Il gioco delle carte e le carte da gioco

da

giochiborromeo

Uno degli affreschi dei giochi (1445-1450) di Palazzo Borromeo a Milano.

Pare che sia stata inventata apposta per giocare, la carta. Giocare a soldi, beninteso, visto anche che all’inizio le carte stesse erano i soldi.

Quando si affacciano sul mondo, infatti, le carte da gioco non sono altro che carta moneta. Sono la posta in gioco, prima ancora di diventare il gioco.

Non è in realtà semplice ricostruire il percorso che ha portato alla nascita di uno degli oggetti che – standardizzato fondamentalmente in due modelli (l’italiano e il francese) – ancora oggi è di uso tanto comune da essere praticamente l’unica carta rimasta fatta ancora di carta. D’altra parte, come si diceva, la carta da gioco è la carta per antonomasia. E non a caso nasce con l’invenzione stessa del materiale.

A dispetto di molte tradizioni, alcune delle quali le vorrebbero nate in Spagna, altre a Napoli, mentre un’altra ancora le sostiene discendenti di un’antica moneta romana – l’asse – con tutta probabilità le carte da gioco nascono in Cina, circa 2000 anni fa, insieme al materiale di cui sono fatte.

Se la tradizione cinese attribuisce l’invenzione a T’sai Lun, dignitario imperiale del II secolo che riuscì ad ottenere fogli lisci e sottili da un impasto di fibre di gelso e di bambù (ma scavi archeologici avrebbero trovato recentemente brandelli di carta risalenti addirittura al II secolo a.C.) in Europa la carta non è arrivata fino al XII secolo e ha preso piede lentamente a partire dal Duecento per affermarsi definitivamente solo nel Quattrocento, quando rimpiazzerà la pergamena, ottenuta dalle pelli animali.

Con la carta, i cinesi introducono anche la “carta moneta”, ovvero le banconote, che sono decorate con tre diversi tipi di disegni: le Monete (Qian), le Stringhe di monete (le monete cinesi hanno un foro al centro per poterle impilare e infilare in una corda come perle) dette Tiao, e le Miriadi (Wan). A queste si aggiungono altre tre carte singole: Qian Wan (Migliaia di Diecimila), Hong Hua (Fiore Rosso) e Bai Hua (Fiore Bianco).

Fante di denari del mazzo «Italia 2» (1390-1410)

Fante di denari del mazzo «Italia 2» (1390-1410)

Inizialmente le banconote vengono utilizzate come posta quando si gioca a dadi o a domino ma ben presto finiscono per essere utilizzate come strumento stesso del gioco. Non è semplice determinare la tempistica con cui avviene il cambiamento, perché in cinese la parola “P’ai” indica sia le tessere da gioco che le carte. D’altra parte è il gioco che interessa, e non il supporto – che sia di legno, di osso o di carta – e la carta è indubbiamente il materiale più leggero e meno costoso a disposizione.

A testimoniare quanto il gioco a carte sia diventato popolare in Cina alla fine del primo millennio, la Storia della dinastia Liao scritta nel XIV secolo riporta che nella notte di Capodanno del 969, l’Imperatore Mu-Tsung giocò a carte con la moglie.

Secondo alcune ipotesi sono proprio le carte cinesi a dare origine ai nostri “semi”: le monetine potrebbero essere diventate i denari, le Fila di monete i bastoni, le Miriadi le coppe e le Decine di miriadi le spade.

Ci vorranno però almeno cinquecento anni perché le carte da gioco si affaccino in Europa e come nel caso degli scacchi, anche stavolta saranno un regalo della cultura araba. La quale, a sua volta, le aveva trovate in Persia.

Sei di denari del mazzo di carte mamelucche del XV secolo

Sei di denari del mazzo di carte mamelucche del XV secolo

Come dalla Cina si sia arrivati alla Persia non è del tutto chiaro: un’ipotesi attraversa l’India (dove esistono delle carte da gioco, anche se circolari e molto diverse da quelle cinesi e da quelle occidentali), un’altra propende per il passaggio diretto (e la successiva “esportazione” del gioco in India, dove in effetti non è testimoniato prima del XVI secolo). Di certo c’è che con la conquista persiana da parte degli arabi nell’VIII secolo la cultura islamica conosce il gioco delle carte e lo rielabora.

Nel XIV secolo in Egitto è attestato già un mazzo di 52 carte (oggi custodito nel museo di Topkapi a Istanbul) divise in quattro semi: Jawkân (bastoni da polo), Darâhim (denari), Suyûf (spade) e Tûmân (coppe). Ogni seme contiene dieci carte, numerate da 1 a 10, e tre figure chiamate Malik (Re), Nā’ib malik (viceré) e Thānī nā’ib (secondo viceré).
Le figure mamelucche mostrano disegni astratti e non figure umane (a causa della legge islamica che lo vietava) ma riportano il nome di ufficiali dell’esercito e presentano “semi” che sono già quelli attuali, anche se le scimitarre arabe diventeranno spade dritte e le mazze da polo (gioco allora sconosciuto in Europa) i bastoni.

Le carte da gioco fanno la loro prima comparsa in Europa nel 1371, in Catalogna e nel 1376 le troviamo a Firenze, visto che il 23 maggio di quell’anno viene promulgata un’ordinanza che vieta il gioco delle “naibbe”, antico nome che deriva direttamente dall’arabo “naib” (Deputato – una delle carte).
Un anno dopo, nel sermone Tractatus de moribus et disciplina humanae conversationis un frate domenicano di Basilea descrive un gioco di carte. Lo stesso anno un’ordinanza parigina ne vieta il gioco nei giorni feriali e il
26 ottobre 1380 a Barcellona nell’inventario del mercante Nicolas Sarmona viene elencato “un gioco di carte di 44 pezzi”.

