Era il 1966 e Angelo Guglielmi, allora dirigente della Rai, doveva produrre una celebrazione dedicata a Francesco; uno spettacolo di prosa, da mettere in scena dentro uno studio di via Teulada, e me ne parlò. Io gli dissi subito: non mi interessa né lavorare in studio, né la figura di San Francesco.
Venivo da una famiglia che dire laica è poco e Francesco d’Assisi mi interessava soltanto come poeta. Poi però, per curiosità avevo voluto leggere una biografia di Francesco e mi capitò in mano quella scritta da Paul Sabatier, che per me è tra le migliori. È un testo che, alla fine del XIX secolo inaugurò gli studi francescani moderni e che la Chiesa aveva messo all’indice. A me invece piacque moltissimo: non è un testo agiografico ma un vero romanzo di formazione. Mi fece capire (e vedere) l’avventura di un giovane che non sa decidersi cosa far di sé, perché l’idea di fare il commerciante come suo padre lo avvilisce. Tenta l’avventura delle armi (si è addestrato, è bravo e ha i muscoli pronti) ma non solo si scoccia, come si direbbe oggi, ma scopre di avere una forte avversione per la violenza… vidi in quel Francesco confuso sui valori un giovane di oggi, con sentimenti autentici e oltretutto applicabili ad un ragazzo come ad una ragazza, e per quello mi piacque.
Rimasi stupefatta dall’attualità e dalla modernità di questa figura, e questo per diversi motivi: primo, perché Francesco non è un francescano; secondo, perché la sua era una rivoluzione generazionale, e per questo sempre attuale. Mi sono trovata a condividere tante cose. Così ho detto a Guglielmi: facciamone un film a basso costo, e lui che amava le sfide, chiamò Leo Pescarolo, che era un produttore che non aveva ancora fatto un film ma sognava di farlo, e gli affidò il progetto.
Il budget che ci misero a disposizione era di soli trenta milioni di lire, ovvero il costo che era preventivato per la trasmissione televisiva. Fu il mio primo film, ma fu anche il primo film in assoluto della televisione italiana. E con trenta milioni lo abbiamo fatto. Ebbe la fortuna di essere invitato a Venezia, dove allora non c’era ancora una sezione giovani; i giovani, a Venezia, non se li filava nessuno. Fui invitata a mostrare il film da un gruppetto di critici che lo avevano amato vedendolo in Tv. Ricordo tra questi estimatori Giovanbattista Cavallaro dell’Avvenire, che fu promotore dell’invito a Venezia, dove il film ebbe molto successo.
In quell’anno – il 1966 – a Venezia c’era in concorso La prise de pouvoir par Louis XIV di Roberto Rossellini che ebbe molto successo e vinse il Leone d’oro. Questo film bellissimo e il mio vennero considerati i due veri eventi del Festival, proprio a causa del loro stile considerato nuovo e dirompente. Mi fecero varie interviste insieme a Roberto Rossellini: il grande maestro del cinema italiano e la giovane debuttante. Per me fu il vero premio. Era simpaticissimo e ricordo che mentre aspettavamo che posizionassero le luci mi raccontava aneddoti spiritosi sulla lavorazione dei suoi film e su Francesco giullare di Dio”.
Ci fu una proiezione per Ettore Bernabei che era il direttore generale della Rai e per altri funzionari. Il film piacque ma l’impatto fu forte. Per fortuna era stato invitato il responsabile del Centro Cattolico Cinematografico, un monsignore molto sensibile e intelligente che incoraggiò Bernabei a trasmetterlo dicendo che se ne assumeva tutta la responsabilità. Il monsignore – Francesco Angelicchio – pochi mesi prima aveva sostenuto e difeso Il vangelo secondo Matteo di Pasolini. E così Francesco di Assisi fu trasmesso e piacque moltissimo. Però ci fu un’interpellanza in Parlamento di un deputato del Movimento Sociale che criticò la Rai per avere disonorato il santo protettore d’Italia. Monsignor Angelicchio purtroppo fu in seguito spostato dal Centro Cattolico Cinematografico e mandato a dirigere una grande parrocchia di periferia. Sono rimasta sempre in contatto con lui: ero curiosa di sapere come un intellettuale come lui avrebbe potuto condurre una grande e difficile parrocchia suburbana. Se la cavò benissimo: la parrocchia diventò un centro attivo di accoglienza per i giovani perché don Francesco fondò una grande scuola professionale di tecnologia. I giovani così preparati trovavano lavoro. Era un grande sacerdote. E (chi l’avrebbe detto?) al suo funerale scoprii che era stato il primo sacerdote consacrato dell’Opus Dei.
In seguito, a causa di questo film che diventò il film del dissenso cattolico, fui bollata come cattolica cripto-comunista. Allora si davano sempre etichette a destra come a sinistra. Era impossibile capire o credere che una persona fosse semplicemente libera di testa.
