Le profonde riforme di Diocleziano e di Costantino il Grande cambieranno la storia del mondo allora conosciuto. E permetteranno a un impero romano ormai in agonia di sopravvivere, in Oriente, per altri undici secoli. L’epocale trasformazione comincia all’inizio del IV secolo dopo Cristo. La figura del sovrano viene sacralizzata. Diocleziano introduce la tetrarchia. Lo stato cambia volto. Fisco, giustizia e pubblica amministrazione diventano appannaggio di una nuova classe dirigente: i ministri di palazzo, riassunti, al loro vertice dall’emblematica figura del prefetto del pretorio che di fatto assurge al ruolo di vice imperatore. I barbari premono ai confini dell’impero. Diocleziano riprende le feroci persecuzioni contro i cristiani.
CRONOLOGIA:
270 – L’imperatore Aureliano (214-275) fa cingere Roma da una corona di imponenti mura. Per circoscrivere l’espansione urbanistica della città. Ma la grande barriera è voluta soprattutto per difendere l’Urbe dall’invasione dei barbari che premono lungo i confini dell’impero. La fortificazione si sviluppa per circa 19 km. Le mura hanno uno spessore di 3 metri e mezzo e raggiungono una altezza di 6 metri e mezzo. E ogni 30 metri sono protette da massicce torri quadrate.
279 – Prima grande ondata di invasioni germaniche nell’impero romano.
284 – Diocleziano (247-313), un ufficiale dalmata, figlio di un liberto di umili origini, diventa imperatore in un momento storico di grave crisi economica con i popoli nomadi in armi che premono alle porte del grande impero. Decide subito di non voler vivere a Roma: la nuova capitale diventa Nicomedia (l’attuale città turca di Izmit, quasi novanta chilometri a sud est di Istanbul). Roma, di colpo, scopre di non essere eterna: dalla prospera Nicomedia che abbellisce di templi e grandiosi edifici, Diocleziano può controllare meglio i confini sempre a rischio della Siria.
285 – Diocleziano sceglie Massimiano (245-310) come suo vice e lo manda in Gallia con il titolo di cesare per reprimere la prima grande rivolta dei Bagaudi, i barbari bretoni che si ribellano al fisco di Roma. Massimiano è un soldato serbo, rude e aggressivo ma fedele, nato a Sirmio una città fortezza della Pannonia romana.
286 – Massimiano diventa co-imperatore. Diocleziano lo nomina augusto e gli affida le province occidentali dell’impero. Milano è la nuova capitale della pars Occidentis. Durante una solenne cerimonia religiosa, secondo la tradizione del culto pagano, Diocleziano, come primo imperatore, assume il titolo di Iovis, figlio di Giove. E riserva a Massimiano, che comunque rimane a lui subordinato, il titolo di Herculius, figlio di Ercole. Come dire: la politica a Diocleziano, le azioni militari a Massimiano.
Campagne militari di Diocleziano, impegnato a rendere più sicure le frontiere: lungo i confini danubiani sconfigge i Sarmati, i Carpi e gli Alemanni.
287 – Sacralizzazione della figura imperiale. A Nicodemia Diocleziano adotta un cerimoniale fastoso, di chiara origine persiana, che isola fino a rendere inaccessibile la figura del sovrano, protetto ad ogni ora del giorno e della notte dalle truppe di palazzo e da una folla di cortigiani di ogni ordine e grado.
Viene introdotto il rito orientale della proskynesis, ossia della prostrazione di fronte l’imperatore, secondo una ordo salutationis. L’adoratio dell’imperatore segue un preciso rituale. Diventa sacro tutto quello che è vicino al sovrano, dalla camera da letto (sacrum cubiculum) all’assemblea dei consiglieri imperiali (sacrum concistorum).
290 – Diocleziano sconfigge gli Arabi che avevano invaso gran parte della Siria.
