Il Corteo Storico di Orvieto, fotografia della città medievale

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Istantanea dal Corteo Storico di Orvieto. Uno dei 26 vessilli delle terre assoggettate al Comune di Orvieto sullo sfondo dello splendido duomo

È quasi mitologico. Perché appare una sola volta all’anno. Inonda i vicoli di tufo di colori e suoni. Solenni, ripetitivi, quasi ipnotici. Poi sparisce. E per un anno intero non se ne ha traccia, se non nei racconti di chi lo ha visto o di chi vi ha preso parte. Contribuendo ad alimentarne il mito. Non è una manifestazione ludica. Non ci sono “singolar tenzoni” tra contendenti. Ma è una fotografia del passato. Una gigantesca istantanea in movimento di un Medioevo che è sfuggito lasciando però tracce indelebili.

È un po’ così il Corteo Storico di Orvieto. Non solo una solenne processione, ma una rappresentazione, più verosimile possibile, di un passato glorioso che ha fatto della Città della Rupe testimonianza di un’era, che poi buia non era affatto.

Nato a metà del secolo scorso è oggi la principale manifestazione popolare di Orvieto. Motivo di attrazione turistica, ma anche di grande partecipazione da parte degli orvietani. Chi è emigrato torna ogni anno nella terra natia anche solo per ammirare quegli straordinari costumi che già conosce a memoria, per averli visti ogni anno. Chi ancora vive sulla Rupe segue la manifestazione, a volte con spirito critico, ma sempre con affetto e dedizione.

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Le insegne della milizia con gli emblemi comunali

La scintilla di questa tradizione, espressione dell’artigianalità, del sapere fare della gente del posto, scoccò negli anni Quaranta, quando la Curia pensò di “rivitalizzare” la giornata del Corpus Domini e della processione del Reliquario custodito in Duomo, con una “Sacra rappresentazione” del miracolo di Bolsena, alle origini della festa del Corpus Domini, promulgata da Orvieto nel 1264 da Papa Urbano IV attraverso la Bolla Transiturus. Ancora oggi ricorrenza celebrata dal mondo cattolico.

Dal 1947 al 1951 l’Istituto del dramma sacro di Roma, diretto dai fratelli Tamberlani, realizzò in piazza Duomo drammi religiosi che culminavano nella rievocazione dei momenti salienti del “miracolo”: la celebrazione della messa nella cripta di Santa Cristina a Bolsena.

Nel 1951 la rievocazione fu preceduta da un Corteo Storico, ricostruito fedelmente sulla scorta di documenti dell’epoca in cui avvenne il Miracolo.

Ma l’iniziativa per motivi economici durò solo un anno. Sarebbe rimasta una apparizione fugace se Lea Pacini non avesse raccolto la “sfida” e non avesse creato quello straordinario patrimonio che oggi consta di più di quattrocento preziosissimi costumi, modellati dalle sapienti mani di abili artigiani. Su sollecitazione dell’allora vescovo Francesco Pieri, la “signora Pacini”, come veniva chiamata, quasi con timore reverenziale, prese i contatti con il “Maggio Musicale Fiorentino” ed ebbe in prestito alcuni costumi per vestire un piccolo gruppo di figuranti, affinché accompagnasse in abiti storici la processione. Diede così il via alla storia del Corteo.

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La signora Lea Pacini, fondatrice e creatrice dell’associazione omonima, che organizza il Corteo Storico di Orvieto

Anno dopo anno, sotto la guida della infaticabile ricercatrice, imprenditrice, mecenate, appassionata di arte, di storia del costume e e cultrice della “orvietanità,” la tradizione si consolidò.
Pacini studiava gli affreschi in Duomo e nelle chiese orvietane, per carpire i particolari degli abiti medievali; artigiani locali, a cui si affidava, davano forme ai suoi progetti. Sono nati così i preziosi mantelli, gli elmi, le corazze, le alabarde, gli stendardi e le bandiere che sfilano ancora oggi e solo per una volta all’anno, lungo le vie della città. Ciascun pezzo è realizzato su disegno originario della “signora Pacini”. Ma ciascun pezzo, proprio perché fatto a mano, è unico e irripetibile.