Francesco, Chiara e il ’68 Non voleva essere una scelta provocatoria: scelsi Lou Castel perché dopo aver visto tanti altri giovani attori mi sembrò il più giusto. In seguito ho scoperto che era un giovane che aveva fatto una scelta radicale per un ideale. Anche se il suo era il marxismo, era stato capace di spogliarsi di tutto. Poi hanno detto che il mio film ha anticipato il ’68 e del resto in effetti io immagino il movimento francescano un po’ come quello sessantottino, non a caso il mio film è stato percepito come qualcosa di nuovo. Si afferrava che c’era qualcosa di nuovo nell’aria, perché c’era in Francesco.
Ce lo immaginiamo sempre con delle tuniche come quelle che indossano oggi i frati, invece quando lui si denuda di fronte al padre, il vescovo gli dà un indumento da contadino, un camicione che ancora usavano in campagna all’inizio del secolo scorso. Ad ogni modo la grande modernità di Francesco e Chiara si fatica a raccontarla bene perché le fonti sono insufficienti e se si azzarda qualcosa si può pensare che me la sono inventata. È evidente, per esempio, che Chiara era una femminista ante litteram. Fugge di casa, decide da sola della propria vita, una cosa che a quei tempi non era neanche pensabile. Comunque su Chiara le fonti sono soltanto agiografiche. D’altra parte le testimonianze sono passate attraverso il filtro di Elia da Cortona, il capo generale dell’ordine francescano al momento della morte di Francesco, quello che aveva fatto costruire la grande basilica di Assisi.
Se la popolarità di Francesco venne, come indica la parola dalla gente comune, tanta, che capiva o comunque ne intuiva la purezza, chi poi organizzò alla grande tutto il “movimento” francescano fu l’intellettuale e intelligentissimo Elia. Fu lui a inviare una direttiva ai frati affinché quelli che avevano conosciuto personalmente Francesco inviassero una loro testimonianza alla sede centrale.
Le testimonianze così raccolte diventarono le “Fonti” francescane. Certo, non senza scartarne qualcuna e non senza divergenze perché i primi seguaci (come frate Leone) avevano idee differenti sull’eredità di Francesco e furono isolati e pare anche picchiati. E così dal vivido calore del movimento francescano che aveva dei connotati del miglior Sessantotto, si passò al culto organizzato con quel che ne conseguì, anche se a mio parere il francescanesimo ha conservato una vitalità capace di rinnovarsi.
Il film ebbe, come si dice, una storia di successo. Fu richiesto in tanti posti. Per esempio subito dopo Venezia fui invitata a presentare il mio film a Praga dal gruppo di intellettuali di “Carta 90”. Era il periodo della famosa Primavera di Praga: si erano liberati dell’occupazione dei russi e vivevano nell’ebbrezza della libertà, che però durò poco. Nel ’68 a Praga arrivarono i carri armati sovietici. La festa era finita. Non ho mai saputo cosa accadde a tanti intellettuali che avevo conosciuto, eccetto Milos Forman, che andò in America e lo rividi a New York 10 anni dopo.
Il secondo “Francesco” Con il primo film mi resi conto in realtà di avere soltanto avviato una riflessione su Francesco. Avevo lacune, acerbità e resistenze. Per esempio, in quella prima versione non ero riuscita a raccontare l’episodio delle stimmate. La seconda volta mi sono detta: ci provo e se funziona tengo la scena, altrimenti la tolgo. Abbiamo realizzato un unico piano sequenza, con due macchine. Non potevo fare altro. Non potevo controllare i gesti delle mani e l’espressione del viso. Ho potuto soltanto parlarne con Mickey, esprimergli il significato per Francesco di quell’evento. Un significato grande; una risposta più grande di quella che si aspettava. Mickey ha capito. Ci siamo commossi mentre giravamo quella scena, e ci siamo commossi poi rivedendola in proiezione. Così ho deciso di lasciarla.
Prima di iniziare le riprese di un film cerco di passare qualche giorno con i protagonisti. Si fa una lettura della sceneggiatura e si parla. Mickey è venuto apposta a Roma una settimana prima: ci siamo visti tutti i giorni per parlare di Francesco. Mickey aveva studiato a New York all’Actor’s Studio, anzi ne era stato un attore modello e dopo il suo corso è stato lì anche come insegnante. In quei pomeriggi parlavamo anche di noi, della nostra vita e anche di cose molto personali. Mickey è un formidabile ascoltatore, cosa rara. Lui fece tesoro di certe mie vicende: dopo aver girato la sequenza in cui Francesco ha il dolore di non sentirsi connesso al suo Cristo e si dispera e piange, gli ho chiesto: “Cosa pensavi in quel momento?”. Mi ha risposto: “A quando tu bambina aspettavi tuo padre che non arrivava”. È un metodo che ha avuto molta efficacia.
