Il commonwealth genovese

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Nel libro “Le repubbliche marinare” (Il Mulino, 2021) Ermanno Orlando, docente di Storia medievale all’Università per Stranieri di Siena, ripercorre le vicende delle maggiori città marittime del Medioevo italiano, protagoniste di una esaltante epopea di conquiste economiche e civili.

Pubblichiamo un estratto sulle dipendenze oltremare di Genova: una variegata galassia di possedimenti e dipendenze marittimi, entro cui orbitavano, in un insieme frammentato e disomogeneo, domini diretti, signorie personali ed egemonie private o consortili.


In riferimento alla variegata galassia di possedimenti e dipendenze marittimi di Genova, entro cui orbitavano, in un insieme frammentato e disomogeneo, domini diretti, signorie personali ed egemonie private o consortili, la storiografia ha da tempo coniato una definizione di grande efficacia, quella di commonwealth. Difficile, infatti, parlare di impero (e quanto mai imprudente di impero coloniale), per una realtà contraddistinta da una scarsa continuità territoriale, da una estrema varietà giurisdizionale e da una diffusa incoerenza amministrativa.

L’espansione di Genova nel Mediterraneo e in Europa – Codex Parisinus latinus (1395) in Ph. Lauer, Catalogue des manuscrits latins, pp.95-6

Dentro c’era un po’ di tutto: dal quartiere dipendente direttamente dalla lontana madrepatria e amministrato da un console o altro rettore di nomina comunale, al fondaco soggetto alla potestà dei signori locali; dall’isola di stretto dominio di una famiglia genovese, al territorio dapprima conquistato e poi controllato da associazioni consortili, o maone, che sulla base dei finanziamenti prestati all’impresa ottenevano poi la governance (parziale o totale) del possedimento acquisito.

Uno storico damasceno del XIV secolo, al-‘Umari, seppe cogliere più di altri la vera natura di questo universo così polimorfo e del tutto peculiare:

se essi unissero tutti i territori soggetti, girerebbero press’a poco tre mesi di cammino; ma sono così separati, senza legame che li tenga insieme, né re di alto animo che li stringa in un fascio.

D’altronde, l’unica cosa che interessava veramente ai genovesi non era esercitare un potere effettivo su una realtà compatta e organica, quanto piuttosto creare una serie di dipendenze, collegamenti e teste di ponte del tutto funzionale ai loro disegni di egemonia marittima e di supremazia commerciale: perché l’unico vero collante capace di tenere assieme l’intero sistema e di stringere il tutto in un solo «fascio» erano appunto gli interessi commerciali, precocemente estesi «per diversas mundi partes».

Come detto, fu durante la stagione delle crociate che Genova mise le basi della sua travolgente espansione mediterranea, insidiandosi pressoché in ogni porto o piazza commerciale che potesse spalancarle nuovi mercati e nuove possibilità di penetrazione economica.

L’assedio di Antiochia nella prima crociata-Miniatura tratta dal manoscritto Passages d’outremer di Sébastien Mamerot

La prima crociata le diede l’abbrivio decisivo: come ricompensa per gli aiuti prestati, si procurò privilegi, stabilimenti ed esenzioni in ogni terra di nuova conquista. Nel 1098 la città ligure ottenne la disponibilità di una chiesa, una piazza, un fondaco e trenta case ad Antiochia; nel 1104 ebbe in concessione una piazza a Gerusalemme, una via a Giaffa, la terza parte di Arsūf, Cesarea e Tripoli, ma soprattutto un terzo della città di Acri e del suo porto, con relative rendite. Largizioni simili le furono poi riconosciute in tutto il Levante crociato, sempre comprensive di libertà di commercio, immunità giudiziarie e favori daziari di diverso peso e natura. Spesso si trattava di una ruga, qualche fondaco o deposito nel porto, magari di una piazza; ma con il tempo si trasformarono in veri e propri quartieri, ciascuno dotato di case, magazzini, botteghe, pozzi, palazzi pubblici, bagni, forni, macelli, una o più chiese, una loggia. In breve, da provvisori divennero insediamenti permanenti e sempre più frequentati.

Sul lungo periodo, tuttavia, anche per effetto dell’estrema fragilità dei regni crociati, presto ricaduti sotto il dominio musulmano, solo pochi quartieri si mantennero attivi: Antiochia, Tripoli, Laodicea, Tiro, Beirut, ma soprattutto Acri. Dopo la riconquista di Acri nel 1191 nel corso della terza crociata, i genovesi ottennero non solo la conferma degli antichi privilegi, ma anche una ulteriore consolidazione della loro presenza in città; da allora furono regolarmente inviati dalla capitale due «consules et vicecomites Ianuensium in Syria» a reggere il quartiere, con giurisdizione piena su tutte le pertinenze genovesi nel Levante crociato.

