La leggenda nera di Ortensia Baglioni

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Veduta di Parrano (Terni), uno dei feudi di Ortensia Baglioni – foto Elena Volterrani

Nel corso della sua lunga e tormentata vita perse quattro figli e tre mariti. Una donna decisamente molto distratta; o estremamente pericolosa.

È ricordata come la “Lucrezia Borgia di Parrano”, ma il paragone con Ortensia Baglioni, in realtà, è ingeneroso nei confronti della povera Lucrezia, vittima di una fama pessima ma comunque immeritata.

Ortensia, invece, con tre mariti e due figli ammazzati è senza dubbio la donna più scaltra, letale e spregiudicata della storia a cavallo tra Medioevo e Rinascimento.

D’altra parte tra cospirazioni e intrighi di palazzo, lei, c’era nata e cresciuta: figlia del conte Antonio Baglioni e di Beatrice Farnese, Ortensia è nipote sia della bellissima Giulia Farnese, amante di papa Alessandro VI Borgia che di suo fratello Alessandro Farnese, il futuro papa Paolo III.

È proprio lo zio cardinale a darla in sposa nel 1531 a Sforza Marescotti, un soldato rampollo di un’antica e gloriosa famiglia bolognese. Dall’unione nascono Alfonso e Beatrice; appena sette anni dopo il matrimonio, però, Sforza viene assassinato dai suoi vassalli. Vedova tutt’altro che inconsolabile (e anzi – si mormora – mandante del delitto) l’anno successivo Ortensia sposa Girolamo di Pier Giovanni di Marsciano, con cui fa altri due figli: Marcantonio e Girolamo. Anche il secondo marito sei anni dopo toglie il disturbo, ucciso da un piatto di maccheroni avvelenati servitogli dall’amorevole consorte.

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Il borgo di Pornello (Terni) – Foto Fiorenzo Lo Grasso

Tempo quattro anni, e il 7 maggio 1549 Ortensia convola a terze nozze con il conte Ranuccio Baglioni, ponendo però come condizione che lo sposo le assegni i feudi di Parrano e Pornello. Anche con Ranuccio Ortensia concepisce due figlie, Elena e Lavinia. Ma poi si libera del marito: esattamente come Sforza, infatti, il 18 settembre 1553 il conte viene ucciso in un agguato tesogli dai vignanellesi, esasperati dalle continue vessazioni del loro padrone ma anche stavolta, si dice, istigati dalla signora.

Nel frattempo è scomparso Paolo III Farnese e a succedergli è il cardinale Giovanni Maria Ciocchi Del Monte, che ha assunto il nome di Giulio III. Il nuovo papa è zio di Ascanio Della Corgna, Capitano generale della fanteria e della cavalleria e cognato di Ranuccio, di cui ha sposato la sorella Giovanna.
Due giorni dopo l’omicidio, Giulio III mette le due bambine sotto la tutela di Ascanio, affidandogli anche i feudi di Vignanello e di Parrano, mentre la guardia papale arresta Ortensia. Il tribunale pontificio ascolta molti testimoni, tra cui il cardinale Tiberio Crispo di Orvieto, secondo il quale la donna è “onesta e una buona moglie”, mentre Ranuccio viene descritto come un violento che trattava malissimo i suoi vassalli “sichè dico meravegliarme che non prima sia stato ammazzato da quelli suditi”. Il processo si conclude con l’assoluzione della donna: sulla forca finiscono cinque paesani.

Nel 1565 Ortensia, che ha ripreso possesso del suo feudo, scrive il proprio testamento lasciando al figlio Alfonso il castello di Vignanello e a Elena e Lavinia quello di Parrano. A Girolamo, invece, lascia un altro piatto di maccheroni avvelenati e anche Lavinia muore “atossicata” ancora giovanissima, mentre Marcantonio si toglie di mezzo da solo per morte naturale. Ma su nessun decesso viene aperta una indagine.

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Lo stemma Marescotti-Farnese

A impedire a Ortensia di rimettere le mani sul feudo di Parrano, resta però la contessina Elena, il cui tutore è lo zio Ascanio. Determinata a manovrare la vita della figlia, appena compie 14 anni comincia a cercarle un marito, ma deve scontrarsi con i ripetuti rifiuti della ragazza. Il conflitto raggiunge tali livelli che per proteggere la contessina dalle grinfie della madre il papa arriva a far rinchiudere la giovane in monastero e a proibirle di contrarre matrimonio senza la sua autorizzazione.
Ortensia, nel frattempo, si è insediata nel castello, approfittando dell’assenza di Elena che vive a Perugia dagli zii, e tollera l’invasione materna solo “per honore suo per non la cacciare via”.