293 – Tetrarchia: Diocleziano divide il potere imperiale tra quattro persone, due augusti e due cesari. Una tetrarchia appunto (in greco “potere diviso in quattro”) nella quale i cesari sono in posizione subordinata rispetto agli augusti. Ma una volta giunti al trono e al ruolo di augusto, potranno, a loro volta, nominare altri due cesari. Diocleziano sceglie come cesare un suo fedelissimo, il militare Galerio (250-311) nato a Serdica, ora Sofia, capitale della Bulgaria. Costanzo Cloro (250-306), chiamato così per il pallore del suo volto, originario dell’Illiria e padre del futuro imperatore Costantino, è invece il cesare scelto da Massimiano.
L’impero rimane unito da un punto di vista costituzionale anche con più autorità responsabili del governo. Le leggi vengono emanate in nome di tutti e quattro i sovrani.
Per cementare la tetrarchia i due cesari vengono adottati dal loro rispettivo imperatore. Così Galerio si unisce in matrimonio con Valeria, figlia di Diocleziano. E Costanzo Cloro, in nome della ragione di stato, sposa Teodora, figliastra di Massimiano. Ma non lascia la concubina Elena dalla quale ha avuto un figlio, all’epoca appena tredicenne: Costantino, il futuro grande imperatore.
Quattro imperatori per quattro nuove capitali. Tutte lontane dalle tradizioni repubblicane di Roma e situate in territori strategici per la difesa dei confini dell’impero: Nicomedia (Diocleziano), Sirmio (Galerio), Milano (Massimiano) e Treviri (Costanzo Cloro).
L’esperimento costituzionale voluto da Diocleziano è pensato per regolare il passaggio del potere. L’imperatore vuole evitare le sanguinose lotte dei decenni precedenti e le continue usurpazioni. Ogni augusto, dopo aver regnato per venti anni, doveva rinunciare al potere e cedere in modo spontaneo la carica imperiale al suo cesare.
Ma la tetrarchia fallirà presto. E sarà superata in modo definitivo da Costantino il Grande che nel 324 accentrerà tutti i poteri nelle sue mani.
La Britannia torna sotto l’impero. Un usurpatore, Carausio, da sette anni si era proclamato imperatore. Costanzo Cloro muove contro di lui. Ma ancora prima che il cesare di Massimiano possa agire, Carausio viene ucciso dal suo primo ministro Allectus. Dopo tre anni di regno, Allectus viene sconfitto dalle truppe imperiali e strangolato da Giulio Asclepiodoto, uomo di fiducia di Costanzo Cloro, con la brutale tecnica dell’incaprettamento. E l’isola viene restituita all’imperatore.
298 – Diocleziano mette ordine all’interno e anche lungo i confini. Seda una serie di ribellioni in Egitto. Insieme a Galerio attacca i Persiani e li vince, saccheggiando la loro ricca capitale Ctesifonte (ora un sito archeologico in Iraq) costruita su una delle direttrici dell’antica Via della Seta. La pace di Nisibi assicura ai Romani la sovranità delle terre oltre il Tigri e il controllo del commercio carovaniero. Diocleziano pone anche un re vassallo, Tiridate III, sul trono d’Armenia, con lo scopo di creare in quella regione un solido bastione dell’impero in Oriente.
Inizia una gigantesca riforma amministrativa dell’impero caratterizzata da un forte controllo del governo centrale. Diocleziano porta a cento il numero delle province e ne riduce le dimensioni. Il potere militare viene separato da quello politico. Gli eserciti di ogni provincia dipendono da un dux, il potere civile è affidato a un preside che governa il territorio anche da un punto di vista economico.
Le province vengono raggruppate in dodici diocesi governate da altrettanti vicari, subordinati a quattro prefetti del pretorio (uno per ogni tetrarca). Questi alti funzionari di fatto diventano i luogotenenti degli augusti.
L’Italia perde l’immunità fiscale di cui aveva goduto per secoli. Il territorio viene suddiviso in dodici regiones raggruppate in un’unica diocesi, chiamata Italiciana. Il vicario imperiale fissa la sua residenza a Milano.
Raddoppia il numero dei legionari. L’esercito raggiunge i 500.000 uomini ma si sdoppia. Una parte delle truppe è destinata alla guerra, l’altra alla repressione rapida delle ribellioni. Ai confini la difesa dello Stato prese la forma di grandi opere di fortificazione.
