La canapa nel Medioevo

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Fibre di canapa grezza, molto utilizzata nel Medioevo

Ha donato le sue fibre alla Bibbia di Gutenberg, alle vele delle caravelle di Colombo, alla Costituzione americana e a importanti arazzi. Ma soprattutto a migliaia di corde, di lenzuola, di tovaglie e di vestiti, e anche a raffinati piatti di alta cucina.

Pianta duttile, flessibile e resistente, la canapa nel medioevo era il tessuto più prezioso e più popolare, perché utilizzato in mille modi. E certo non se ne andava in fumo.
Non poteva che essere dedicata anche a lei, dunque, una sezione della mostra “Un giorno nel Medioevo” organizzata a Gubbio dalla Fondazione CariPerugia Arte in collaborazione con il Festival del Medioevo, che si può visitare alle Logge dei Tiratori della Lana fino al 6 gennaio 2019.

L’allestimento, curato dal Museo della Canapa di Sant’Anatolia di Narco, vede esposti vari strumenti legati al ciclo della lavorazione della canapa: un cardo (la cardatura – che prende il nome dalla pianta le cui infiorescenze venivano utilizzate anticamente per l’operazione – consiste nel liberare dalle impurità, districare e rendere parallele le fibre tessili, al fine di permettere le successive operazioni di filatura), un pettine per la tessitura, e delle matasse di diverse tipologie di canapa: quella utilizzata per la biancheria, quella per i pacchi e quella per la corderia.

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In mostra, un banco di tessuti (Gaite di Bevagna) e strumenti per lavorare la canapa (Museo della Canapa si Sant’Anatolia di Narco)

“La canapa era la fibra più utilizzata nel Medioevo – spiega Gleda Giampaoli, direttore del Museo – prevalentemente per il cordame e in parte per i tessuti, soprattutto per i corredi delle spose: tovaglie, asciugamani, lenzuola, coperte. Spesso veniva mescolata con la lana e il lino”. Non mancava l’uso alimentare: “Abbiamo trovato una ricetta del Trecento di tortelli con fiori di canapa”.
Difficile dire se avessero lo stesso effetto della celebre insalata alla marijuana del film Che fine ha fatto Totò Baby?, in cui il comico napoletano si trasforma in uno spietato serial killer che uccide a sangue freddo, scioglie nell’acido, serve pezzi di cadavere per pranzo al fratello e mura i corpi delle sue vittime dentro casa.
“La verità è che non sappiamo che percentuale di Thc potesse essere presente nella canapa in uso nel Medioevo”.

Il Thc, principio attivo alla base dello ‘sballo’, è infatti molto basso nelle piante comuni ed è stato aumentato artificialmente sia nella cannabis venduta sul mercato nero sia in quella per uso terapeutico. Basti pensare che nella cannabis legale non può superare lo 0,5%, negli anni degli hippie si aggirava intorno al 7%, mentre oggi in quella illegale è di circa il 13% e in quella utilizzata per la terapia del dolore raggiunge il 90%.

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Uno strumento medievale per districare le fibre di canapa, anch’esso in mostra

“La canapa era considerata il maiale vegetale perché, come del maiale non si buttava via nulla. Le radici erano impiegate per accendere il fuoco, il canapulo impregnato nello zolfo si trasformava in comodi fiammiferi, i semi costituivano parte integrante dell’alimentazione animale. La fibra, invece, era impiegata per la produzione di corde, indispensabili per le varie attività agricole, di reti da pesca, ma soprattutto per la realizzazione di tessuti per il confezionamento della biancheria per la casa, dei sacchi per farine e cereali e dell’abbigliamento”.

Ma non ha segnato solo il Medioevo, la canapa: è rimasta di fatto la pianta più utilizzata per i tessuti fino agli anni ’50, quando, con il boom economico ha iniziato a subire la concorrenza delle fibre artificiali che ne hanno decretato la scomparsa dal mercato ben prima che gli anni ‘70 ne stravolgessero anche l’identità, relegandola al ruolo di droga leggera.

La riabilitazione della canapa è iniziata da un paio di anni con la nuova legislazione che se da una parte ha fatto esplodere il discusso fenomeno della “marijuana light”, dall’altra ha rilanciato – anche se più in sordina – tutta una filiera che vede la pianta utilizzata di nuovo per tessuti, bioedilizia, design, oltre che nel settore alimentare.

Il Museo della Canapa di Sant’Anatolia di Narco è nato nel 2008 come antenna dell’Eco Museo della dorsale appenninica umbra e ha come missione quella di riscoprire e riattualizzare la memoria storica e il saper fare legato alla canapa in Valnerina e in generale in Umbria. Collabora con il Politecnico di Milano, le università di Venezia, Perugia, Camerino, Bologna e Bari. “Abbiamo un laboratorio in cui produciamo tessuti – spiega ancora il direttore – facciamo sperimentazione e lavoriamo con diverse realtà artistiche”. Tra queste il progetto “Canapa nera”, incentrato sul terremoto, commissionato dalla Regione Umbria e realizzato dall’Accademia delle belle arti di Perugia e Daniela Gerini e presentato anche al Festival dei Due Mondi.

Arnaldo Casali