Il gran rifiuto di Celestino V

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Celestino V, nato Pietro Angelerio (o secondo alcuni Angeleri), detto Pietro da Morrone e venerato come Pietro Celestino (Molise, fra il 1209 ed il 1215 – Fumone, 19 maggio 1296), fu il 192º papa della Chiesa cattolica dal 29 agosto al 13 dicembre 1294

“Finalmente avremo un papa che crede in Dio”.

Con queste parole Ignazio Silone fa commentare a un popolano l’elezione di papa Celestino V in L’avventura di un povero cristiano, opera teatrale pubblicata nel 1968 e dedicata a quello che è conosciuto come il papa “del gran rifiuto” per la citazione (assai poco benevola) che Dante ne fa nella Divina Commedia.

In realtà papa Celestino – morto il 19 maggio del 1296 – fu tutt’altro che vile: la chiesa lo ha proclamato santo il 5 maggio del 1313 e gli studiosi non sono neppure concordi sul fatto che l’Alighieri si riferisca proprio a lui.

Pietro Angelerio, nato all’inizio del XIII secolo in Abruzzo, aveva passato gran parte della vita come eremita sul monte Morrone, dove aveva fondato un ordine monastico e si era guadagnato fama di santità. Nel 1294 aveva inviato un messaggio ai dodici cardinali riuniti in conclave a Perugia per eleggere il successore di Niccolò IV, primo papa francescano, che era morto ormai da due anni.

È Latino Malabranca ad avere l’idea di scegliere proprio Pietro e i cardinali concordano perché il monaco abruzzese rappresenta una soluzione “neutra” al conflitto che contrappone le grandi famiglie romane. Inoltre, sono convinti che un monaco totalmente inesperto di politica sarà molto più facile da gestire.

Celestino viene eletto il 5 luglio 1294 e la notizia suscita stupore e speranza in tutto il mondo cristiano: l’arrivo sul trono di Pietro di un eremita con fama di santità sembra compiere la profezia di Gioachino da Fiore sull’avvento dell’Età dello Spirito.

“In realtà l’elezione di Pier del Morrone non rappresentò la vittoria della chiesa spirituale sulla chiesa carnale – commenta Paolo Golinelli in Il papa contadino – se così fosse altre figure sarebbero emerse, ben più vigorose, pensiamo solo ad Angelo Clareno”.

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Celestino V (probabile) in un affresco della chiesa di Santa Maria Assunta ad Assergi, poco lontano da L’Aquila

Se Raoul Manselli ed Edith Pàsztor parlano di “irruzione del soprannaturale nella storia”, secondo Golinelli “siamo di fronte semmai all’irruzione dell’insicurezza, in quella fine di secolo tanto travagliata, e dell’affacciarsi della stanchezza dopo 27 mesi di conclave, sedi diversi e molteplici traversie, anche politiche e militari, per l’oggettiva difficoltà di mantenere il dominio dello Stato Pontificio in quelle circostanze”.

L’eremita ha 84 anni, ed è un personaggio che evidentemente si ritiene di poter manipolare facilmente. E che in ogni caso non darà fastidio: il suo sarà un pontificato di tregua e di breve durata. Il classico papato “di transizione”.

Jacopone da Todi, invece, da smaliziato francescano spirituale quale è, ha già intuito i retroscena della “miracolosa” elezione, e mette in guardia il nuovo papa scrivendogli una lauda che più che un biglietto di auguri appare come una lettera di condoglianze:

Que farai, Pier da Morrone? Sei venuto al paragone.
Vederimo êl lavorato, che en cell’ài contemplato. S’el mondo de te è ’ngannato, séquita maledezzone”.

Il poeta continua con parole durissime verso i cardinali che hanno eletto il santo eremita: “L’ordine del cardelanato posto è en basso stato, ciaschedun suo parentato d’arricchire ha intenzione”. Profeticamente, Jacopone aggiunge: “Guardati dal barattare, che in ner per bianco fan vendàre, se non te sai ben schermire canterai mala canzone”.

