Il 23 febbraio è il compleanno più importante della storia della letteratura.
Perché il 23 febbraio 1455 esce il nuovo libro.
L’autore non è esattamente un esordiente. E anche il volume in uscita non rappresenta che una nuova edizione di un vecchio classico. Molto vecchio. E molto classico. Un libro così celebre e importante che non ha nemmeno bisogno di un titolo: tutti lo chiamano, semplicemente, Il Libro.
Non si tratta di un’edizione critica, o riveduta e corretta o ampliata. No, il testo è sempre quello: la grande novità, però, sta nella tecnologia innovativa con cui viene prodotto, che rappresenta la più grande rivoluzione editoriale e culturale dell’intera storia dell’umanità: l’invenzione della stampa a caratteri mobili.
Una svolta formidabile che nemmeno la nostra epoca è riuscita a soppiantare. Perché se è vero che questo articolo non lo state leggendo stampato su carta ma sullo schermo di un computer, è vero anche che la maggior parte dei libri che comprate hanno ancora oggi la stessa forma e lo stesso aspetto che avevano 600 anni fa e usano la stessa tecnica messa a punto da Johannes Gutenberg. Con buona pace della stampa digitale e degli e-book da leggere su una tavoletta di plastica.
Cinquant’anni, orafo, nato in una famiglia aristocratica di Magonza con una lunga tradizione nella lavorazione dei metalli e nel conio delle monete, Johannes Gensfleisch zum Gutenberg da anni ha un pallino: vuole portare in Europa la stampa a caratteri mobili. Una tecnica che in Cina esiste da quattrocento anni (è stata inventata nel 1041 da Bi Shen) mentre noi siamo fermi ancora ai codici confezionati da copisti e miniatori.
Fermi alla prima grande rivoluzione editoriale avvenuta all’alba del Medioevo, quando i rotoli di papiro erano stati sostituiti dai libri in pergamena.
Il papiro, introdotto dagli antichi Egizi, era passato poi ai fenici, ai greci e ai romani. La stessa parola Bibbia (dal greco “Biblos” – libro) deriva indirettamente dal porto fenicio Biblo, da dove si esportava il papiro.
I libri in papiro hanno la forma del rotolo, sono piuttosto scomodi da leggere e anche da conservare e sono fragilissimi. Nella tarda antichità si va così diffondendo il nuovo libro detto Codice da “corteccia”.
Citato già da Marziale (41-104) che ne loda la compattezza, il codice aveva soppiantato il rotolo di papiro solo intorno al IV-V secolo per le motivazioni più disparate: la comodità di lettura, la possibilità di usare entrambe le facciate del foglio e forse anche il desiderio di distinguere i nuovi libri cristiani da quelli antichi legati alla cultura pagana.
Di fatto, quando la storia entra nel Medioevo il volume in papiro appartiene già al passato. Le strisce tagliate dal fusto della pianta acquatica e incollate tra loro sono state sostituite dalla pelle di pecora o di vitello essiccata, e i fogli non sono più incollati tra loro e arrotolati, ma disposti uno dietro l’altro, legati e chiusi da una copertina in cuoio o legno.
Se il libro medievale è maneggevole e comodo come quello moderno, a differenza di quello moderno è un oggetto di lusso, appannaggio solo delle élite. La pergamena è un materiale costosissimo (e per questo viene spesso riciclato) e ogni singolo libro viene copiato a mano da monaci o professionisti armati di penna d’oca, inchiostro, pazienza. E molto tempo. Parallelamente al lavoro degli amanuensi, poi, c’è quello dei miniatori, che decorano i codici con preziose illustrazioni in foglia d’oro.
Per realizzare un libro, quindi, ci vuole tanto lavoro e per comprarlo tanti soldi. Anche per questo la gran parte della popolazione resta analfabeta: a che serve imparare a leggere, se tanto non puoi permetterti di comprare niente da leggere?
La stampa rappresenta allora una rivoluzione culturale oltre che tecnologica, e Gutenberg lo sa. Quello che non sa è che il suo destino – comune a quello di tanti innovatori (da Antonio Meucci ai fratelli McDonald) – sarà quello di non ricavare alcun guadagno dalla propria straordinaria invenzione e di vedere i suoi rivali arricchirsi con la propria idea.
