L’Editto di Milano

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Arrigo Minervi (scultore della I meta del XX secolo). Particolare della porta minore di sinistra del Duomo di Milano raffigurante l’Editto di Milano

Noi, dunque Costantino Augusto e Licinio Augusto, essendoci incontrati proficuamente a Milano e avendo discusso tutti gli argomenti relativi alla pubblica utilità e sicurezza, fra le disposizioni che vedevamo utili a molte persone o da mettere in atto fra le prime, abbiamo posto queste relative al culto della divinità affinché sia consentito ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità”.

È il 13 giugno 313. Sono passati otto mesi dalla Battaglia di Ponte Milvio, e da quell’In Hoc Signo Vinces che ha cambiato la storia e la religione, anche se poi non si è capito mai che segno fosse esattamente. Una croce secondo la leggenda, il cristogramma secondo la storia, un meteorite o una congiunzione di pianeti secondo gli astronomi. L’integrazione religiosa, più probabilmente, secondo il primo imperatore cristiano.

Tra i sovrani più ambiziosi dell’intera storia romana, Costantino era nato nel 274 dall’unione di Costanzo Cloro e della sua concubina Elena ed era cresciuto in Oriente alla corte di Diocleziano, durante la tetrarchia che vedeva l’impero amministrato da due cesari e da due augusti.
Dopo la morte del padre – cesare, e in seguito augusto di Occidente – nel 306 Costantino era stato acclamato dalle sue milizie suo successore. Ne erano seguite guerre che avevano visto il pretendente allearsi con Licinio contro Massenzio e Massimino Daia.

Approfittando del vuoto di potere lasciato dai due tetrarchi di Occidente (che avevano scelto come capitali Treviri e Milano) il generale Massenzio era diventato il padrone di Roma, dove era rimasto solo il Senato e, dopo una serie di battaglie, il 28 ottobre 312 Costantino lo aveva battuto definitivamente a Ponte Milvio, assumendo il controllo di tutta l’Italia.

Secondo la tradizione, quando era ancora a Torino, Costantino si era rivolto in preghiera all’“unico Dio” e poco dopo mezzogiorno era stato testimone dell’apparizione di un incrocio di luci sopra il sole con la scritta ἐν τούτῳ νίκα, ovvero “Con questo vinci”.

Nella notte successiva gli era apparso Cristo, ordinandogli di adottare come proprio vessillo il segno che aveva visto in cielo. Nei giorni successivi Costantino aveva chiamato dei sacerdoti cristiani per essere istruito sulla religione il cui contenuto gli era ancora ignoto.

Testa di Costantino, conservata nel cortile del Palazzo dei Conservatori, presso i Musei capitolini a Roma

In battaglia Costantino aveva quindi fatto precedere le proprie truppe dal labaro imperiale con il monogramma di Cristo, formato dalle lettere XP (che sono le prime due lettere greche della parola “Christòs”) sovrapposte. Sotto queste insegne i soldati avevano sconfitto l’avversario: Massenzio, pagano, era affogato nel crollo di Ponte Milvio che lui stesso aveva fatto costruire, e il nuovo imperatore si era convertito al cristianesimo. Almeno secondo la tradizione: in realtà Costantino si sarebbe fatto battezzare solo 25 anni dopo e per tutta la vita avrebbe mantenuto una certa ambiguità sotto il profilo religioso.

Quel che è certo, comunque, è che Costantino – in quell’occasione – aveva rifiutato di consultare gli aruspici prima della battaglia, e quando era entrato a Roma in trionfo aveva evitato di salire in Campidoglio, dove si trovava il tempio più sacro degli dei pagani.

Oggi esistono le più disparate ipotesi riguardo a ciò che l’imperatore avesse visto a Torino (alcuni hanno ipotizzato una congiuntura tra pianeti chiamata “La croce del cigno”) e quale fosse esattamente il significato di quella frase passata alla storia in latino anche se in realtà fu pronunciata in greco.
In molti sostengono che Costantino non affidasse le sorti della battaglia a Gesù Cristo ma al Dio Sole (il cui simbolo – una croce sovrapposta ad una X con al centro un cerchio – assomiglia molto al monogramma di Cristo). Ma per lui, Costantino, questo non faceva molta differenza. La differenza, per l’imperatore, stava piuttosto tra l’Olimpo degli Dei e il Dio unico e onnipotente che aveva scelto di venerare.