Ho sempre pensato che un attore recita, ma mai fino in fondo, e se non ha qualcosa che lo connette al personaggio, non può rendere più di tanto, perché il cinema non è il teatro: l’obiettivo della camera svela l’animo umano. L’obiettivo è davvero obiettivo, scava nell’animo. Ho sempre pensato quindi che nel mio protagonista fosse necessaria la partecipazione vera, autentica. Avevo visto Mickey nel film L’anno del dragone, parlai di lui con Charlotte Rampling che aveva fatto con lui un thriller, Angel Heart e le dissi della mia idea; lei mi rispose che Mickey era un uomo straordinario e fraterno. E così volli incontrarlo mentre stava girando un film.
Andai a trovarlo nel New Jersey, dove stava lavorando. Ho potuto vederlo solo la sera tardi, in hotel. Si è fatto portare due pizze in camera, che abbiamo mangiato seduti sulla moquette. Non c’erano poltrone e sedie. Parlava poco e ogni tanto ravanava in cerca di non so che dentro una vecchia sacca che aveva accanto. Mi domandò ad un certo punto come doveva essere in Francesco. Gli risposi che andava bene com’era, com’era lì con me, con la stessa semplicità e timidezza. Qualunque fesseria si dica di Mickey, di fatto è timido e gentile. Allora manteneva una squadra di amici al seguito (come, d’altra parte, faceva anche Lou Castel) e un fratello malato con accompagnatore. Manteneva tutti. Per questo Mickey e Lou non sono diventati ricchi: amavano condividere. Non erano d’istinto francescani? Quello che è certo, è che la recitazione di Mickey e Lou nel ruolo di Francesco non era mai meccanica. Se fosse possibile crederlo direi che si sono messi in contatto con Francesco, perché il regista non può fare più di tanto.
All’inizio della conversione di Francesco ho inserito un vangelo in volgare, cioè non in latino, come era stato scritto fino ad allora. Era nella lingua parlata che inizia ad essere scritta. Il vangelo in volgare, in quel periodo, è diffuso, però in segreto. Allora c’erano varie eresie che trovavano ispirazione proprio dalla lettura del vangelo non mediata dall’interpretazione del clero. Francesco si ispira alla lettura diretta delle parole del Cristo e le vuole prendere alla lettera (“sine glossa”), cioè non secondo le interpretazioni ecclesiastiche. Per quello Francesco ha rischiato di apparire eretico: perché si muoveva sul sentiero, sia pure stretto, dell’ortodossia.
Nei primi due film non ho inserito l’episodio della crociata che pure è molto importante. È un episodio molto discusso perché le fonti sono molto scarse e quelle che ci sono, sono troppo agiografiche. L’unico elemento su cui ho potuto appoggiare con esattezza una parte di racconto, è la testimonianza sul fatto che lui era comunque contrario alla guerra e predicava la pace. Al punto che il saluto tipico che insegnò di ritorno dalla crociata era dall’arabo: “la pace sia con voi”. Le crociate erano volute accanitamente dai papi con l’adesione di nobili cadetti, ma anche di avventurieri di ogni specie che col pretesto di liberare il Santo Sepolcro andavano di fatto alla conquista di territori per arricchirsi. I puri erano credo assai pochi o degli esaltati: erano vere guerre di conquista e Francesco lo comprese presto. Tentò di sicuro di arginare violenza e carneficine ma capì che le sue forze erano inadeguate. Oltretutto lo spirito di fede di Francesco non prevedeva la propaganda ma il solo esempio, la sola testimonianza.
Chiara Anche in questo caso le fonti sono molto carenti. Ho agito per intuizione, quindi non per documenti storici. Per Francesco quella che oggi chiamiamo la parità della donna è fuori discussione. Dio creatore non commette ingiustizie, la fratellanza è totale. È implicito nella bellissima poesia di Francesco, il Cantico delle creature: non ci sono generi o razze inferiori. Inoltre Chiara è stata la sua consigliera. Nel tentare la realizzazione dello status di fratello minore di Gesù Francesco chiedeva consiglio a Chiara, che io ho sempre immaginato per quanto possibile come una donna più giovane di lui con una grande mente libera e con un grande coraggio. Chiara sarebbe stata la prima a non capire una diminutio a causa del suo sesso. Penso che Francesco e Chiara abbiano riflettuto tantissimo sulle parole del vangelo anche insieme: infatti Francesco quando aveva dei dubbi o si sentiva confuso si rivolgeva a Chiara. Penso che loro due insieme nell’interpretare le parole di quel testo siano riusciti a superare svariati secoli di fraintendimenti. A questo si deve l’attualità sconcertante di Francesco e Chiara. I film raccontano tutto questo.