Con il tempo e i processi di industrializzazione seriale, si sono perse alcune di quelle abilità artigianali. Non ci sono più i calzolai che hanno modellato ogni singola scarpa o stivale con pelli pregiate. Anche i velluti così ricchi, pesanti, perfetti, sono sempre più merce rara. Non ci sono più quelle abili mani che hanno cucito fili d’oro che arricchiscono ciascun particolare.
L’unicità del Corteo storico di Orvieto sta anche qui. Se dovesse nascere ex novo, oggi probabilmente non potrebbe vedere la luce. E se da un lato sono la certosina precisione e ricchezza millimetrica, quasi maniacale, a rendere eccezionale questo patrimonio di abiti, dall’altro è l’accurata ricerca storica che dà al Corteo un valore “storico”. Esso è e vuole essere –come detto– una fotografia del passato. E come tale più fedele possibile alla realtà orvietana medievale, divisa tra poteri civile e militare, classi sociali, casate nobiliari, terre assoggettate, che facevano della Rupe un eccezionale centro di potere.

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La milizia schierata durante il Corteo Storico

Nella “fotografia” del Corteo Storico, siamo nella seconda metà del Trecento. Orvieto è una città stato, potente, temuta e rispettata. La sua influenza si estende ben oltre i confini della Rupe e i suoi domini vanno dal mar Tirreno, inglobando le rive di Orbetello in Maremma, fino al lago di Bolsena e il monte Amiata.

Il Corteo Storico si divide fondamentalmente in tre parti: la rappresentazione del potere politico, con il Corteo del Podestà; la vita di città con i quartieri in cui è suddivisa l’Urbe antica: Corsica, Serancia, Olmo e Santa Maria e la rappresentazione del potere militare con il Corteo del Capitano del Popolo. Ogni parte del corteo si integra perfettamente con l’altra e lo spettatore, quasi ipnotizzato, segue il percorso dei figuranti, che procedono scandendo il passo con medesimo ritmo mantenuto dai tamburini, lo stesso incedere, sancito dal ritmo dei tacchi e dallo sfregolio della pelle di scarpe e stivali indossati dai figuranti. Trombettieri, tamburini, insegne del Comune e scudieri fanno da apripista alla solenne figura del Podestà che è seguita dai cavalieri delle famiglie nobiliari della città. Il Gonfaloniere di Giustizia, con i notabili, cancellieri, giudici, sindaco, ambasciatori e sapienti sono i rappresentanti della giustizia e dell’amministrazione cittadina, che si estende fino alle terre assoggettate, rappresentate dai vessilli e dai nobili provenienti da ogni angolo del territorio per il giorno di festa.

Straordinarie e curatissime le bandiere del territorio che facevano parte del dominio orvietano, ricostruite fedelmente e non stampate sulla tela, ma realizzate cucendo e ricamando pezzo su pezzo. Il corpo centrale della processione storica è rappresentato dai quattro quartieri che ricordano la divisione in rioni della città storica, sopra la Rupe. Ogni quartiere presenta i propri tamburini, Anterione, rappresentanti Nobili del Quartiere, Ceri Votivi, Sbandieratori, Vessillifero Maggiore, Vessilliferi dei rioni.
I costumi con lo stesso taglio hanno come particolarità l’utilizzo dei colori tipici di ciascuna zona di Orvieto: giallo e rosso per il Corsica, bianco e verde per l’Olmo, giallo e blu per il Santa Maria, bianco e rosso per il Serancia. Segue il Corteo delle Corporazioni, che rappresenta tutte le principali attività economiche della città stato.

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La quadriglia tamburi delle Corporazioni schierata per il Corteo

Ecco infine il corteo delle milizie: si apre con un gruppo di tamburini che scandiscono il passo e danno così ai figuranti, che seguono, un ampio senso di appartenenza e di onore verso ciò che stanno rappresentando. Dopo le bandiere con i vessilli del Comune sfilano due Quadriglie; la prima è quella detta “Alabarde”, una lunga asta con in cima un ferro simile ad un’ascia. La seconda quadriglia è quella degli “Spiedi”: una lunga asta con in cima un ferro simile ad uno spiedo.

