L’elezione di Gregorio VII

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Gregorio VII (1020/25-1085) ritratto in una miniatura del secolo XI

Ildebrando di Sovana, eletto papa il 22 aprile 1073 con il nome di Gregorio VII, scrisse la storia della Chiesa ben prima di salire sul soglio di Pietro. Combatté eresie, elaborò riforme moralizzatrici e orientò anche la stessa elezione e il pontificato dei suoi predecessori.

Ildebrando Aldobrandeschi era nato nel piccolo borgo toscano in provincia di Grosseto, intorno al 1020. A differenza dei suoi “colleghi” non veniva da una stirpe ricca e potente ma da un’umile famiglia. Dotato di grande intelligenza, temperamento energico e spiccato senso politico, si era fatto notare ben presto a Roma.

Ancora giovanissimo era entrato nel monastero di Santa Maria sull’Aventino dove suo zio era abate, dimostrando una forte personalità e ansia di rinnovamento per una Chiesa che appariva ormai completamente allo sbando.
“La cupidigia – lamentava san Pier Damiani – domina tutti e li fa schiavi. Il mondo presente non è che una fogna di invidie e di laidezze. Se le guide vengono a cadere, se la condotta dei preti è più perniciosa di quella dei laici, facilmente e fatalmente chi la seguirà cadrà dietro a loro”.

D’altra parte ormai, dai tempi della pornocrazia della “papessa” Marozia il trono di Pietro ha perso qualsiasi dimensione spirituale ed è diventato oggetto di scontri tra le grandi famiglie romane. Basti pensare che Teofilatto dei conti di Tuscolo – discendente di Marozia – diventa papa, con il nome di Benedetto IX, per ben tre volte. La prima nel 1032, quando ha appena 12 anni. Nel 1045, la sua condotta licenziosa e riprovevole ha talmente esasperato gli animi dei romani da suscitare una sommossa popolare. Istigata dai Crescenzi, nemici storici dei conti di Tuscolo, la rivolta porterà alla deposizione di Benedetto IX e alla elezione di di Silvestro III, detronizzato a sua volta dopo 50 giorni di pontificato dallo stesso Benedetto. Il quale, dopo soli 20 giorni, decide però di vendere il titolo a suo cugino Giovanni dei Graziani, che assume il nome di Gregorio VI.

A dispetto della modalità con cui ha assunto il potere, Giovanni è un ecclesiastico molto virtuoso e, scandalizzato dal comportamento del cugino, gli ha offerto una grossa somma di denaro in cambio delle dimissioni, d’accordo con il clero romano e con il preciso obiettivo di riportare la moralità sul trono di Pietro.

Insomma, per una volta si è trattato di “simonia a fin di bene”, attuata per debellare lo scandalo e lo scempio che papa Benedetto stava facendo della sede di San Pietro. Non a caso, se l’elezione di Gregorio suscita il plauso di Pier Damiani (“finalmente la colomba era tornata all’arca con il ramo d’ulivo”) come suo cappellano il nuovo papa sceglie proprio l’irreprensibile Ildebrando di Soana.

Enrico III

Enrico III, detto il Nero, in una miniatura del secolo XI

Ma al Sinodo di Sutri, convocato il primo maggio 1045 su richiesta dell’imperatore Enrico III, il papa confessa pubblicamente, “in buona fede e semplicità”, di aver comprato il soglio dal predecessore. Sarà costretto ad abdicare ed esiliato in Germania e passerà il resto dei suoi giorni nel monastero di Cluny, con il fedele Ildebrando.

Dopo la morte dell’ex papa nel 1047, il giovane monaco toscano prosegue gli studi a Colonia ed entra in contatto con i circoli più vivi della riforma ecclesiastica, dove conosce anche Brunone Egisheim-Dagsburg, parente dello stesso imperatore e vescovo di Toul.

Intanto proprio un tedesco – Suitgero dei signori di Morseleben e Hornburg – è diventato papa con il nome di Clemente II.

Per svincolare il potere papale dalle nefaste influenze delle famiglie patrizie romane, Clemente stabilisce che l’elezione al soglio pontificio dovrà partire da una designazione imperiale. È come passare dalla brace alla padella. Una “padella” che i successori di Clemente lotteranno a lungo per abbandonare.

Nel 1047 il papa accompagna l’imperatore in Germania e qui muore lasciando campo libero ai Conti di Tuscolo, che impongono ancora una volta il redivivo Benedetto IX. Anche in questo frangente, il tre volte papa si lascia convincere a dimettersi da un santo uomo,Bartolomeo, abate di Grottaferrata. Stavolta, però, senza soldi ma con un sincero pentimento. E una morte che – a scanso di equivoci – lo coglie poco dopo le dimissioni.

