Il mio signore Boldrino da Panicale

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Il mio signore Boldrino, superbo e invitto condottiero, benevolo con gli amici e terribile con gli avversari, nacque a Panicale un giorno imprecisato del 1331 da Francesco Paneri e da Lucrezia Ceppotti e morì, tradito, a Macerata il 3 giugno del 1391 per mano dei sicari, su ordine del marchese Andrea Tomacelli, fratello di papa Bonifacio IX, che lo aveva invitato ad un pranzo con il pretesto di insignirlo del titolo nobiliare.

Un ritratto di Boldrino da Panicale conservato nella Biblioteca comunale di Panicale (Umbria)

Tale era la fama e la paura che incuteva Boldrino che i suoi soldati, fedelissimi, non volendo altro che li comandasse, prima assediarono Macerata, la presero, facendo strage e facendosi pagare dodicimila fiorini d’oro come riscatto, si ripresero il corpo e per tre anni trasportarono sui campi di battaglia la salma del capitano, chiusa in un’arca su cui vigilava sempre una guardia scelta e sempre uscirono vincitori dagli scontri.

Il mio padrone fu costretto a lasciare la sua casa natia in piazza San Michele Arcangelo, a Panicale, giovinetto, a seguito della morte del padre, ucciso dai sicari, pugnalato sul greto del fosso Gioveto.

Fornito di una tempra robusta e forme atletiche, nonostante la smisurata altezza di sei piedi e mezzo, che faceva sì sovrastasse gli amici e terrorizzasse i nemici. Il suo giovane volto era sempre corrucciato, con lo sguardo severo di chi ha sofferto e una luce profonda ne annunciava la prontezza d’animo, lo smisurato coraggio e brama di gloria.

Il mio signore si chiamava Giacomo Paneri. Qualcuno dice che discendesse da una famiglia di panettieri, tanto che nel blasone dei Paneri alla Rocca di Boldrino, tra oltre alla lettera “B”, compaiono anche il ferro di cavallo, il cimiero e una tavola con tre pani.

I Paneri, però, avevano sempre guerreggiato, al servizio dei Tarlati di Arezzo e dei Casali di Cortona, ed erano imparentati con gli Ubaldini, per questo il mio padrone fu soprannominato Boldrino.

Giovane e orfano, Boldrino prese la via di Perugia nel 1348, per dedicarsi al mestiere delle armi, dove grazie alla forza e all’astuzia eccelse sin da subito. Ivi rimase fino al 1351, quando conosciuti i nomi dei sicari del padre, tornò a Panicale deciso a vendicarsi. Li scovò e li uccise.

John Hawkwood, detto Giovanni Acuto, raffigurato in un affresco di Paolo Uccello (duomo di Firenze)

Sulla sua testa fu messa una taglia e così fuggì, andando a perfezionare il suo apprendistato all’alta scuola di messer Giovanni Acuto. Sotto la guida del capitano inglese molto si arricchì e altrettanto imparò delle tecniche di guerra, portando strage e lutti nel territorio di Firenze.

Poi, lasciato l’Acuto, fondò una sua compagnia e mise a sacco il Trasimeno, sotto gli ordini di papa Urbano VI. Imperversò nel contado di Siena, Firenze e Perugia, poi sconfinò nelle Marche guadagnandosi la nomea di “flagellatore della Marca” e “sgomento delle Milizie italiane e straniere”.

Per molti il mio signore era solo scaltro, opportunista senza scrupoli, naturalmente aggressivo, assai pessimo uomo, ma egli fu, non solo, uno dei più acclamati guerrieri in vita e in morte del suo secolo, ma anche molto devoto a Perugia, onesto e osservatore delle leggi.

Più volte soccorse la città che lo aveva protetto e ospitato da giovane orfano. Una prima volta quando la città era tiranneggiata dall’abate di Monmaggiore, difeso dall’antico maestro Giovanni Acuto.
Quella volta fu scaltro il mio signore. Nel gennaio del 1376 attese che l’Acuto andasse a colpire Città di Castello, poi si introdusse in città con i fuoriusciti, disarmò l’esigua truppa dell’abate e guidò la rivolta del popolo perugino.
Che smacco per l’Acuto, tornato più velocemente possibile a Perugia: non gli rimase altro da fare che raccogliere il Monmaggiore fuggito nelle campagne e subire gli sberleffi dei perugini dall’alto delle mura.