La velenosa contessa, che non si fa certo intimidire dall’ostilità della ragazzina, scrive al cugino Alessandro Farnese. E spiega di essere a Parrano proprio su invito della figlia; “Questo castello monsignor mio mi riesce molto meglio che io non pensavo: vassalli fidelissimi et amorevolissimi; solo ce manca uno buono patrone che tema Idio et governa le sue pecorelle iustamente”.
Ortensia manda in continuazione messaggeri a Perugia perché convincano la figlia a raggiungerla a Parrano, ma Elena non ha nessuna intenzione di lasciarsi avvicinare dalla madre e quando la vede arrivare non le permette nemmeno di entrare nel palazzo. La donna non sia arrende e in occasione della Pasqua del 1567 tenta un nuovo approccio mandando come ambasciatore il figlio Alfonso. Durante il pranzo, però, l’erede fa alla sorella uno strano discorso, che suona come un sinistro avvertimento: “Se vostra Signoria morisse, signora contessa, a me mi resterebbe qualche cosa di vostro: ma se morissi io non ve resteria a voi cosa alcuna de mio; perché io ho figli”.

Convinta che la madre voglia eliminarla per lasciare tutto al fratello, Elena è ancora più decisa a non mettere piede a Parrano. Tuttavia, le mani della famigerata Ortensia riescono a insinuarsi fino a Pieve del Vescovo, dove la contessina sta passando un piacevole soggiorno in compagnia della zia Giovanna. È il 23 aprile ed Elena è abbastanza incauta da lavarsi il viso con l’acqua da toletta che la madre le ha mandato “per rendere più liscia la pelle”. Qualche ora dopo l’applicazione dell’unguento la ragazza si sente male e dopo due giorni di agonia muore, all’età di sedici anni.
Il corpo viene trasportato a Perugia, accompagnato “da circa cento contadini et altre genti con lumi” e seppellito nella chiesa di San Fiorenzo a Porta Sole. Prima, però, viene chiesta un’autopsia perché il cadavere si è gonfiato ed è diventato nero, e il Papa ordina un’indagine. Quando il 7 maggio 1567 il commissario pontificio Gandolfi giunge a Parrano, Ortensia – circondata da un piccolo esercito formato da vassalli e da banditi – si rifiuta di consegnargli il feudo. Gandolfi è costretto a desistere ma una settimana dopo torna, prende possesso del castello e trascina Ortensia davanti al Governatore di Roma.

Castel Sant'Angelo. Costruito nel II secolo d.C. come Mausoleo per l'Imperatore Adriano, Castel Sant'Angelo  ha ospitato i resti di Adriano e dei suoi successori fino all' Imperatore Caracalla

Castel Sant’Angelo. Costruito nel II secolo d.C. come mausoleo per le spoglie dell’imperatore Adriano, fu spesso utilizzato come luogo di prigionia

Rinchiusa ancora una volta a Castel Sant’Angelo, la donna viene assolta da tutte le accuse e ritorna in possesso del castello e degli altri beni sequestrati. E il 9 marzo 1574 dona al nipote Marcantonio di Alfonso i castelli di Vignanello, Parrano, Pornello e Mealla “per la conservazione della famiglia”.

Alfonso e Marcantonio, divenuti i padroni assoluti, scatenano la loro ferocia con delitti e vessazioni ai danni delle popolazioni sottoposte, offrendo anche rifugio a banditi provenienti dal Regno di Napoli, tanto da attirarsi addosso anche un’inchiesta ordinata da papa Gregorio XIII che culmina con uno scontro armato e l’arresto per ribellione e lesa maestà.Scarcerati tre anni dopo, padre e figlio tornano nei loro feudi. Le nefandezze continuano. Ortensia si sfoga con il cugino cardinale: “Quando io pensavo dopo tanti stenti et mie fatighe potermi riposare, mi trovo afflitta da un figliolo tiranno, che sempre è andato peggiorando. Et il patir mio è infinito”.

Intanto, nel 1574 Marcantonio ha sposato Ottavia di Piefrancesco Orsini conte di Bomarzo, il committente del celebre Parco dei Mostri. Avranno sette figli, ma anche molti guai: tanto è violento e arrogante il marito, infatti, che la donna arriva a intentargli una causa per ottenere la separazione.

Alfonso morirà a Roma il 25 marzo 1604, lasciando tutto il potere nelle mani del figlio, che rispetterà la tradizione di famiglia: finirà ammazzato in un agguato tesogli la notte del 4 settembre 1608, finito con due colpi di archibugio e poi straziato con un’accetta.

In compenso tra i sette figli di Marcantonio non mancherà una santa: Clarice, monaca francescana canonizzata nel 1807 da Pio VII. Un’altra pargola, invece, viene chiamata proprio con il nome della famigerata bisnonna: futura marchesa di Fabro, nascerà appena quattro anni dopo la morte di Ortensia, che si spegne serenamente – se così si può dire – il 12 aprile 1582. Con sette morti sulla coscienza e due processi per omicidio. Ma un patrimonio ricchissimo e indiviso.

Arnaldo Casali

Articolo pubblicato su MedioEvo N° 259 di agosto 2018