La successione non si rivela semplice: Aliardo, vescovo di Lione – segnalato da Enrico III – rifiuta. Accetta Poppone, vescovo di Brixten, con il nome di Damaso II, che morirà di febbre malarica dopo appena 23 giorni di pontificato.

Enrico allora, decide di convocare “in casa” – a Worms – un congresso di principi e di vescovi e fa eleggere Brunone, suo stretto collaboratore ma anche prelato intransigente e promotore dell’indipendenza del potere spirituale da quello temporale.

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Leone IX in una immagine della Collectio leonina (sec. XI), biblioteca municipale di Berna

Brunone mostra subito di che pasta è fatto accettando l’incarico solo a condizione che ad eleggerlo siano – formalmente – il popolo e il clero romano. Chiama al suo fianco Ildebrando e insieme partono il giorno di Natale a piedi, vestiti come semplici pellegrini, alla volta di Roma, dove arrivano nel febbraio del 1049. “Sarei felice di ripartire se la mia elezione non fosse approvata dal vostro consenso unanime” dice Brunone al clero romano riunito, che lo incorona con il nome di Leone IX.

Il futuro santo inizia un’opera di moralizzazione dell’ambiente ecclesiastico lottando contro la simonia e il concubinaggio, percorrendo l’Europa in lungo e in largo, convocando ovunque sinodi e richiamando tutti alla disciplina e alla rettitudine. Impone il celibato ai preti e organizza un esercito per combattere i Normanni, che in Italia meridionale hanno sottratto territori alla Chiesa e si sono abbandonati al saccheggio di parrocchie e monasteri. Conduce personalmente le truppe pontificie, tanto da essere sconfitto e fatto prigioniero nel 1053. Intanto ha mandato Ildebrando in Francia per dirimere la controversia sulla natura dell’eucarestia, suscitata dal teologo Berengario di Tours.
Berengario nega infatti che durante la messa il pane e il vino diventino effettivamente corpo e sangue di cristo (la cosiddetta “transustansazione”) e afferma che ne sono solo il simbolo. La sua tesi viene condannata a Vercelli nel 1050 e a Parigi nel 1051, anche se la transustansazione diventerà un dogma di fede solo nel 1215.

Nel frattempo i rapporti con il patriarca di Costantinopoli sono ormai ai ferri corti. Ildebrando è ancora in Francia e il papa deve mandare l’assai meno diplomatico Umberto da Silvacandida, che fallirà miseramente la missione. Ormai lo scisma d’Oriente è imminente e Leone non potrà fare nulla per scongiurare la spaccatura tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa, perché morirà proprio durante le trattative.

Per discutere la successione con l’imperatore, i romani mandano in Germania l’inossidabile Ildebrando e, dopo un anno, la scelta cade su Geberardo dei conti di Dollstein-Hirschberg. Come Leone, anche lui è parente di Enrico III, del quale è stato anche il cancelliere. Assumerà il nome di Vittore III, dopo il consenso del popolo di Roma chiesto da Ildebrando.

Vittore III (Desiderius di Montecassino)

Vittore III (Desiderius di Montecassino)

Con l’aiuto di Ildebrando, suo fidato consigliere, Vittore inizia una vasta azione di riforme delle istituzioni, dei conventi e del clero continuando l’opera di Leone IX. L’obiettivo rimane sempre lo stesso: debellare la piaga della simonia e del concubinaggio, ma al tempo stesso anche limitare l’influenza dell’imperatore sulle questioni ecclesiastiche, a cominciare dall’elezione dello stesso papa, per il quale l’ex cancelliere rivendica ampia autonomia.

Vittore affida proprio a Ildebrando la riforma della Curia, e per sottrarla all’interferenza laica tanto delle famiglie romane quanto dell’imperatore, potenzia il ruolo dei dignitari del clero romano: diaconi, preti e vescovi detti “cardinali”, perché cardini della Diocesi di Roma.

Si vede già all’orizzonte la lotta per le investiture, ma i rapporti tra i due vertici d’Europa sono ancora ottimi: è proprio Vittore, infatti, ad assistere in punto di morte l’imperatore Enrico III, dal quale riceve in affidamento il piccolo Enrico IV.

Dopo la morte di Vittore i romani eleggono Federico di Lorena, che diventa papa Stefano IX senza alcuna designazione né approvazione imperiale. Il nuovo papa manda in Germania Ildebrando non solo per ottenere la benevolenza dell’imperatrice Agnese, ma anche per combattere il traffico delle dignità e delle cariche ecclesiastiche in terra tedesca. Quando il nostro torna a Roma, però, trova un altro pontefice: Stefano è morto nel 1058 e nonostante al capezzale abbia fatto giurare all’abate di Cluny Ugo e a tutti i cardinali presenti che non avrebbero eletto il suo successore prima del ritorno di Ildebrando, i nobili romani insediano velocemente Giovanni Mincio (ovvero “minchione”), della famigerata famiglia dei conti di Tuscolo e nipote di Benedetto IX, al quale rende omaggio scegliendo il nome di Benedetto X.