Se Dante lo accuserà di viltà per la rinuncia, Jacopone – al contrario – lo commisera proprio per aver accettato:

“Grann’eo n’ abi en te cordoglio co’ t’escìo de bocca: «Voglio»,
ché t’ài posto iogo en collo, che tt’è tua dannazione”.

Celestino decide però di dare subito un segnale forte: partendo alla volta di Roma per l’incoronazione, non fa sellare un cavallo ma un asino.

“Udendo ciò i re e i cardinali, che se la godevano su bellissimi cavalli e palafreni, ammirarono la sua grande umiltà ma cercarono di dissuaderlo” racconta Tommaso da Sulmona. Celestino, per niente convinto, segue il suo proposito e accompagnato da una grandissima folla arriva a L’Aquila il 25 luglio. Il nuovo papa si trova già tra due fuochi: i cardinali vogliono che li raggiunga a Perugia, lui vorrebbe andare a Roma, Carlo d’Angiò re di Napoli, invece, insiste perché resti a L’Aquila. Il motivo ufficiale è che fa troppo caldo e il papa è troppo vecchio per affrontare un viaggio così lungo. Ma la verità è che il sovrano, che dopo tanti conflitti con la Chiesa si è ritrovato ad avere un papa nel suo regno, non ha nessuna intenzione di fargli raggiungere lo Stato pontificio. Celestino, legatissimo a L’Aquila, dove lui stesso ha fondato la basilica di Collemaggio, è propenso a seguire il parere di Carlo. Si cerca quindi una soluzione di compromesso: i cardinali propongono di organizzare l’incoronazione a Rieti, che è più vicina ma già nello Stato della Chiesa, ma alla fine è il re ad averla vinta.

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Carlo d’Angio (1226-1285) incoronato da Clemente IV

“Purtroppo Celestino V si mostrò fin dall’inizio creatura di Carlo lo Zoppo – commenta Golinelli – che faceva quanto il sovrano gli diceva. Da parte sua il re fece di tutto per legare a sé il papa, anche col vincolo della gratitudine e dell’amicizia”. Non a caso, quando ad agosto muore Latino Malabranca, Celestino lo sostituisce con la nomina a cardinale decano dell’unico francese del collegio.

Il 15 agosto avviene la vestizione e la scelta del nome, mentre il 29 agosto è il momento dell’incoronazione, che raccoglie una folla di 200mila persone. Al termine della cerimonia il papa sale su un cavallo bianco e percorre le vie della città, seguito da una lunga processione. L’eremita sembra aver già iniziato ad adeguarsi al fasto mondano.

Come segretario, Celestino sceglie un laico – Bartolomeo da Capua – e il primo settembre 1294 nomina 12 cardinali, in gran parte ispirati da Carlo II: sette sono francesi e cinque italiani, cinque benedettini tutti legati agli angioini e fra essi persino uomini della cancelleria del re di Napoli, mentre due sono monaci celestini: Francesco D’Atri e Tommaso di Ocre.
Il papa angelico, d’altra parte, non si fa problemi a privilegiare apertamente il suo ordine: con la bolla del 27 settembre, priva completamente i vescovi della giurisdizione su monasteri e monaci celestini e arriva persino a nominare un morronese come abate di Montecassino, trasferendo l’abate precedente a Marsiglia e generando sempre più malcontento tra i benedettini tradizionali.

Il 29 settembre firma la bolla con cui istituisce la Perdonanza di L’Aquila:
Noi che nel giorno della decollazione del capo di san Giovanni nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio dell’ordine di San Benedetto, ricevemmo l’insegna del diadema impostoci sul capo, desideriamo che quella chiesa si elevi ad onori speciali! Tutti coloro che saranno veramente pentiti dei peccati confessati, che dai vespri della vigilia della festa fino ai vespri immediatamente seguenti la festa stessa ogni anno entreranno nella predetta chiesa per la misericordia di Dio onnipotente e confidando nell’autorità dei santi Pietro e Paolo, assolviamo da ogni colpa e pena che meriterebbero per i loro delitti e per tutte le cose commesse sin dal battesimo”.