Aveva smesso di crederci da anni, Costantino, in Giove, Giunone, Marte e tutte le favole dell’Olimpo. Aveva smesso di partecipare ai sacrifici per Saturno e per tutti gli altri dei. Solo superstizione, pensava. Nessuno ci credeva veramente in quelle storie, in quei pettegolezzi sulle divinità. Era ormai chiaro a tutti che si trattava di un mondo divino fatto a misura di quello umano; con bugie, tradimenti, rivalità e guerre. Erano solo storie da raccontare e i sacrifici semplici scongiuri per cacciare la cattiva sorte.

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Moneta di Costantino, con una rappresentazione del Sol Invictus e l’iscrizione SOLI INVICTO COMITI, “al Sole Invitto compagno

Ma il Sole no, quello era un Dio vero: era completamente diverso dagli altri dei, e completamente diverso dagli uomini. Lui era là, nella sommità del cielo. Tutti gli uomini lo potevano vedere, e tutti gli uomini ne sperimentavano ogni giorno la potenza.

A lui gli uomini dovevano la luce e il calore. Senza di lui non crescevano piante, non nascevano gli animali. Senza di lui l’uomo era perduto. Il freddo lo assaliva e nelle tenebre non poteva muoversi, non poteva difendersi dai pericoli né vedere quello che lo circondava.

Quanto più lui era lontano tanto più la vita era difficile per l’uomo. Durante l’inverno si allontanava e il freddo aumentava e le ore di luce erano più corte e il cibo non c’era.

Era un Dio strano. La cosa più bella e potente che si potesse ammirare nella volta celeste. Eppure ogni giorno si spegneva lentamente, scendeva dalla vetta del cielo e cadeva sotto la terra, e moriva. E ogni giorno resuscitava sorgendo all’orizzonte per salire ancora sul suo trono nel cielo.
Una passione e una gloria che si rinnovavano ogni giorno, ogni anno. Ogni notte la Luna si faceva portatrice della speranza in un giorno nuovo, ogni giorno l’appassire della luce era l’annuncio di una notte che sarebbe arrivata. Ogni estate si passava nel calore e nella luce aspettando con timore il gelo dell’inverno. Ed ogni duro inverno si affrontava coraggiosamente nella certezza di una nuova estate.

Aureliano aveva consacrato ufficialmente il tempio del Sol Invictus nel 274, gli aveva dedicato la festa del 25 dicembre e ne aveva fatto la principale divinità del pantheon romano. Con il passare del tempo il giovane Costantino, nato insieme al Sole Invitto, ne era diventato sempre più devoto: amava partecipare ai culti nel tempio, osservare i canti e le preghiere che salivano insieme al fumo dei sacrifici fino a raggiungere il cielo, che avrebbe ringraziato donando agli uomini una nuova primavera, ancora luce, ancora caldo, ancora vita, ancora speranza.

Che fosse il segno di Cristo o quello del Sole ad avergli donato la vittoria a Ponte Milvio, allora, cambiava davvero poco.

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Moneta di Costantino (ca.327) con la rappresentazione del monogramma di Cristo sopra il labaro imperiale

In fondo Costantino non ci vedeva molta differenza: Cristo, come il sole, viveva ciclicamente una storia fatta di gloria, passione, morte e resurrezione. E il Dio dei cristiani era unico, padre e onnipotente, esattamente come quello la cui protezione aveva invocato scendendo nella Città Eterna.

Nel frattempo già da un anno l’imperatore Galerio aveva emanato un editto con cui si metteva fine alla più feroce e sanguinosa persecuzione dei cristiani, avviata da Diocleziano nel 303.

Diocleziano era stato un imperatore particolarmente conservatore sotto il profilo religioso, anche se ad istigarlo contro i cristiani era stato – in realtà – lo stesso Galerio, al tempo suo vice. In un primo momento la persecuzione aveva riguardato solo l’eresia dei manichei, religione “straniera” arrivata dall’Oriente e accusata di fomentare disordine e instabilità, mentre la persecuzione contro il cristianesimo nel suo complesso era iniziata il 17 novembre 303 con la tortura e l’esecuzione del diacono Romano di Cesarea, colpevole di aver rifiutato di compiere atti divinatori.