Ho anche pensato che di sicuro all’inizio Chiara e le sue compagne volevano mantenersi facendo lavori umili, quindi lavorando fuori dal convento. Ma specie a quei tempi avrebbero corso il pericolo di aggressioni. Il mondo allora era anche più pericoloso di oggi per ragazze e donne in giro senza un uomo accanto.
E se davvero Chiara e le sue compagne fossero state aggredite? Se fossero accaduti stupri o cose del genere? Se è possibile oggi lo era anche ieri, di più forse. Del resto Francesco va dal Papa per avere una protezione. Spesso infatti i fratelli che andavano in giro a predicare erano aggrediti e presi a sassate persino dai fedeli e dai preti. Se il mondo era pericoloso per i fratelli, lo era ancora di più per le sorelle. E forse episodi spiacevoli sono accaduti. Forse – è una mia ipotesi – hanno deciso insieme che le donne non dovevano lasciare il convento. E deve essere stata per Chiara una decisione dolorosa, per lei che era stata abituata ad assistere i poveri direttamente fin da ragazzina. Credo che Chiara si sia adeguata con fatica alla decisione della clausura, lo avverti dalla tenacia con la quale pretese una nuova regola scritta da lei stessa per lei e le sue compagne. La prima regola monastica scritta da una donna. Secondo me hanno escogitato insieme questa regola, che fa sì che lei sta dentro il convento, ma vive in povertà come i poveri che stanno fuori. Come nei vasi comunicanti: chiudiamo la porta ma io vivo con le stesse difficoltà che hanno le persone più povere, cioè esattamente come i frati che stanno fuori.
Chiara è stata testardamente fedele a questa regola giudicata dal clero troppo severa. E quando il papa (Francesco era già morto) le chiese di renderla meno aspra lei rifiutò di farlo. Non era da tutti contraddire il Papa.
Una povertà assoluta che nelle clarisse si è conservata fino ad oggi: un mio amico di Bergamo si ricorda che durante la guerra in momenti difficilissimi suo padre portava del cibo alle clarisse affamate e prive di tutto perché non tenevano nulla per loro. Lo stesso so che faceva un tale che portava cibo alle clarisse di Carpi e doveva pregarle di non regalare tutto ai poveri che bussavano. È rimasta nelle clarisse la fermezza al concetto dei vasi comunicanti con l’esterno. Se c’è gioia la si condivide se c’è fame idem.
Le fonti francescane Come accennavo Elia da Cortona mette le basi al culto di Francesco: chiede ai frati che lo hanno frequentato e ora sparsi nel mondo di inviare una testimonianza scritta. Le testimonianze sarebbero state indispensabili ai biografi che furono subito messi al lavoro (Tommaso da Celano, Bonaventura da Bagnoregio ecc…). Quando feci il primo Francesco queste testimonianze e le biografie erano ancora sparse, invece quando feci il secondo erano raccolte in un unico volume (bellissimo) a formare le “Fonti francescane”. Tra queste fonti quella che mi piacque sempre fu La leggenda dei tre compagni, perché mi sembra il testo più ispirato e la testimonianza più veritiera sulla sostanza del movimento francescano. Nel film (il secondo) tutto il racconto è infatti affidato al ricordo di questi compagni della prima ora. Al gruppo ho aggiunto Chiara perché se ci fu persona che capì a fondo la vocazione di Francesco fu proprio lei, e anche lei del resto fu tra i primi a seguire Francesco.
Io & Francesco Devo tanto alla televisione e al cinema. Sono stati i miei master conquistati sul campo. Sono laureata a Bologna in lettere antiche (volevo fare l’archeologa) ed ero tanto ignorante in storia contemporanea. Tra documentari e film ho dovuto e voluto approfondire il ventesimo secolo, storia e religione. La mia formazione è stata laica al cento per cento e la religione è stata per me una scoperta fatta a poco a poco e poi con Francesco e affrontata con freschezza, penso, come si fa un viaggio in un paese quasi del tutto ignoto. Un paese pieno di bellezza ma anche di trabocchetti. D’altra parte la Chiesa è “persone” e non tutte sono splendide. Francesco lo era. Francesco non era un teologo ma insieme a Chiara è arrivato alla radice fondante della religio, del legame uomo-Dio. E un’altra cosa: Francesco è di certo il primo femminista della storia dopo Gesù Cristo. Viceversa, questa sapienza è tuttora carente nella cultura del clero in generale e questo fatto penso che provocherà per la prima volta nella storia l’indifferenza di tante donne verso la cultura cattolica.
Liliana Cavani
(estratto dal libro “Tra cielo e terra. Cinema, artisti e religione” a cura di Arnaldo Casali)