Il 6 ottobre il papa, scortato da Carlo II, lascia L’Aquila: vorrebbe raggiungere Roma, ma finisce per seguire il re a Napoli, e si fa costruire una cella in legno all’interno della stessa reggia.
Il pontefice appare ormai come prigioniero del sovrano angioino e il paradosso è doppio: non solo il vicario di Cristo è ostaggio di un sovrano laico, ma uno stesso re – quale il papa è – finisce per essere “ospite permanente” di un sovrano confinante.

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Le spoglie di Celestino V sono conservate nella basilica di Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila. Dopo la ricognizione canonica del 2013, la maschera in cera che copriva il volto del papa è stata sostituita con una in argento

Da Napoli, Celestino continua a emanare decreti: se di molti non è l’ispiratore, di alcuni non è probabilmente nemmeno a conoscenza. “Celestino compiva le azioni di un uomo santo, poiché non si era allontanato dell’innocenza della vita precedente per essere divenuto pontefice – scrive il contemporaneo Tolomeo Fiadoni da Lucca – tuttavia veniva raggirato dai suoi funzionari in ordine ai privilegi che concedeva, dei quali egli non poteva aver notizia sia per la debolezza della vecchiaia, sia per l’inesperienza di governo intorno alle frodi e alle malizie umane nelle quali i curiali sono particolarmente esperti”.

Il papa incontra anche diverse e umilianti difficoltà pratiche: a cominciare dalla poca dimestichezza con il latino, usato in tutti i documenti ma anche nelle cerimonie ufficiali. Tra i ghigni della corte reale e il sarcasmo della curia papale, il pontefice chiede che ogni atto da firmare gli venga tradotto in volgare e che anche nei concistori si possa evitare di parlare in latino.

Ma Celestino non è uno sprovveduto: nella sua vita ha fondato decine di monasteri ed è a capo di un ordine grande e influente. Capisce benissimo che sta perdendo sempre di più il controllo della situazione, ma non ha la forza di reagire e si trova ormai in un cul de sac, sotto scacco di un sovrano potente e di una curia sempre più alla deriva. Proprio questa consapevolezza fa maturare in lui l’idea di dimettersi dal pontificato e tornare a fare l’eremita.

Una parte, in questa decisione, la riveste senza dubbio il cardinale Benedetto Caetani, consulente giuridico del papa sul quale – divenuto suo successore – sarebbe caduta una leggenda nera che vuole lo cospiratore e manipolatore dell’anziano pontefice.

Le dicerie diffuse dai nemici di Bonifacio VIII vogliono addirittura che, come in un film tragicomico, Caetani avrebbe fatto udire di notte a Celestino voci che – grazie all’utilizzo di canne o strani marchingegni – sembravano provenire dall’aldilà e suggerivano al papa la rinuncia al pontificato.

Carlo non ha però nessuna intenzione di farsi sfuggire il papato dalle mani, e quando il papa inizia a valutare l’ipotesi delle dimissioni, lui sparge la voce e poi organizza una solenne processione per convincerlo di quanta stima goda e con quanta forza il popolo lo voglia al suo posto. La processione, descritta da Tolomeo Fiadoni – giunge alla reggia di Castelnuovo: i fedeli chiamano a gran voce il papa e uno dei vescovi alla guida della processione chiede udienza per invocare il pontefice a nome del re e di tutti i presenti di non lasciare il papato. Celestino si affaccia a una finestra accompagnato da tre vescovi e impartisce la benedizione apostolica. Un altro vescovo, da dentro, risponde tranquillizzando la folla. Il papa, perplesso, si ritira nella sua cella mentre il popolo canta il Te Deum.

“Egli è sempre lontano, raggiungibile solo per interposta persona – commenta Golinelli – chiuso nell’eremo, oltre un muro, oltre una grata. Quella è l’immagine più significativa di quest’uomo separato, diverso, lontano dalle persone comuni, incapace di seguirne i piccoli vizi, l’ambizione, la vanità, anche soltanto quel poco di egocentrismo che non può mancare in un personaggio pubblico”.