La gestione delle tasse viene rivoluzionata per facilitare il finanziamento delle spese militari. Una grandiosa riforma fiscale si occupa dei contadini, tassati in proporzione alla terra che coltivano.
Nasce un calmiere dei prezzi. Un apposito editto regola i prezzi delle merci e le retribuzioni delle varie categorie dei lavoratori. Ma esplode la borsa nera e la riforma fallisce.
301 – L’Armenia diventa il primo paese cristiano della storia: Tiridate III (255-324) proclama il cristianesimo religione ufficiale dello stato.
PORFIRIO SALVA E TRASMETTE IL SAPERE DI PLOTINO – Quello che sappiamo di Plotino, il maggiore filosofo della fine dell’Antichità, vero, grande erede di Platone e padre del neoplatonismo, lo dobbiamo al suo discepolo prediletto: Porfirio (233-305), un siriano di Tiro, animato da una varietà quasi enciclopedica di interessi, dalla filosofia all’astrologia, dalla musica alla matematica, fino alle pratiche magiche dell’oriente.
Nel 301 raccoglie e pubblica tutti gli scritti di Plotino. Le Enneadi contengono 54 trattati, scritti da Plotino fra il 254 e il 269. Porfirio li sistema in sei gruppi di nove trattati, da cui il nome Enneadi (ennea in greco vuol dire nove).
L’opera è ordinata in senso tematico. La prima parte contiene i trattati di argomento etico, la seconda gli scritti di fisica, la terza di cosmologia, la quarta si occupa dell’anima, la quinta dell’intelletto, la sesta i trattati che, a partire dall’intellegibile, conducono all’esame dell’Uno, primo principio del tutto. Molte pagine delle Enneadi sono al livello dei più bei passi di Platone e di Aristotele. Qual è il senso più alto dell’uomo? Per il pensiero greco risiede nel ”contemplare”: cercare la verità e saperla guardare nella sua interezza. Così per Plotino e Porfirio la ”contemplazione” assurge a forza creatrice di tutta quanta la realtà.
Recenti studi sulla storia della scienza hanno messo in rilievo il ruolo determinante delle Enneadi e del neoplatonismo nell’affermarsi della rivoluzione scientifica copernicana con la dissoluzione nell’età umanistica delle concezioni aristoteliche che facevano da supporto al paradigma tolemaico.
Porfirio vive tra la Grecia e l’Italia e muore a Roma. È il commentatore principe delle opere di Platone e Aristotele: in un suo scritto andato perduto si sforza di dimostrare quanti punti di contatto ci siano fra i due grandi filosofi dell’antichità. Scrive anche una Vita di Plotino. Ma rispetto al suo maestro accentua il dualismo tra anima e corpo. Rivaluta il misticismo, l’ascesi e le pratiche magiche di origine orientale. E manifesta una avversione profonda per il cristianesimo a cui contrappone la tradizione etica della classicità.
Nell’opera Contro i cristiani Porfirio giudica Cristo, “pio e religioso” ma non sopporta i suoi seguaci che “lo venerano come un dio e lo credono morto e poi risorto”. In un suo celebre passo sottolinea la debolezza di Gesù che, al contrario di Socrate, pianse sulla croce e “non seppe affrontare la morte con dignità”. Una verità rivelata esiste. Ma per il greco e pagano Porfirio non è certo il cristianesimo: piuttosto è quella che nei secoli è stata trasmessa ad alcuni prescelti, senza distinzione di sesso o religione.
Alla nozione cristiana di creazione, il filosofo siriano contrappone così la tesi tradizionale dell’eternità del mondo. Così, per Porfirio l’immortalità non è una grazia concessa dalla divinità ma una proprietà inerente alla natura stessa dell’anima. Alle sue idee, sessanta anni dopo la sua morte, si ispirerà Giuliano l’Apostata (331-363) l’ultimo imperatore pagano. Ma l’opera di Porfirio avrà una grande importanza soprattutto per il pensiero medievale. Il filosofo di Tiro fornirà ai primi teologi cristiani i termini per definire gli angeli (demoni buoni) e anche una fondamentale chiave di volta per affrontare il mistero della Trinità con il suo Padre-Uno che è anche Figlio-Pensiero e Vita-Potenza.
