chiesa, e la cappella di S. Antonio Confessore, che apparteneva alla preminente famiglia Fortebracci e che invece ancora oggi rende visibili al visitatore le delicate pitture di Bartolomeo Caporali: un Sant’Antonio da Padova racchiuso in una mandorla e attorniato da quattro angeli, san Giovanni Battista, l’arcangelo Raffaele e Tobiolo.
Una devozione profonda
L’archivio storico di Montone ha restituito numerose altre informazioni sui coniugi committenti: sappiamo per esempio che la moglie del medico francese, Tomassina, appartenente a una facoltosa famiglia di Montone le cui ricchezze sono ampiamente documentate in diversi atti notarili, elenchi di doti nuziali e testamenti, aveva dato alla luce una figlia per la quale era stato scelto proprio il nome di Cristina, a conferma della profonda devozione verso la santa martire. Non solo: fu proprio la famiglia della donna a finanziare i lavori di ammodernamento dell’edificio francescano per il quale Luca Signorelli licenziò il suo capolavoro. Oltre a raccontarci in maniera puntuale le vicende intorno alla commissione della Vergine col Bambino e i santi, i documenti dell’Archivio Storico Notarile di Montone fanno anche luce sulla feconda attività di bottega che Signorelli avviò nell’alta valle del Tevere. Luoghi di grande fascino che, nell’ambito della pittura del primo Cinquecento, si connotano proprio per un marcato reimpiego di formule e soluzioni assolutamente tipiche del pittore di Cortona, alle quali si ispirò anche il giovane Raffaello Sanzio, che proprio a Città di Castello realizzò i suoi primi capolavori, per raggiungere piú libertà e scioltezza di composizione e di maniera.
Sopra, veduta di Montone (Perugia). Sotto, la chiesa museale di San Francesco e il suo chiostro
Le persistenze signorelliane che connotano il panorama artistico locale per buona parte del Cinquecento sono infatti imputabili alla forte influenza dell’arte toscana in questi territori di confine, ma anche al nutrito lavoro di squadra impiantato dal maestro cortonese che permise il coinvolgimento diretto di allievi locali e fece sí che l’artista potesse seguire le numerose commissioni che gli erano state affidate, offrendo contemporaneamente ad alcuni giovani pittori la possibilità di una solida e fruttuosa formazione secondo le prassi della parcellizzazione del lavoro e di una certa serialità tipica dell’atelier signorelliano.
Una nuova pala
La grande quantità di materiale custodito in archivio, che ci parla ancora della presenza del grande artista toscano a Montone, ha suggerito agli abitanti del borgo, da sempre innamorati del proprio territorio e delle gesta dei personaggi che ne hanno popolato la storia, un nuovo e affascinante progetto culturale: l’amministrazione comunale è al lavoro per ricollocare all’interno della chiesa di S. Francesco una riproduzione della Vergine col Bambino e i santi, da realizzare con la tecnica della pictografia, che prevede l’impiego di metodi, materiali e pigmenti analoghi a quelli utilizzati all’interno degli atelier rinascimentali. Cosí, una fedele riproduzione della splendida pala migrata all’alba del Novecento da Montone alla National Gallery di Londra è stata recentemente commissionata a una bottega artigiana di Città di Castello. L’operazione culturale intende celebrare l’attività del pittore in questo pezzetto d’Umbria pregno d’arte e ci parla dell’orgoglio con il quale la comunità locale coltiva le proprie radici, riconosce il valore della propria memoria e se ne prende garbatamente cura.
Il medico della peste
Dai registri di Consigli e Riformanze custoditi presso l’Archivio di Stato di Perugia sappiamo che nel 1504 Alovisio, «nell’arte medicha (…) ottimamente istructo, già habitante a Montone» chiese di esercitare la propria attività professionale a Perugia. Nella «supplica» inviata ai maggiorenti della città, il medico che dieci anni dopo avrebbe affidato a Luca Signorelli la realizzazione della Vergine col Bambino e santi specificò di voler mettere il proprio lavoro al servizio di chiunque ne avesse avuto bisogno. E promise in modo solenne «in nelli tempi che fosse morbo nella ciptà de Peroscia non partirse da essa ciptà ma provedere a l’inferme che lo rechiederano de li rimey et medicine opportune a loro spese». I priori, verificate le ottime referenze di mastro Alovisio, gli assegnarono l’incarico per un salario annuo di 60 fiorini. Con una condizione apposta nell’atto pubblico: in caso di una epidemia di peste il medico non avrebbe potuto allontanarsi dalla città ma rimanere in servizio per fornire tutti i rimedi opportuni agli abitanti di Perugia e del suo territorio.