Diocleziano in un primo momento aveva pensato di limitarsi ad impedire ai cristiani di ricoprire incarichi politici e militari, ma Galerio lo aveva convinto della necessità di un vero e proprio sterminio, se si voleva scongiurare l’ira degli dei indignati per l’empietà della nuova setta arrivata dalla Palestina e sempre più diffusa a Roma.
I cristiani, sosteneva Galerio, avevano creato uno Stato nello Stato, che era governato da proprie leggi e magistrati, possedeva un tesoro e manteneva la coesione grazie all’opera dei vescovi che dirigevano le diverse comunità dei fedeli cui erano preposti attraverso decreti cui si obbediva ciecamente; occorreva, quindi, intervenire prima che il Cristianesimo contaminasse irrimediabilmente i ranghi dell’esercito. Il Potere doveva abbattere quel contropotere che rifiutava qualsiasi assimilazione.
Secondo la tradizione, lo stesso Apollo avrebbe confermato la necessità di un intervento drastico, perché la presenza di “empi” gli impediva – secondo l’oracolo – di fornire il proprio aiuto.

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Icona ortodossa bulgara con l’imperatore e la madre Elena e la vera croce

Il 23 febbraio 303 a Nicomedia, capitale dell’impero d’Oriente, era stato affisso un editto che disponeva il rogo dei libri sacri, la confisca dei beni delle chiese e la loro distruzione, il divieto per i cristiani di riunirsi e di tentare qualunque tipo di difesa in azioni giuridiche, la perdita di carica e privilegi per i cristiani di alto rango, l’impossibilità di raggiungere onori ed impieghi per i nati liberi, e di poter ottenere la libertà per gli schiavi, oltre che l’arresto di alcuni funzionari statali.
Dopo un paio di attentati subiti dalla residenza di Diocleziano, poi, la persecuzione era diventata ancora più feroce: arresti, torture ed esecuzioni erano aumentate in modo esponenziale in Oriente e a Roma, mentre in Britannia il padre di Costantino era stato molto meno intransigente.

Quel che certo è che l’azione di Diocleziano aveva fallito miseramente. Il cristianesimo era uscito rafforzato dalle persecuzioni: i martiri erano divenuti modelli di fede ancora oggi venerati, mentre gli stessi pagani avevano finito per solidarizzare con le vittime di questa “pulizia religiosa”.
Nel 305 Diocleziano – caso unico nella storia dell’impero romano – si era dimesso spontaneamente lasciando il posto allo stesso Galerio, che aveva portato avanti, seppure in modo intermittente, le persecuzioni fino al 311, quando aveva firmato la resa a Sofia con un editto a nome di tutto il collegio tetrarchico pubblicato il 30 aprile e nel quale si legge:

“Considerando la nostra benevolenza e la consuetudine per la quale siamo soliti accordare il perdono a tutti, abbiamo ritenuto di estendere la nostra clemenza anche al loro caso, e senza ritardo alcuno, affinché vi siano di nuovo dei cristiani e si ricostruiscano gli edifici nei quali erano soliti riunirsi, a condizione che essi non si abbandonino ad azioni contrarie all’ordine costituito”.
“Con altro documento – prosegue il testo – daremo istruzioni ai governatori su ciò che dovranno osservare. Perciò, in conformità con questo nostro perdono, i cristiani dovranno pregare il loro dio per la nostra salute, quella dello Stato, e di loro stessi, in modo che l’integrità dello Stato sia ristabilita dappertutto ed essi possano condurre una vita pacifica nelle loro case”.

Quelle istruzioni, in realtà, non erano mai state emanate a causa della morte di Galerio. Per questo nel febbraio del 313 i due padroni dell’impero si erano riuniti a Milano per discuterle e firmare un documento congiunto.

Diocleziano, ritiratosi in una splendida villa a Spalato, in quello stesso periodo aveva ricevuto l’invito alle nozze tra Costanza, sorella di Costantino, e Licino, succeduto a Galerio come imperatore d’Oriente.
Diocleziano morirà, significativamente, proprio alla vigilia dell’Editto di Milano con cui Costantino e Licino formalizzano la sua sconfitta sdoganando ufficialmente e definitivamente la religione cristiana nell’impero romano.

È stato soprattutto Costantino ad insistere per la riabilitazione dei cristiani; d’altra parte le sue simpatie per la Chiesa non sono certo un segreto. Licinio, al contrario, è rimasto fedele alla religione tradizionale ma ha capito che la pace religiosa è fondamentale per la stabilità dell’impero. Tanto più nella sua parte di impero, che è quella dove le persecuzioni sono state più spietate e dove i cristiani sono ancora oggetto di discriminazione e forme di intolleranza: lo stesso Massimino Daia, suo rivale, ha ricominciato le esecuzioni capitali nei territori sotto la sua giurisdizione. Licinio, da parte sua, sconfitto Massimino ad aprile ha consentito ai cristiani di costruire luoghi di culto e ha restituito loro tutti i beni confiscati.