“Lo deridano pure coloro che lo videro – scriverà Petrarca – per loro il povero spregiatore delle ricchezze e la sua santa povertà apparivano vili di fronte al fulgore dell’oro e della porpora. A noi sia concesso di ammirare quest’uomo e di considerare una disgrazia il non averlo potuto conoscere personalmente”.

Dopo aver cercato di affidare a tre cardinali la reggenza della Chiesa, riservandosi solo un ruolo formale di rappresentanza, e aver ricevuto un rifiuto, Celestino inizia a cercare dei precedenti canonici che legittimino le sue dimissioni, sostenuto nell’opera dall’onnipresente Caetani.

Il 13 dicembre 1294 riunisce il concistoro dei cardinali. Sedutosi sul trono impone il silenzio, poi prende la pergamena e legge l’atto di rinuncia.

Bonifacio VIII indice il giubileo del 1300

Bonifacio VIII indice il giubileo del 1300, Giotto, San Giovanni in Laterano, Roma

Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità del mondo, al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all’onere e all’onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale”.

Poi scende dal trono e depone a terra l’anello, e la corona e il manto pontificale, e si siede lui stesso a terra. Infine celebra la messa.

Nove giorni dopo, a Napoli si riunisce il nuovo conclave: in un primo momento punta su Matteo Rosso Orsini, che però rifiuta. La figura più opportuna appare allora proprio Benedetto Caetani: quello che si era opposto alle interferenze di Carlo II a Perugia e che aveva gestito la rinuncia di Celestino.

Il 24 dicembre 1294 il conclave elegge dunque Caetani, che prende il nome di Bonifacio VIII.
Il 17 gennaio il nuovo pontefice entra trionfalmente a Roma e viene incoronato nella cattedrale di San Giovanni in Laterano. L’8 aprile Bonifacio annulla con un solo atto – Olim Celestinus – tutti i provvedimenti del suo predecessore.

Da parte sua, Celestino, appena appresa l’elezione del nuovo papa va a rendergli omaggio, poi chiede di essere confessato da lui, infine di poter tornare al suo eremo. Bonifacio però rifiuta e gli ordina di seguirlo in Campania. “Se non è mai facile succedere a dei santi, lo è tanto meno quando questi sono ancora vivi e restano punti di riferimento per chi li ha sempre seguiti”.
Bonifacio non può lasciarsi sfuggire un uomo che potrebbe coagulare intorno a sé i suoi avversari e tornare a riprendersi il papato. I precedenti nella storia delle Chiesa, d’altra parte non mancano.

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L’eremo in località Badia (Sulmona), sulle pendici del Monte Morrone

Celestino, che pensava di essersi liberato e capisce che finirà prigioniero, si dà alla fuga e torna al suo eremo. Agli inviati del nuovo papa che lo trovano, chiede di essere lasciato in pace e finire i giorni nella solitudine, promettendo che non rivolgerà la parola ad altri che ai suoi due fidatissimi compagni che lo hanno seguito. Bonifacio, lo sa benissimo, non accetterà mai di avere il suo predecessore-rivale libero. Quindi, prima che i messi papali possano tornare per catturarlo, fugge nuovamente e resta nascosto in una grotta per un paio di mesi. Quando le acque si sono calmate, si mette in cammino verso il Gargano. Arrivato in Puglia, si prepara ad attraversare il mare travestito da pellegrino per raggiungere la Grecia, dove spera di essere finalmente al sicuro.
Il destino, però, non lo aiuta. Dio lo vuole a Roma e il suo piccolo vascello, al primo vento contrario, viene risospinto a riva.
Ad attenderlo trova le guardie mandate dal capitano della città, che ha già avvertito il papa. Un vero e proprio calvario fatto di insulti e umiliazioni aspetta l’ex papa.
Angelo Clareno scrive che, trasferito a Monte Sant’Angelo, i frati minori chiedono di avere udienza presso di lui, ma non appena sono introdotti alla sua presenza cominciano a inveire contro il vecchio monaco “con ogni sorta di affronti e villanie”.

