La notizia choc della caduta di Costantinopoli

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Philippe de Mazerolles, L'assedio di Costantinopoli, dalla Chronique de Charles VII di Jean Chartier, 1470 ca.

Philippe de Mazerolles, L’assedio di Costantinopoli, dalla Chronique de Charles VII di Jean Chartier, 1470 ca.

Fu un corriere del doge a portare a papa Niccolò V la notizia della caduta di Costantinopoli. Era l’8 luglio 1453. La città era stata conquistata dai turchi ottomani guidati da Maometto II, il 29 maggio, dopo un terribile assedio durato cinquantacinque giorni. Il pontefice ascoltò, impietrito, il racconto dell’ambasciatore.

Federico III, l’ultimo imperatore incoronato a Roma, fu informato degli avvenimenti solo pochi giorni dopo. Le cronache raccontano che pianse a lungo prima di ritirarsi nelle sue stanze, dove rimase per giorni a pregare.
Dopo 1058 anni l’Impero Romano d’Oriente cessava di esistere. I popoli europei vissero l’avvenimento come uno choc anche se la grande capitale che dominava con le sue leggendarie architetture gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, era da tempo isolata, quasi soffocata dai vasti possedimenti del sultano, tanto da poter essere rifornita ormai solo via mare.

Fernand Braudel, il grande storico francese, per descriverne l’agonia usò una celebre metafora: “Un cuore, rimasto miracolosamente vivo, di un corpo enorme da lungo tempo cadavere”.

Nell’immaginario delle genti d’occidente, la “seconda Roma” sembrava eterna, come l’altra, immortale metropoli, nata mille anni prima sulle rive del Tevere.

L'impero bizantino nel XV secolo

L’impero bizantino nel XV secolo

Costantino I, seguendo l’antico rito etrusco di Romolo, aveva fondato la grande città nel 330 dopo Cristo, nel luogo dove prima sorgeva Bisanzio, l’insediamento greco voluto dai coloni di Megara nel 667 avanti Cristo.
Costantinopoli visse per secoli il suo destino di capitale: dell’Impero Romano (330-395), dell’Impero Romano d’Oriente (395-1204), dell’Impero Latino (1204-1261) e di nuovo dell’Impero Bizantino (1261-1453).
In Grecia la caduta della città alimentò leggende nefaste. Tanto che ancora adesso il giorno della sfortuna non è considerato il venerdì (in ricordo della morte di Gesù Cristo) ma il martedì, il giorno della settimana in cui avvenne il passaggio di Costantinopoli agli ottomani.

Gli uomini semplici che pregavano nelle chiese d’occidente videro nella ferale notizia la conferma di tutte le loro angosce. E identificarono i turchi con i Gog e i Magog, i mitici, sanguinari e selvaggi popoli citati nella tradizione biblica e poi anche in quella coranica, dei quali parlava anche Giovanni nell’Apocalisse (20, 7-8):”E quando saranno finiti i mille anni, Satana verrà sciolto e uscirà dalla sua prigione per sedurre le nazioni che sono ai quattro punti della terra, Gog e Magog, per adunarle a battaglia, in numero sì grande come la rena del mare”.

Il martirio di san Metodio

Il martirio di san Metodio

Tornarono di attualità anche le profezie attribuite a San Metodio (250-311) vescovo di Olimpo e di Filippi, secondo il quale gli agareni (arabi) avrebbero invaso l’Europa.
Le creature d’Ismaele, figlio di Abramo, nelle superstizioni popolari assunsero di colpo le sembianze degli ottomani guidati da Maometto II, il settimo sultano.

Nell’Italia del tardo Quattrocento fece fortuna la “Pronosticatio”, un’opera illustrata da quaranta silografie dell’astrologo tedesco Johannes Lichtenberger, nella quale le premonizioni di Metodio tornarono d’attualità: “Tempo verrà che gli agareni ancora… usciranno dal deserto e conquisteranno il mondo… e strangoleranno i sacerdoti nei luoghi sacri, dove giaceranno con le donne, bevendo dai calici consacrati e legando gli animali alle sante tombe”.

Costantinopoli in mano al sultano evocò nuovi scenari di morte, ispirati al giudizio universale citato negli scritti di Gioacchino da Fiore (1130-1202), il frate cistercense eremita “di spirito profetico dotato” (Dante, Paradiso XII), diventato così sapiente anche grazie ai viaggi compiuti da giovane in Siria, in Palestina e sul Bosforo.
Di conseguenza, la fine del mondo che l’abate prevedeva intorno al 1260 fu spostata avanti di due secoli.

Altre leggende identificarono in Untersberg, la “montagna di casa“ dei salisburghesi, nel luogo dell’ultima battaglia, l’apocalittico scontro finale contro i Gog e i Magog.
Riemerse un pentimento collettivo: quello di non aver aiutato a sufficienza i bizantini. Anche se in riva al Bosforo, negli ultimi decenni dell’impero, gli abitanti della grande capitale già non si definivano più “romani” ma “elleni”.

 Il famoso ritratto di Maometto II di Gentile Bellini conservato nel Victoria and Albert Museum di Londra


Il famoso ritratto di Maometto II di Gentile Bellini conservato nel Victoria and Albert Museum di Londra

Del resto, il detto “meglio un turbante che il cappello cardinalizio” rappresentava da tempo il sentire comune della popolazione, che guardava ai “fratelli” d’occidente con un sospetto mescolato all’ostilità.