Per questo l’estromissione della comunità da Acri dopo la guerra di San Saba nel 1258 fu una grave perdita per Genova; da allora la presenza ligure in Siria si fece sempre più flebile e intermittente. Quando poi Acri cadde definitivamente nel 1291 in mani musulmane, i pochi genovesi ancora rimasti trovarono rifugio nel regno cristiano di Cilicia, ma soprattutto a Cipro, dove sin dal 1218 la città ligure aveva ottenuto dai sovrani ciprioti, oltre a tutta una serie di esenzioni daziarie, anche case e terreni edificabili nelle maggiori città, Limassol, Nicosia, Paphos e Famagosta (sull’isola poi Genova, come già detto, avrebbe esercitato a partire dal 1372 un rigido protettorato economico, con base in particolare a Famagosta).

La grande espansione nel Levante crociato ebbe come conseguenza immediata una perdita di interesse per l’Egitto musulmano, dove pure la penetrazione genovese era stata precoce e antecedente.

Le prime attestazioni di una frequentazione regolare delle piazze egiziane da parte di mercanti liguri risalgono alla seconda metà del X secolo, dopo la conquista fatimide della regione. Tuttavia, bisognerà attendere il 1200 per trovare una piccola comunità stanziale residente ad Alessandria, in un fondaco di diretta giurisdizione locale (e dunque sotto lo stretto controllo delle autorità ayyubidi) ma soggetto all’amministrazione di un console inviato dalla madrepatria; la concessione fu poi rinnovata nel 1290, in occasione di un trattato sottoscritto con il sultano mamelucco Qalāwūn.

Il quartiere di Galata nella odierna Istanbul, noto anche per il famoso ponte sul Corno d’Oro

Ma la vera grande espansione genovese nel Mediterraneo orientale si ebbe con quel colpo di genio che fu il trattato di Ninfeo del 1261, che d’un tratto e senza colpo ferire ribaltò la situazione nel Levante bizantino, consegnando nelle mani di Genova l’egemonia marittimo-commerciale esercitata dapprima in esclusiva dalla rivale Venezia.

L’accordo prevedeva, tra le altre cose, anche la restituzione del vecchio quartiere genovese di Costantinopoli – il quartiere di Coparion sul Corno d’Oro, contiguo agli omologhi rioni delle altre città marinare, istituito nel 1155 e poi ampliato con successive concessioni imperiali nel 1160, 1170 e 1192, prima di essere completamente abbandonato in occasione della conquista crociato-veneziana della capitale imperiale nel 1204 –, sensibilmente ingrandito attraverso l’incorporazione di terre, immobili, scali, magazzini, chiese e palazzi già in possesso dei veneziani.

Qualche anno dopo, tra il 1267 e il 1268, assorbite alcune scosse di assestamento, il patto del 1261 venne integralmente confermato, ma con l’ulteriore concessione ai genovesi, in luogo dell’antico quartiere, di un nuovo e più ampio stabilimento nel sobborgo di Galata (sulla costa asiatica del Corno d’Oro), più noto con il nome di Pera, che presto divenne il fulcro dei loro domini in Oriente, oltre che una costante spina nel fianco per il ricostituito impero bizantino, in quanto capace di catalizzare buona parte dei traffici della capitale ed esercitare nei suoi confronti una concorrenza commerciale spietata.

Pera in una mappa del sec. XVI

Il quartiere era retto da un podestà, con mandato annuale, nominato dalla madrepatria. In breve, tuttavia, lo stabilimento, progressivamente ampliato e fortificato, sino a renderlo una cittadella inespugnabile, si rese completamente indipendente tanto dalla lontana patria che dalla stessa Bisanzio: una sorta di ‘stato’ nello ‘stato’, per gran parte autonomo e capace di politiche alternative rispetto sia al commonwealth genovese sia all’impero bizantino.

Il trattato di Ninfeo favorì anche la penetrazione genovese nell’Egeo greco, per iniziativa di singole famiglie o di persone private piuttosto che del comune ligure. Così, tra il 1303 e il 1304, Benedetto Zaccaria si insignoriva, con licenza imperiale, di Focea, sulla costa anatolica, e dell’isola di Chio, avamposti strategici importanti per la navigazione nel Mediterraneo orientale ma soprattutto grandi produttori di allume, poi esportato in Occidente, dove il prodotto godeva di un ampio mercato in quanto impiegato nella concia delle pelli e come mordente nell’industria tessile; dal canto suo, entro la metà del secolo, Francesco Gattilusio entrava in possesso di Mitilene, Taso, Imbro, Lemno, Enos e Samotracia.