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La tomba di Celestino V nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio (L’Aquila) prima del terremoto del 2009

Bonifacio lo fa trasferire di notte e di nascosto ad Anagni – sua città natale – in una casetta vicino al palazzo di famiglia del pontefice. Celestino chiede ancora una volta di poter tornare alla sua cella e Bonifacio si consiglia con i cardinali: “Se papa Celestino tornerà a casa, tu non sarai mai davvero papa” gli rispondono. Nell’estate del 1295 Pier Celestino viene così trasferito nella rocca di Castel Fumone, nel cuore della Ciociaria.
La cella è così stretta che il santo, nel celebrare la messa al mattino, mette i piedi dove li aveva tenuti la notte per dormire. Ma non si lamenta. In fondo ci è abituato.

L’ex papa passa tutto l’autunno e l’inverno senza un letto decente, un materasso, un cuscino, un sacco di piume con cui coprirsi, ma solo una tavola di legno con un tappeto e una coperta sottile.

Nel frattempo le dimissioni del papa angelico e l’elezione di quello che sarà definito addirittura “L’anticristo” stanno generando una sommossa popolare, aizzata dai nemici di Bonifacio e dai francescani spirituali, che accusano di simonia il nuovo papa e dichiarano la sua elezione illegittima aprendo le porte ad un nuovo scisma.

“Egli ammalato giaceva così su una tavola: quello invece, al quale aveva lasciato il papato, come un dio dormiva su letti d’oro e di porpora, e costui giaceva malato sulla durezza del legno nudo!” commenta Tommaso da Sulmona.

Pietro Celestino muore la sera di sabato 19 maggio 1296 mentre dice la compieta, e in particolare subito dopo aver pronunciato – con un tenue filo di voce – la frase “Ogni spirito lodi il signore”.

Secondo alcune fonti, al momento della sua morte compare una croce luminosa e i primi ad accorgersene sono i soldati che fanno la guardia. “Un globo di fuoco, rotondo come una palla, che a poco a poco cominciò ad allontanarsi e a diminuire l’intensità della sua luce sino a ridursi a una piccola croce del colore dell’oro e così rimase per lungo tempo, finché svanì ai loro occhi” racconta Tommaso.

Il 21 maggio viene celebrato il funerale nella chiesa di Sant’Antonio, poco lontano dal paese di Ferentino, a una decina di chilometri dal castello di Fumone. Da parte sua, Bonifacio VIII provvede a celebrare a San Pietro solenni esequie insieme ad altri cardinali. “Quasi un Te Deum di ringraziamento, viene da pensare, per una dipartita tanto attesa quanto prolungatasi nel tempo”.

Subito si comincia a parlare di guarigioni miracolose avvenute presso la sua tomba. Ma perché si apra il processo di canonizzazione, bisognerà aspettare la morte di Bonifacio VIII.

Benedetto e CelestinoNel 1307 Filippo il bello cercherà di far riconoscere il martirio di Celestino, sostenendo la versione dell’omicidio in carcere con un chiodo conficcato nella fronte. Una versione sostenuta dai tanti nemici di Bonifacio e che troverà riscontri scientifici quando il corpo verrà riesumato: sul cranio è presente infatti un foro corrispondente a quello producibile da un chiodo di dieci centimetri. Solo nel 2013 un’ulteriore analisi stabilirà che quel foro è stato inferto al cranio molti anni dopo la sua morte. È stato, quindi, la conseguenza della diceria sull’omicidio, e non la causa.

Il 5 maggio 1313 da Avignone, Clemente V – che sta cercando di ricucire i rapporti tra Vaticano e Regno di Francia, mantenendo un equilibrio tra le due fazioni – proclama finalmente santo Pietro dal Morrone. Non è il papa, però, ad essere canonizzato, ma l’eremita.

Celestino tornerà nella sua basilica solo nel 1327. Nel 2009 papa Benedetto XVI, facendo visita a L’Aquila pochi giorni dopo il terremoto, donerà il suo pallio al predecessore. E, quattro anni dopo, ne seguirà l’esempio con le clamorose dimissioni.

Arnaldo Casali