Il suo scritto più famoso nel Medioevo sarà l’Introduzione alle categorie di Aristotele (Isagoge), l’opera nella quale, scrivendo a un suo allievo, Porfirio codifica la dottrina dei cinque predicabili (genere, specie, differenza, proprio e accidente). Costruisce una struttura logica gerarchica, che nei testi medievali sarà conosciuta come l’Albero di Porfirio che illustra la classificazione logica della “sostanza”.
Porfirio pone il problema degli universali: i generi e le specie hanno un’esistenza reale o soltanto mentale? Nella versione latina di Boezio l’opera diventerà un irrinunciabile punto di discussione per molti filosofi medievali, dallo stesso Boezio fino a Pietro Abelardo, Tommaso d’Aquino, Duns Scoto e Guglielmo di Ockham.
La Introduzione alle categorie di Aristotele verrà tradotta anche in arabo. E con il titolo di Isāghūjī rimarrà a lungo il testo classico per gli studi della logica nel mondo musulmano. Ancora oggi la tassonomia beneficia dei concetti contenuti nell’Albero di Porfirio, adottata nella sistematica cladistica, la classificazione degli organismi viventi.
303 – Diocleziano inizia la grande persecuzione contro i cristiani. Lo incoraggia Galerio, anche se Prisca, moglie del cesare e figlia di Diocleziano ha abbracciato la nuova religione. È una lotta all’ultimo sangue tra vecchio e nuovo ordine. Vengono vietate tutte le riunione dei cristiani a scopo di culto. L’imperatore ordina la distruzione delle chiese e dei testi sacri. I sacerdoti vengono arrestati se non accettano di sacrificare alle divinità pagane. Diocleziano fa il suo primo ingresso a Roma. Ha sessanta anni e regna da venti. Il 20 novembre insieme a Massimiano, celebra il trionfo dopo le guerre vittoriose sul Danubio, in Britannia e in Africa. Ma lascia presto l’Urbe, nonostante l’inverno avanzato, ansioso di fare ritorno a Nicomedia.
305 – Diocleziano abdica. È il primo imperatore a fare questa scelta in modo volontario. Si ritira a vita privata nella natia Dalmazia, nel suo gigantesco palazzo di Spalato. Morirà nel 313.
Il-co imperatore Massimiano non vuole lasciare il potere ma alla fine accetta la decisione di Diocleziano e come l’altro imperatore si ritira nella sua residenza di campagna.
A Roma vengono inaugurate le grandiose terme di Diocleziano. Costruite a nord del colle del Viminale sono state fatte edificare da Massimiano insieme ad altri grandiosi edifici che abbelliscono la città.
Milano, a lungo sede della residenza di Massimiano, è ormai il centro effettivo del potere politico e militare imperiale in Italia.
Galerio e Costanzo Cloro diventano augusti. Massimino II Daia e Severo II sono i loro cesari.
L’INSOLITA OPERA DI ARNOBIO – Arnobio scrive Adversus nationes. “Contro le genti”. Intese come i barbari. È il titolo dell’unica opera giunta fino a noi di Arnobio, un famoso maestro di retorica nato a Sicca, nell’odierna Tunisia, e morto intorno al 327. Arnobio aveva combattuto a lungo, con ardore, i cristiani. In età matura, con lo stesso zelo, abbraccia la nuova religione. E per convincere il vescovo della sua città della bontà della sua conversione, nel 305 scrive, in sette libri, Adversus nationes, forse la più insolita fra le opere apologetiche della letteratura latina. Arnobio, cristiano della prima ora, zoppica nella conoscenza delle Sacre Scritture. Ma con una prosa elegante e ricca di reminiscenze classiche difende i cristiani dall’accusa di essere la causa di tutti i mali e cerca di dimostrare come anche negli scritti dei filosofi pagani si ritrovi molta dottrina cristiana. Nella sua scrittura emerge il cursus, derivato dal numerus della prosa classica: un andamento ritmico del periodo che chiude in modo armonico la frase e che comprende almeno due parole, ognuna fornita di un accento proprio.