Ma non è il denaro che conta, quando si deve cambiare il mondo: contano le idee, e l’orafo tedesco ce le ha chiarissime: ha intenzione di utilizzare strumenti e tecniche che esistono già per applicarle a un contesto nuovissimo come la stampa tipografica.
Tornato nel 1448 a Magonza dopo diciotto anni passati a Strasburgo, ha messo in piedi una società con il mercante Johann Fust, con il preciso obiettivo di mettere a punto la nuova tecnica per produrre un’edizione della Bibbia cristiana, nella traduzione latina realizzata in 15 anni da San Girolamo e completata nel 405: la cosiddetta Vulgata.
Una tecnica di stampa esiste già: è la xilografia, ma viene usata solo per immagini e brevi testi. Le matrici di stampa vengono infatti ricavate da un unico pezzo di legno, che può essere impiegato per stampare sempre la stessa pagina. Più che nell’editoria, la xilografia viene impiegata in altri settori per stampare motivi ornamentali sui vestiti, realizzare opere d’arte e produrre le carte da gioco. L’intuizione di Gutenberg, invece, è quella di fabbricare dei caratteri mobili per stampare interi libri. Le pagine, quindi, non saranno incise a mano, ma risulteranno dalla composizione dei vari caratteri, che potranno così essere cambiati e riutilizzati all’infinito. Ne verranno fusi ben 290 tipi diversi per produrre il primo libro della storia.
Fust ha messo a disposizione di Gutenberg 1600 fiorini olandesi in due rate da 800 a distanza di due anni l’una dall’altra. Con i soldi Johannes ha assunto una ventina di operai (tra fonditori di caratteri, compositori, lavoranti al torchio e correttori), acquistato i materiali per la stampa e preso in servizio l’incisore Peter Schöffer.
In Oriente i caratteri mobili erano realizzati in legno e si rompevano molto facilmente. Johannes sceglie di utilizzare solo metalli, in particolare il ferro e l’acciaio. Nelle fucine della Renania e dell’Alsazia la lavorazione del ferro e dell’acciaio è ben conosciuta e non è difficile per il nostro apprenderne la tecnica.
I segni grafici vengono scolpiti su un punzone: un blocchetto in acciaio che viene forgiato per ottenere – attraverso un lungo e delicato lavoro – il disegno in rilievo. Poi il punzone viene battuto a freddo su una matrice in rame, lasciando impressa la forma della lettera. Sulla matrice viene quindi colata una lega metallica formata da piombo, antimonio e stagno, che raffredda velocemente e resiste bene alla pressione esercitata dalla stampa.
Si hanno così i caratteri in metallo che una volta rifiniti possono essere utilizzati per comporre i testi. I caratteri sono tenuti in un’apposita cassetta, divisi per lettera, da cui il compositore attinge; per comporre ciascuna linea di testo, occorre selezionare a uno a uno i caratteri (in rilievo e invertiti) corrispondenti alle lettere delle parole e posizionarli in un telaio che viene adagiato sul piano della pressa. Una volta che tutte le linee sono state composte, il telaio viene ricoperto di inchiostro con l’aiuto di pennelli di crine di cavallo. Si posiziona quindi una pagina di carta preventivamente inumidita, che una tavola comprime sotto l’azione di una vite in legno. Ogni pressa è manovrata da due operai e la tipografia arriverà ad impiegarne fino a dodici.
Per costruire la macchina di stampa Gutenberg utilizza una pressa a vite usata per la produzione del vino, che permette di applicare efficacemente e con pressione uniforme l’inchiostro sulla pagina, che deve avere qualità chimiche appropriate ai caratteri in metallo: non viene più diluito con l’acqua, ma con l’olio.
Nel 1449 gli esperimenti erano a buon punto e i due erano già in grado di comporre e stampare sia fogli singoli che libri.