Se non puoi batterli – pensano entrambi gli imperatori – fatteli amici. L’integrazione dei cristiani, e del loro sistema di potere, all’interno dell’impero non può prescindere dalla loro emancipazione.

Più che l’avvio di una cristianizzazione dell’impero, comunque, l’Editto di Milano rappresenta un modello di integrazione: se nel testo si parla apertamente di libertà religiosa per i cristiani si aggiunge anche che la stessa deve essere garantita ai fedeli di qualsiasi altro credo e il riferimento religioso è ad una divinità generica – “qualunque essa sia” – della quale si invoca la protezione.

Costantino non ha nessuna intenzione di cambiare gli equilibri religiosi nell’impero; un impero in cui il 90% della popolazione segue ancora i culti tradizionali pagani. Al contrario, l’imperatore un equilibro religioso lo vuole creare: non vuole più che la fede possa rappresentare un elemento di tensione, di divisione, di discriminazione, di conflitto. La pace romana passa per la libertà e l’integrazione. E di questa pace e integrazione è lui stesso – Costantino – il garante. Non a caso, pur avvicinandosi sempre più apertamente al cristianesimo, mantiene l’incarico di Pontefice Massimo della religione tradizionale, fa costruire templi pagani e promuove con sempre maggiore forza il culto del Sole.

Paradossalmente, mentre convoca e presiede a Nicea il primo grande Concilio Ecumenico chiamato a dibattere di questioni teologiche sulla natura di Cristo e ad affermare una dottrina unica, chiara e definitiva per tutta la Chiesa espellendo gli eretici, Costantino persegue un sincretismo che fonda insieme il culto di Cristo, quello di Mitra e quello del Sole in un’unica religione in cui possano riconoscersi tutti i cittadini romani.

In particolare a Costantino interessa identificare Cristo con il sole: non a caso sceglie la festa del Sole invitto – il 25 dicembre – come data del Natale e la domenica come giorno festivo della settimana, chiamandola però “Giorno del Sole”, mentre assegna gli altri 6 giorni alle vecchie divinità pagane della Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere e Saturno.

Istambul, Eminonu/Fatih; Coluna de Constantino / Cemberlitas

La colonna di Costantino a Istanbul

D’altra parte la crisi sociale dell’impero e l’influsso delle spiritualità orientali hanno messo in crisi ormai già da tempo l’antico sistema religioso romano e si è andato diffondendo un sincretismo venato di monoteismo che tende a vedere nelle immagini degli dei tradizionali l’espressione di un unico essere divino. Il modello religioso di Costantino, dunque, è quello di una pluralità di riti nell’unità di Dio. Un Dio che può assumere diversi nomi ma che resta padre, protettore e onnipotente.

Nel 316, durante la guerra contro lo stesso Licinio per assumere il controllo di tutto l’impero, Costantino farà dedicare le monete “Al Sole Invitto, ministro del Signore” anche se – nel frattempo – in alcune lettere private scrive di voler convertire tutto il mondo al cattolicesimo.

Più che cristiano, dunque, Costantino – almeno pubblicamente – è un convinto monoteista e un grandioso promotore di ecumenismo, che cerca di unificare le fedi affini e di rispettare anche le altre. Con una sola eccezione: l’ebraismo. Mentre emancipa i cristiani, infatti, l’imperatore tende ad emarginare sempre di più i “fratelli maggiori” che – al contrario – negli ultimi secoli si erano perfettamente integrati nella società romana. Nel corso del Concilio di Nicea l’imperatore prende le distanze da qualsiasi celebrazione comune della Pasqua mentre l’anno dopo – nel 326 – emanerà una legge che proibisce agli ebrei di convertire e circoncidere i loro schiavi. Paradossalmente è proprio questo grande promotore di tolleranza, libertà ed ecumensimo a gettare le basi dell’antisemitismo che avvelenerà l’Europa per secoli.

La sintesi più sublime della politica religiosa di Costantino resta ancora oggi la colonna fatta erigere nella nuova capitale da lui fondata, Costantinopoli, realizzata in porfido proveniente da Eliopoli in Egitto, la “città del sole”.
Sotto il suo basamento, secondo la tradizione, vengono seppelliti il Palladio (il più importante simulacro propiziatorio della religione romana) e alcuni frammenti della croce di Cristo ritrovata da sant’Elena in Palestina, mentre sulla sommità è posta una statua raffigurante l’imperatore in veste di divinità solare con lo sguardo rivolto al sole nascente, sulla testa una corona a sette raggi e sulla mano destra il globo con la croce. Con un’iscrizione che recita “Costantino, che splende come il sole”. Insieme divino e devoto.

Arnaldo Casali