Recuperate all’impero bizantino nel 1337, Chio e Focea caddero di nuovo sotto la sovranità genovese nel 1346, ancora per iniziativa privata. Fu, infatti, una spedizione finanziata da capitali privati, comandata da Simone Vignoso, a occupare dopo alcuni mesi di assedio i due avamposti, seppure sotto la direzione del comune. Dopo la conquista i partecipanti all’impresa si costituirono in una maona (parola araba che significa indennizzo); non avendo il comune ligure la possibilità di risarcire le spese sostenute, ne concesse in gestione il governo e lo sfruttamento economico per vent’anni.

Dipinto del XVI secolo raffigurante l’isola di Chio durante la dominazione della Repubblica di Genova

Nel 1362 la maona di Chio si consorziò in albergo, l’albergo Giustiniani, che avrebbe poi esercitato la piena signoria sull’isola sino alla sua caduta in mani turche nel 1566. Soprattutto, il trattato di Ninfeo spalancò ai genovesi la disponibilità, pressoché in esclusiva, del Mar Nero, regione che stava diventando proprio allora, come già visto, uno dei più importanti centri del commercio internazionale del tempo, in quanto sbocco finale di alcune delle più rilevanti vie delle sete (e delle spezie) che collegavano via terra la Cina e l’Asia centrale con il Mediterraneo (ma anche una delle terre più agitate e turbolente del pianeta, solo in parte placata dalla pax mongolica). Dopo aver ottenuto l’accesso alla regione pontica, attorno al 1275 i genovesi si accordarono con il khan tataro dell’Orda d’Oro per la costruzione di un insediamento autonomo sul sito dell’antica città greca di Teodosia, in Crimea, denominato Caffa.

Lo stabilimento crebbe velocemente sino a munirsi, già nel 1289, di una prima cinta difensiva e a dotarsi di tutte le strutture necessarie sia per le esigenze commerciali che per la vita ordinaria della comunità (cappelle, loggia, taverna, palazzi pubblici, depositi, magazzini e così via); già dal 1281 era retto e governato da un console di nomina della madrepatria.

Fortezza genovese a Caffa (foto: Petro Vlasenko)

Più volte assediato, fu completamente ricostruito dopo il 1316, sotto la direzione dell’Officium Gazarie, creato appositamente nella capitale per gestire i commerci e la navigazione nel Levante mediterraneo; sarebbe poi rimasto un dominio genovese sino al 1475, quando fu definitivamente conquistato dai turchi. Ciò che più conta, Caffa divenne in breve l’epicentro di un sistema diffuso di insediamenti liguri sparsi per tutta la regione pontica e in Crimea (chiamata appunto Gazaria dai genovesi), i cui terminali più importanti erano Trebisonda, Soldaia e la Tana, alle foci del Don. Attraverso il loro controllo, Genova detenne a lungo il monopolio commerciale nell’area; su ciascuno scalo confluivano le merci – oltre a sete e spezie, anche grano, pellami e schiavi– che poi venivano convogliate verso Pera e da qui smerciate, con grandi profitti, nell’intero Occidente.

La grande espansione di Genova a oriente non ci deve, tuttavia, far dimenticare che il centro originario dei suoi commerci era stato il Mediterraneo occidentale e che durante tutto il XIII secolo la città continuò a consolidare interessi e linee di traffico che avevano come terminali naturali il Maghreb, in particolare Tripoli e Bugia, dove era titolare di fondaci, e la penisola iberica, dove tra il 1230 e il 1251 aveva impiantato propri quartieri a Maiorca e Siviglia (il barrio de los genoveses).

D’altronde, sin dal 1277 la città ligure aveva istituito una rotta regolare per le Fiandre e l’Inghilterra, circostanza che l’aveva costretta in qualche modo a instaurare rapporti amichevoli e stabili sia con il sultano di Granada, sia con i cattolici re di Castiglia, che sin dal 1248 avevano appunto riconquistato Siviglia (uno dei capisaldi della navigazione commerciale verso il Nord Europa). Sin da allora, si era in qualche modo prefigurato quel destino atlantico che avrebbe contraddistinto la storia di Genova – o meglio, dei genovesi – nei secoli futuri.

Ermanno Orlando

Ermanno Orlando
Le repubbliche marinare
Il Mulino, 2021
Per maggiori informazioni: scheda del libro