Annunciazione e i santi Fedele e Lazzaro, dipinto su tavola di Vittorio Anderlini e Tommaso Bernabei detto il Papacello. 1532. Montone, Museo Comunale di San Francesco
Il «Pictor de Montone» e Papacello
Sappiamo che a realizzare la Vergine col Bambino e santi insieme a buona parte di altri dipinti che Luca Signorelli ha lasciato nell’alta valle del Tevere (da Città di Castello all’incantevole paese di Morra fino a Citerna e Umbertide) contribuí il giovane e poco noto «Vittorio de Ciurello», che le fonti citano come «pictor de Montone». Vittorio Anderlini de’ Cirelli si avviò alla pittura proprio negli anni in cui Signorelli dipinse la pala migrata alla National Gallery che certamente il giovane montonese aiutò a portare a compimento.
Dopo gli anni di affiliazione con il maestro di Cortona, Anderlini continuò a realizzare monumentali pale d’altare per il suo paese natale. Le opere, straordinariamente corredate di documenti originali, ci permettono di ricucire la storia dell’artista e delle sue opere. Vittorio Anderlini è un pittore certamente lontano dal calibro del maestro cortonese e i suoi lavori denunciano soluzioni semplificate nell’impaginazione, così come nel linguaggio. Ma a ben guardare non sembrano per nulla scontati nelle scelte iconografiche a volte inconsuete e accattivanti.
L’Annunciazione e i Santi Fedele e Lazzaro conservata a Montone, presso il Museo Comunale di San Francesco, fu realizzata a quattro mani nel 1532 dal Cirelli insieme ad un altro allievo di Signorelli, Tommaso Bernabei, conosciuto con il soprannome di Papacello. L’opera appare molto interessante per alcuni suoi dettagli iconografici. Sotto un portico impreziosito da decori che richiamano l’antichità classica, i due artisti inseriscono la scena dell’annuncio con l’angelo appena planato – le sue vesti sono ancora svolazzanti – e la Vergine, sorpresa alle parole del messaggero divino. In basso, due figure di santi intrecciano con lo spettatore un dialogo di sguardi che rimane misterioso e ricco di suggestioni. Il santo sulla destra può essere agevolmente identificato come Lazzaro mendicante, il personaggio protagonista della parabola del ricco Epulone, emblema delle sofferenze accolte e, per questo, premiate, come ricorda il Vangelo di Luca: «Vi era un uomo ricco che vestiva di porpora e di bisso e ogni giorno faceva splendidi banchetti. Un mendicante di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco e nessuno gliene dava; perfino i cani venivano a leccargli le piaghe».
I dettagli della frutta e della verdura ai piedi della figura simbolica del santo e l’immagine del cane rappresentano il colto richiamo dei due artisti al testo evangelico. Lazzaro indica il santo vescovo che sta alla sua destra, il quale rafforza il gesto del compagno indicandosi a sua volta, quasi a voler confermare ciò che il povero mendicante ci vuole raccontare. Fra le numerose e interessanti informazioni restituite dalle fonti d’archivio sappiamo che riguardo al compenso ricevuto dal nostro Vittorio Cirelli per certe pitture realizzate per la chiesa di S. Fedele, il montonese Fabrizio di Andrea di Piero rilasciò la quietanza del pagamento proprio a Giovan Francesco, figlio di Alovisio, il medico che aveva commissionato al maestro Luca Signorelli la Vergine col Bambino e santi: «per florenos octo ad dicta ratione de mandato dictus Fabritius solvisse Victorio Anderlini ser Johannis de Montone pro parte et solutionis pretii picture et tabule». È molto probabile che il documento faccia riferimento proprio alla Annunciazione insieme ad alcuni altri affreschi, realizzati all’interno della bella chiesa montonese, che recentemente sono stati oggetto di un intervento di restauro.
Valentina Ricci Vitiani