Il mazzo di carte europeo più antico che si conosca è quello chiamato “Italia 2”, datato tra il 1390 ed il 1410 e conservato al Museo Fournier de Naipes di Vitoria-Gasteiz, in Spagna. Un altro mazzo antico è lo Stuttgarter Kartenspiel (“Mazzo di Stoccarda”) risalente al 1430.

La carta del carro del mazzo Visconti di Modrone (ca. 1428)

La carta del carro del mazzo Visconti di Modrone (ca. 1428)

Nel Quattrocento nascono anche i Tarocchi, composti dall’unione di un mazzo di carte tradizionale con una serie di carte speciali dette trionfi. Non è chiara l’origine del termine “Trionfo” ma alcuni lo ricollegano all’opera di Francesco Petrarca.
Scritto tra il 1351 e il 1374, I Trionfi è un poemetto allegorico costituito da 12 capitoli raggruppati in 6 Triumphi, ciascuno dedicato ad una visione ottenuta dal poeta in sogno: Amore, Pudicizia, Morte, Fama, Tempo ed Eternità.
Il trionfo dell’Amore è stato dunque associato alla carta degli Amanti, quello della Castità alla Temperanza, il Trionfo della Morte alla Morte, il Trionfo della Fama al Giudizio, quello del Tempo all’Eremita e quello dell’Eternità al Mondo. Resta il fatto che i trionfi di Petrarca sono solo 6 a fronte dei 21 dei tarocchi ed è difficile trovare una corrispondenza per trionfi come la Papessa o L’Appeso.
Il termine “Tarocchi” – la cui origine è ignota – verrà comunque introdotto solo nel Cinquecento; questo tipo di mazzo (inteso come unione di 22 Trionfi e 56 carte comuni) nasce comunque essenzialmente per svolgere complicati giochi di “presa e risposta” e solo dalla fine del Settecento i Tarocchi inizieranno ad essere usati in cartomanzia. Anche tutte le interpretazioni sulle origini esoteriche che vorrebbero ricollegarli alla cabala ebraica o ai geroglifici egizi ani sono dunque di epoca contemporanea e prive di qualsiasi fondamento.

Quanto alle comuni carte da gioco, nel corso del XV secolo cambiano spesso aspetto per rappresentare le famiglie reali europee e i loro vassalli, e sono divise originariamente in “re”, “cavalieri” e “servi”. Oltre alle figure, anche i semi variano e pur restando sempre in numero di quattro se ne presentano molte varietà. Di fatto in ogni regione d’Europa – e addirittura d’Italia – le carte da gioco finiscono per avere un aspetto diverso.
In Germania, per esempio, si trovano carte con cuori, campane, foglie e ghiande mentre in Francia – intorno al 1480 – nasce il modello con cuori, quadri, picche e fiori, destinato a prevalere perché più facile ed economico da riprodurre rispetto a disegni più elaborati.

Caravaggio, I bari, olio su tela, 1594 (Fort Worth, Kimbell Art Museum)

Caravaggio, I bari, olio su tela, 1594 (Fort Worth, Kimbell Art Museum)

Il trèfle (così chiamato per la somiglianza alla foglia del trifoglio) deriva probabilmente dalla ghianda dei semi tedeschi, e così anche il pique, derivato dal seme della foglia tedesca, assume tuttavia il nome dell’arma seguendo l’esempio delle spade italiane. Quanto alle figure, sulle prime carte si ritrovano intere e in Francia spesso hanno il nome di particolari eroi storici o fiabeschi. Rouen diventa un centro prolifico di produzione nel XVI secolo, da dove si originano molti degli elementi delle carte di corte ancora presenti nei mazzi moderni. Alle figure sulle carte gli artigiani di Rouen associano nomi che pescano dalle storie della Bibbia, la mitologia greca, la Roma antica e leggende cavalleresche. I quattro re sono infatti Davide, Alessandro Magno, Giulio Cesare e Carlo Magno, i fanti Ettore di Troia, Etienne de Vignoles (comandante francese al tempo di Giovanna d’Arco), Uggeri il Danese (un cavaliere di Carlo Magno) e Giuda Maccabeo (che guidò la rivolta ebraica contro i siriani). Le regine sono invece Pallade, Atena, Rachele (la madre biblica di Giuseppe), e Giuditta (altra figura biblica). La tradizione parigina usa gli stessi nomi, ma assegnandoli a semi diversi.
Nei primi giochi i re sono la carta di valore maggiore, con nessuna eccezione. Già a partire dalla fine del 1400 si inizia però a dare un significato speciale alla carta nominalmente di valore minore, ora detto asso (e dare al 2 il valore minore). La matta, jolly o joker in inglese, è creata per il gioco alsaziano dell’Euchre e si diffonde dall’Europa all’America assieme al Poker. Non ha alcuna correlazione con il Pazzo dei tarocchi nonostante la somiglianza.
Di fatto l’aspetto delle carte da gioco andrà stabilizzandosi sempre di più e mantiene oggi più o meno quello assunto nel corso dell’Ottocento. Sono arrivate fino a noi anche le tante varianti sviluppatesi nel corso dei secoli anche se di fatto ad affermarsi maggiormente, oltre ai tarocchi (con uso però completamente diverso) sono state di fatto le carte francesi, la napoletane e le piacentine, che – capaci di resistere a sei secoli di innovazioni tecnologiche – rappresentano ancora oggi uno dei passatempi più amati da cittadini di ogni generazione e classe sociale e tra i pochi pezzi di carta che la tecnologia non ha ancora sostituito con lo schermo di uno telefono. E se consideriamo che oggi buona parte dei mazzi di carte che finisce nelle nostre case è Made in China è proprio il caso di parlare di un ritorno alle origini.

Arnaldo Casali