Per collaudare il suo torchio tipografico e i suoi caratteri mobili in lega metallica, Gutenberg ha cominciato, attorno al 1450, a comporre dei testi che riproduce su pagine di carta in fibra di canapa; poi si cimenta con la stampa di piccoli libriccini, come la grammatica latina di Donato.
Ci sono voluti tre anni per completare la stampa di 180 copie della Bibbia. Il tempo in cui un amanuense avrebbe impiegato per portarne a termine una.
Il 23 febbraio 1455 la Bibbia a 42 linee fa dunque il suo debutto a Francoforte.
Il libro è composto da due volumi rispettivamente di 322 e 319 fogli, per un totale di 641 fogli, ovvero 1282 pagine.
L’Antico Testamento occupa il primo volume e una parte del secondo, che contiene anche tutto il Nuovo Testamento. Quaranta copie vengono stampate su pergamena e 140 su carta di canapa, importata dall’Italia. L’innovazione tecnologica del supporto va quindi di pari passo con quella della scrittura: se il papiro aveva caratterizzato i rotoli antichi e la pergamena i codici medievali, parallelamente alla stampa si affermerà l’utilizzo della carta, arrivato anch’esso fino ad oggi.
Il carattere di Gutenberg imita lo stile gotico, il più usato in Germania, in particolare per i testi liturgici. La forma e l’aspetto sono molto simili a quelli di un codice con tanto di lettere miniate: la versione che viene venduta, infatti, contiene degli spazi bianchi che l’acquirente può far riempire ad un miniatore da lui incaricato.
Lasciare al proprietari la rifinitura del libro permette loro di scegliere un artista di propria fiducia e decorazioni più o meno dispendiose. Anche la rilegatura e la copertina sono a carico dell’acquirente: più che libri, infatti, Gutenberg vende fogli stampati. Oltre che il precursore della moderna editoria, l’orafo tedesco lo è anche del metodo Ikea e del fai da te.
Venduta per sottoscrizione, la Bibbia di Gutenberg viene acquistata da istituzioni religiose, soprattutto monasteri. L’operazione suscita un immediato entusiasmo per la qualità tipografica, ma il successo di critica – per così dire – non va di pari passo con quello economico, che tarda ad arrivare.
I rapporti tra i due soci diventano quindi sempre più tesi e nello stesso 1455 – proprio mentre la stampa viene completata – Fust pretende la restituzione del prestito e cita Gutenberg in giudizio vincendo la causa e prendendosi almeno parte dell’attrezzatura per la stampa e i caratteri tipografici.
Anche Schöffer, che ha sposato la figlia di Fust, abbandona il tipografo e si mette in società con il suocero: la Fust und Schöffer raccoglierà i frutti del lavoro di Guitenberg diventando la prima impresa commercialmente redditizia nella storia della stampa e pubblicando nel 1457 un’edizione del Libro dei Salmi con i capilettera in due colori.
La nuova tecnica si diffonderà in poco tempo in tutta Europa: in 50 anni verranno stampati 30mila titoli diversi per una tiratura complessiva superiore ai 12 milioni di copie. I libri stampati fino al 1500 verranno in seguito chiamati “incunaboli”.
Gutenberg, da parte sua, cercherà continuare la sua attività aprendo a sua volta una tipografia, ma senza alcuna fortuna. Dopo il successo della Bibbia, non resterà memoria di nessun’altra sua produzione e nel 1462 il nuovo padrone di Magonza lo manderà in esilio insieme a molti altri cittadini. Al suo ritorno scoprirà che buona parte delle persone con cui aveva lavorato non ha fatto rientro e deciderà di abbandonare l’attività di tipografo, morendo solo e dimenticato nel febbraio 1468.
Dei 180 esemplari originari della sua Bibbia, 48 arriveranno al terzo millennio disseminati nei musei di tutto il mondo: dal Giappone alla Germania, dall’Inghilterra al Vaticano.
E se Gutenberg ha di fatto ideato le edizioni economiche del libro, oggi una delle rarissime copie della sua Bibbia non ha un prezzo esattamente popolare: per comprare un esemplare completo della sua Bibbia dovreste spendere circa 10 milioni di dollari. Ma state certi che non lo troverete in libreria.
Arnaldo Casali