I figuranti riportano in vita le milizie che nel Medioevo servivano ad Orvieto. La processione prosegue con le insegne della città, la scorta armata con gli spadoni e l’insegna del Capitano del Popolo, la figura principale del potere militare. Temuto, stimato, potente, il figurante che indossa l’abito mostra questa vocazione alla forza. Lo seguono gli scudieri: porta scudo e porta lancia. Ancora il cavaliere con la bandiera di San Giorgio, il Conestabile dei cavalieri Filippeschi, lo scudiere ed il porta lancia dei Filippeschi. Poi il gruppo dei cavalieri: Della Greca, Montemarte, Marsciano, Mazzocchi, Ranieri, Bisenzi, ciascuno con il proprio scudiere al seguito. Di nuovo un gruppo di tamburini introduce l’insegna dei Balestrieri, il Capitano dei Balestrieri Avveduti, con lo scudiere, i balestrieri e i pavesieri. Quindi le quadriglie: ronconi, lance taglio e punta, lance a giglio, le insegne dei quartieri.

La cromia degli abiti merita un approfondimento. Nel Trecento e nella prima metà del Quattrocento, l’uso dei colori vivaci, spesso accostati a contrasto in varie forme di disposizione bipartita in senso verticale a scacchi, a righe, a onde e via dicendo, è particolarmente frequente. Valletti, trombettieri, porta ceri, spiccano nel corteo proprio per i vivaci colori bipartiti.
Ma il colore in assoluto più frequente è il rosso scarlatto –tinta per eccellenza dei manti regali e nobili in genere, di quelli dei magistrati e in alcuni casi dei medici– seguito dal verde intenso, spesso accoppiati a contrasto. Apprezzati erano anche il porpora rosato, il vermiglio, il violetto, il pavonazzo, il morello e l’alessandrino (blu-turchese cupo) e il blu-azzurro (il nostro celeste). Il grigio, con tutte le sue varianti, dal grigio cenere al bigio, e i toni del marrone spento, più o meno chiaro, erano invece i colori degli artigiani dediti ai mestieri, mentre al popolo basso –contadini, muratori, salariati in genere– rimaneva il bianco.

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Particolare dell’elmo del Capitano del Popolo

Anche il nero era un colore importante perché designava una tipologia sociale nobiliare o quantomeno elevata per autorità, anche se generalmente si anteponeva al rosso soprattutto perché era imposto da tutte le leggi sanitarie emanate: la tinta, assai meno costosa, denotava simbolicamente fermezza, autorità, perseveranza e saldezza di propositi.
L’esempio più eclatante dell’uso del colore nero nel Corteo Storico di Orvieto è il mantello indossato dal conestabile dei cavalieri, ricamato in seta nei colori bianco, rosso oro e argento. Quello che colpisce l’osservatore è che il Corteo storico, che sfila soltanto al mattino, nella domenica del Corpus Domini (tra fine maggio e inizio giugno), dopo una lunga preparazione dei figuranti, con precisione quasi maniacale per il dettaglio, è composto da soli figuranti uomini mentre le donne non sono ammesse. Questo perché i personaggi che sono interpretati dai figuranti, ovvero Podestà, Gonfaloniere di Giustizia, Consoli, Capitano del Popolo, rappresentanti delle milizie, nobili, erano tutti rigorosamente di sesso maschile.

Alle donne è riservato uno speciale Corteo delle Dame che sfila il giorno antecedente e che si è costituito nel 1994. Oggi a custodire, valorizzare e promuovere questo eccezionale patrimonio fatto di arte, artigianato, storia, cultura, del saper fare unico e irripetibile, è l’Associazione Lea Pacini.
Costituita all’inizio degli anni Novanta ha ereditato dalla fondatrice la grande passione e dedizione e il compito di portare avanti il Corteo. Una tradizione che affronta il futuro con fierezza. Laica, apolitica e senza fini di lucro, l’Associazione è composta, oltre che dall’Assemblea degli iscritti, dal Consiglio di Amministrazione, dal Comitato di Gestione con il suo presidente e dal Collegio dei Decani. Tante persone coinvolte tutto l’anno nell’organizzazione di quell’attesa giornata nella quale Orvieto riscopre se stessa.

Andrea Mazzi
Giornalista e saggista, ricercatore e studioso di tradizioni popolari
Articolo pubblicato su MedioEvo N° 256 di maggio 2018
Crediti foto: fotografi vari per l’Associazione Lea Pacini

L’edizione 2018 del Corteo Storico di Orvieto si terrà il 3 giugno, ore 10:00 in Piazza del Capitano del Popolo.
Il giorno precedente (2 giugno, ore 17:00) il Corteo delle Dame in Piazza Duomo.
Maggiori informazioni e programma completo della Festa del Corpus Domini: Corteo Storico Orvieto