Dieci anni dopo la città corse un nuovo pericolo e Boldrino, come un figlio diligente, si pose a difesa della madre contro le scorrerie delle truppe bretoni e guascone del feroce Beltotto.
Il conte Giovanni Scotti lo raggiunse a Recanati e lo pregò di tornare in città con i suoi armati. Perugia era indifesa e a corto di cibo e acqua.
Il mio signore radunò l’esercito, marciò a tappe forzate e al quarto giorno era schierato sulla collina di Corciano, dove sorprese il nemico, facendone prima strage con gli arcieri e poi caricando con i suoi cavalieri pesanti.
La mischia fu dura e feroce, ma dopo un’ora di battaglia la città era libera e i nemici lasciarono sul campo enorme bottino. I fuggiaschi furono raggiunti e sterminati a Cortona.

Nella compagnia del mio signore, i cavalieri combattevano come insegnato da Alberico da Barbiano, mentre gli arcieri si muovevano veloci e precisi come voleva la tattica inglese dell’Acuto.

Sul campo issava tre vessilli: uno a strisce biancorosse con un ferro di cavallo; l’altro a scacchi biancoazzurri, con il castello di Panicale; il terzo rosso con Grifo rampante in oro.

Boldino riceve le chiavi di Perugia liberata ( Marino Piervittori, 1869, Sipario del teatro di Panicale)

Il 24 giugno 1386, il mio padrone entrò a Perugia da Porta Santa Susanna e i priori lo nominarono Gran Cavaliere e Capitano Generale, decretando che potesse unire al suo blasone il Grifo, simbolo della città.
Più tardi i priori gli conferirono una pensione annua di 500 fiorini e la cittadinanza.

Delle preziose armi del mio signore si servì, nel 1378, papa Urbano VI contro Clemente VII, ma anche l’arcivescovo di Milano contro la Repubblica di Venezia, in favore dei fiorentini contro Giovanni re di Boemia.
Papa Bonifacio IX gli affidò la riconquista dei castelli della Marca e l’arresto del capitano Bartolomeo Smeducci che molestava le terre del Pontefice.
Bonifacio IX, però, perse la fiducia nel capitano Boldrino quando questi si proclamò signore dei castelli occupati.
Il Papa nulla disse, ma confidò nell’opera del fratello, Andrea Tomacelli. Il quale invitò il mio signore ad un banchetto e a tradimento lo uccise, mentre si stava lavando le mani.

Così si concluse la vita del mio signore, Giacomo Paneri detto Boldrino da Panicale, uomo bellicoso, amatissimo e quasi idolatrato da suoi soldati. Grandissimo capitano e il più temuto soldato di quei tempi.

Umberto Maiorca

Da leggere:
G. Orsini, Racconto di Boldrino Paneri da Panicale, illustre guerriero, Roma 1700.
A. Fabretti, Biografie dei capitani venturieri dell’Umbria, I, Montepulciano 1842.
E. Ricotti, Storia delle compagnie di ventura, Pomba, 1844.
G. Franceschini, Boldrino da Panicale (1331?-1391), contributo alla storia delle milizie mercenarie italiane, in Bollettino della Deputazione di Storia patria per l’Umbria, XLVI (1949).
G. Cecchini, Boldrino da Panicale, in Bollettino della Deputazione di Storia patria per l’Umbria, LIX (1962).
P. Pellini, Dell’historia di Perugia, Venezia 1664.
S. Merli, Boldrino da Panicale, in Machiavelli e il mestiere delle armi. Guerra, armi e potere nell’Umbria del Rinascimento, Catalogo della mostra a cura di A. Campi, E. Irace, F. F. Mancini, M. Tarantino, Perugia, Aguaplano, 2014.