Se ne accorsero tutti quando i bizantini bocciarono senza appello la faticosa riunificazione della Chiesa greca a quella di Roma, proclamata nel Concilio di Firenze (1439) nel quale si era prodigato in prima persona anche l’imperatore Giovanni VIII Paleologo.
Costantinopoli era perduta. Niccolò V, dal soglio di Roma, tuonò contro Maometto II, “rosso drago dell’Apocalisse” e “precursore dell’Anticristo”.
Con una bolla solenne, invitò tutta la cristianità a una nuova crociata contro gli ottomani.
Per finanziare l’impresa, moltiplicò le gabelle ai cardinali, ai vescovati, ai monasteri e alle abbazie di tutte le regioni d’Europa.

Enea Silvio Piccolomini, segretario del papa e futuro pontefice, imbevuto della cultura greca e degli ideali della classicità, nel 1454 quasi urlò la sua disperazione ai delegati della Dieta di Francoforte: “Ci hanno colpiti in Europa, nella nostra patria, nella nostra casa, qui dove viviamo e l’hanno fatto con durezza”.
Il suo appello, uno delle prime testimonianze della nascita di una coscienza europea, fu molto lodato ma rimase inascoltato.
Nessun principe tedesco rispose alle richieste papali.

Lo fece però Venezia, che in nome dei commerci e del realismo politico, caldeggiò l’idea di una riconquista con la forza delle armi.
Dopo la morte di Niccolò V (1455) il suo successore Callisto II, papa dal 1455 al 1458, mise in piedi una flotta che provò ad attaccare il sultano in Grecia e convinse gli ungheresi a organizzare una crociata durante la quale, a Belgrado, gli ottomani furono clamorosamente sconfitti.
Il re di Boemia Georg Podiebrad, il primo monarca europeo a rinunciare alla fede cattolica, propose alle potenze del Vecchio Continente la nascita di una lega permanente per combattere i turchi. Il sovrano era un seguace di Jan Hus, il teologo fondatore di un movimento rivoluzionario cristiano che fu precursore della Riforma luterana. I regnanti cattolici, allarmati dal suo fervore e dalle sue idee, respinsero l’invito alla battaglia.

Pinturicchio - Pio II giunge ad Ancona per dare inizio alla crociata, 1502-1507

Pinturicchio – Pio II giunge ad Ancona per dare inizio alla crociata, 1502-1507

Nel 1458 il senese Enea Silvio Piccolomini, che da giovane aveva studiato a Bisanzio, diventò papa con il nome di Pio II. E provò, con tutte le sue forze, a riconquistare Costantinopoli. Tanto da arrivare a scrivere anche una lettera apostolica nella quale invitava Maometto II a convertirsi alla religione di Roma. Stanco e malato, il pontefice decise di recarsi in oriente a capo di un esercito, grazie alle navi fornite da Venezia. Seguì su una poltrona, immobile e pensieroso, l’imbarco delle truppe nel porto di Ancona. Ma proprio allora le forze lo abbandonarono. Consapevole dell’enormità dell’impresa, il papa rinunciò al suo sogno. Con la sua morte (1464) finì anche l’idea della crociata.

Le armi lasciarono presto il posto alla diplomazia. Con i negoziati, tornarono anche i commerci.
Venezia riprese i suoi traffici. La colonia genovese di Galata, sulla sponda settentrionale del Corno d’Oro, fu riconosciuta dal sultano come enclave cristiana in territorio turco. Bastò abbattere le mura, accettare un governatore ottomano e spogliare i campanili dalle campane.
Costantinopoli diventò Istanbul e tornò al suo destino di crocevia del mondo. La popolazione passò in breve tempo da quattromila a centomila abitanti.

Maometto II volle che i turchi si trasferissero in massa sulle rive del Bosforo. Invogliò con case, orti e giardini i nuovi cittadini.
Di fronte alle molte resistenze, ricorse al “surgun”, la deportazione.
Andò di persona a Bursa per costringere gli artigiani e i commercianti della ricca città mercantile a trasferirsi nella sua capitale.
Parlando di Istanbul, Ashiqpashazade, cronista dell’impero, scrisse: “Il sultano ordinò che da ogni angolo della terra vi venissero trasportate con la forza le famiglie, sia ricche che povere”.

Una mappa di Costantinopoli e delle sue mura

Una mappa di Costantinopoli e delle sue mura

Molteplici nazionalità affollarono la grande città. Insieme ai turchi arrivarono greci, ebrei, italiani, armeni, arabi, spagnoli, serbi, croati, bulgari e persiani.

Il sultano preservò gli edifici bizantini. Musulmani, cristiani e ebrei convissero seguendo le leggi ottomane.
Fino ai primi anni dell’Ottocento, l’italiano, idioma del commercio e del mare, rimase la seconda lingua della grande città.
Istanbul, come Costantinopoli, tornò ad essere il centro del mondo, capace di riemergere da guerre, massacri e scontri di civiltà.
Un luogo del potere. Per antonomasia.

Maometto II, il Conquistatore, lo sapeva bene. Alla fine del mese di maggio del 1453, quando la città era ormai nelle sue mani, osservando dall’alto di Aya Sofia le rovine della reggia bizantina, meditò sulla caducità delle conquiste e degli imperi.

E recitò antichi versi dell’amata Persia: “Il ragno monta la guardia nei portici della cupola di Khusraw. La civetta suona il silenzio nel palazzo di Afrasiyab. Così va il mondo, destinato ad aver fine”.

Federico Fioravanti