Nei cantieri medievali gli infortuni sul lavoro erano frequenti. Molte pitture e miniature, insieme a tanti ex voto, rammentano miracolosi salvataggi: operai che precipitano da una impalcatura vengono afferrati, all’ultimo momento, dalla mano provvidenziale di un santo. Sono angeli custodi che spuntano al momento opportuno e allontanano dalla morte sicura. Protettori diversi, da luogo a luogo, che spesso davano il nome alla chiesa stessa che si stava edificando per celebrare la loro santità.
Per lo storico Jacques Le Goff “il miracolo nel Medioevo occupa il posto della mutua”. La previdenza era assicurata dalla Provvidenza.
Alcune vetrate di grandi cattedrali medievali descrivono con efficacia il frenetico via vai dei cantieri edili: muratori, scultori, carpentieri, vetrai e semplici manovali si accalcano intorno all’opera. C’è chi porge le ceste con i mattoni, chi trasporta la malta, chi mura armato di cazzuola e chi osserva, pronto a criticare. Qualcuno scala le impalcature, qualcun altro si inerpica su scale ripide e all’apparenza molto poco sicure.
Le immagini raccontano un caos di attività diverse. Ma in realtà l’organizzazione c’era. E seguiva regole chiare: nel lavoro, come nella società, c’erano precise gerarchie da rispettare. Nei cantieri, prima venivano i maestri, poi i garzoni e quindi i manovali, a cui spesso toccavano compiti ingrati e ricchi di pericoli. Com’è ovvio, alle diverse abilità corrispondevano anche salari differenti.
Le paghe erano quello che erano. Si lavorava soprattutto nella bella stagione: d’inverno non era possibile murare e quindi i cantieri rimanevano chiusi.
Le corporazioni di arti e mestieri assistevano i propri associati e garantivano loro l’assistenza e le cure necessarie, secondo gli spartani standard dell’epoca.
I libri mastri raccontano una giornata tipo: i lavoratori si portavano il pranzo da casa. E i pasti scandivano anche le pause. I manovali che lavoravano per edificare le cattedrali facevano uno spuntino prima di entrare in cantiere. Poi, in tarda mattinata, mangiavano pane e formaggio insieme a un po’ di frutta e bevevano vino allungato con l’acqua. Il pasto serale arrivava al termine dei turni di lavoro.
Si festeggiava con feste e bevute collettive il completamento di ogni parte dell’edificio.
Un bel libro di Maria Paola Zanoboni, “Salariati nel Medioevo (Secoli XIII-XV)”, uscito nel 2009 presso la Casa editrice Nuovecarte di Ferrara nell’ambito della Collana L’Altra Storia/Medioevo, affronta il tema degli infortuni sul lavoro. E ci dà minuziose notizie su come le vittime degli incidenti venissero indennizzate.
Documenti d’archivio senesi testimoniano che nella città del Palio, nell’anno 1340, un maestro che lavorava all’acquedotto ricevette un risarcimento di una lira dopo essere stato ferito da un oggetto pesante. Lo stesso accadde a un operaio, precipitato da una impalcatura, e a cui fu riconosciuta una paga corrispondente a 3 giorni di lavoro.
Di fronte al dramma degli infortuni in edilizia, la corporazione dei maestri muratori fiorentini tentò a più riprese di far costruire un ospedale per meglio soccorrere le vittime. Nel cantiere della cattedrale di Firenze nel 1362 e nel 1365 vennero corrisposti alcuni indennizzi ad operai che si erano infortunati. I cantieri privati erano molto meno misericordiosi: un documento ci ricorda che durante la costruzione di palazzo Strozzi ad un fabbro che era stato malato per pochi giorni venne decurtato lo stipendio.
Allora come oggi, era meglio non ammalarsi. I libri della contabilità del cantiere trecentesco del Duomo di Milano, testimoniano di numerosi anche se parziali risarcimenti versati alle vittime degli infortuni. Pochi soldi, se è vero che nel 1393 i lavoratori protestarono contro il ripetersi degli incidenti.
Nella cava di Candoglia in Val d’Ossola, dove si estraeva il marmo che serviva a costruire il duomo milanese, i cavapietre lavoravano sospesi a una rupe, attaccati alle corde di canapa. I rischi di crollo provocavano fughe continue tra gli operai, costretti anche a lunghi viaggi quotidiani per raggiungere lo scomodo cantiere. Così fu decisa la costruzione di capanne vicino ai luoghi di taglio dove gli operai potevano riposare tra un turno e l’altro di lavoro.
Tra i tanti documenti inediti raccolti Maria Paola Zanoboni, spicca la storia di un manovale che nel 1496 morì precipitando da una gru nel cantiere fiorentino di Santo Spirito. Il capo-scalpellino raccolse i poveri oggetti che l’uomo portava con sé per poterli restituire alla vedova. Tra un mazzuolo, la sporta per il pranzo e una bottiglia di vino, c’era anche un borsellino con dentro una somma di denaro considerevole per i guadagni di un operaio: i risparmi di una vita di lavoro che l’uomo portava con sé.
Virginia Valente