Contro l’eletto si solleva subito buona parte del cardinalato. Lo stesso san Pier Damiani, che in quanto vescovo di Ostia deve procedere alla consacrazione, si rifiuta definendolo un ignorante. È proprio Ildebrando, tornato dalla Germania, a prendere in mano la situazione: con una coalizione ecclesiastica e politica, il 18 aprile 1058 elegge Gerardo di Chevron e qualche mese dopo depone e scomunica Benedetto, facendone un antipapa.

Niccolò II, nato Gerard de Bourgogne (Chevron, 980 circa – Firenze, 27 luglio 1061), fu papa della Chiesa cattolica dal 24 gennaio 1059 alla sua morte.

Il nuovo pontefice, Niccolò II – coadiuvato da Pier Damiani e, ovviamente, da Ildebrando – continua la riforma della Chiesa: proibisce ancora una volta ai preti di prendere moglie e intima a chi ce l’ha di abbandonarla pena il decadimento, combatte strenuamente ogni forma di simonia e non tollera l’investitura dei vescovi da parte dei laici senza l’autorizzazione papale.

Ma la più importante riforma di Niccolò è quella che istituisce il Conclave per l’elezione del papa: il decreto “In nomine domini”riserva infatti l’elezione del sommo pontefice ai soli cardinali e elimina ogni interferenza da parte del clero, dei feudatari, del popolo romano e dell’imperatore, a cui viene riconosciuto il solo diritto di conferma.

La reazione tedesca è durissima: viene convocato addirittura un altro concilio che dichiara nulle le decisioni prese a Roma e il papa per difendere la “Liberatas Ecclesiae” è costretto ad allearsi con Roberto il Guiscardo, re dei Normanni.

Intanto Ildebrando deve occuparsi anche del ribelle Benedetto, che fa imprigionare nell’ospedale di Sant’Agnese e processare nuovamente. L’ex papa confessa di essere stato costretto ad accettare un’elezione non voluta e ammette tutte le sue colpe, ma si riconcilierà con Ildebrando solo poco prima di morire, nel 1074.

Nel 1061 Niccolò muore e Ildebrando – ormai indiscusso regista della politica vaticana – guida l’elezione di Anselmo da Baggio, che diventa papa Alessandro II e segue l’impostazione che il cardinale di Soana ha dato alla riforma curiale.

Alessandro dovrà fronteggiare l’antipapa nominato dall’imperatore Enrico IV, il vescovo di Roma Cataldo alias Onorio II, per quasi tutta la durata del suo pontificato. Lo scontro con il Sacro Romano Impero è ormai aperto e sono anni di guerre, sinodi, spargimenti di sangue e alleanze politiche, durante i quali Roma può contare sull’appoggio del re d’Inghilterra Guglielmo il Conquistatore e della Chiesa spagnola, fino a poco prima ostile.

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La piazza del Pretorio di Sovana, nel grossetano, dove nacque Gregorio VII

La goccia che farà traboccare il vaso è la morte dell’arcivescovo di Milano Guido da Velate: Enrico IV, infatti, nomina vescovo Goffredo da Castiglione, mentre il papa sceglie Attone. È ’ iniziata ufficialmente la lotta per le investiture.

Alessandro II muore il 21 aprile 1073 e il giorno dopo, durante il suo funerale, il popolo romano acclama come suo successore lo stesso Ildebrando, riprendendosi a forza quel ruolo che gli era stato tolto dal decreto pontificio che proprio Ildebrando aveva elaborato.

Si è tornati, però, all’antico “furor di popolo” come non si vedeva dai tempi di Gregorio Magno, senza manipolazioni da parte delle famiglie romane. Per questo i cardinali, che condividono totalmente la scelta, approvano subito l’elezione e la formalizzano: il 22 maggio il monaco riceve l’ordinazione sacerdotale e il 30 giugno la consacrazione a vescovo di Roma con il nome di Gregorio VII.

Ildebrando Aldobrandeschi di Soana ha cinquant’anni, da venti governa la Curia romana con un ruolo da protagonista, ha lavorato a fianco di 8 papi e ne ha scelti almeno due: è già uno degli uomini più importanti dell’intera storia della Chiesa. Eppure il meglio deve ancora venire.

Arnaldo Casali