Europa è un termine proveniente dal mondo della mitologia antica – letteralmente significa “grandi occhi” -; esso designava infatti il nome di una figlia del re di Tiro, rapita da Zeus che avrebbe avuto da lei tre figli: Minosse, Radamante e Sarpedonte, fondatori della civiltà minoico-cretese. Con il tempo gli storici e geografi greci utilizzarono il termine Europa per indicare le terre poste a nord di Creta, in contrasto con l’Asia, vale a dire le regioni poste a Oriente.
Con questa accezione geografica il termine si diffonde nel corso dell’età medievale venendo immortalato nelle Etimologie di Isidoro di Siviglia (560 circa-636), opera enciclopedica in venti volumi che raccoglie e condensa tutto il sapere su cui gli uomini medievali baseranno a lungo la loro visione del mondo.
Secondo la tradizione veterotestamentaria l’orbe terrestre era diviso in tre parti : Asia, Africa ed Europa, ognuna delle quali era stata popolata dalla discendenza di uno dei tre figli del patriarca Noè, vale a dire Sem, Cam e Iafet (Genesi 10).
Nel quattordicesimo libro dedicato alla Terra e le sue parti, Isidoro elenca dunque le province europee.
Seguiamo il suo sguardo che con una visuale panoramica abbraccia il continente europeo a lui noto: Scizia inferiore, Germania (superiore e inferiore), Mesia, Tracia, Grecia, Dalmazia, Caonia (Epiro), Attica, Beozia e Peloponneso, Tessaglia, Macedonia, Acaia, Arcadia, Pannonia, Istria, Italia, Gallia (Belgica, Cisalpina, Transalpina), Rezia, e infine l’Hispania (Citeriore e Ulteriore), vale a dire le regioni in cui egli vive e opera. Come si può notare il concetto geografico di Europa tramandato dal dotto vescovo sivigliano è fortemente legato alla tradizione storico-etnografica greca: ampio spazio è dato alle regioni elleniche, mentre la parte settentrionale del continente sfuma in una serie di descrizioni in cui dominano gli elementi naturali ostili all’uomo, come le paludi e le foreste, dove campeggiano bestie selvatiche (bisonti e alci su tutti).
Vista la concezione geografica dell’Europa degli uomini nei primi secoli dell’età medievale occorre ora comprendere il momento in cui nasce la consapevolezza dell’essere europei.
Si tratta di un problema alquanto spinoso vista la grande fluidità degli etnonimi ai quali in questi secoli si fa ricorso; essi sono spesso condizionati dalla tradizione antica e da una serie di giudizi e valutazioni più o meno implicite, talvolta aliene da sentimenti di imparziale scientificità.
Può dunque succedere che gli Unni siano definiti nelle fonti come Sciti, o viceversa che gli Avari siano chiamati Unni.
Si tratta di un problema che impone cautela nel momento in cui, verso la metà dell’VIII secolo si assiste in una cronaca della penisola iberica all’utilizzo per la prima volta del termine Europenses per indicare l’esercito guidato dal maggiordomo di palazzo Carlo Martello che aveva respinto nel 732 una delle tante incursioni islamiche provenienti a quell’epoca dalla penisola iberica. Mettendo da parte il significato più o meno “storico” della battaglia di Poitiers, reso celebre dall’affermazione dello storico britannico Edward Gibbon secondo cui le armate franche garantirono la fine dell’espansione musulmana in Europa impedendo in questo modo – a dire dello studioso anglosassone – che l’insegnamento del Corano fosse impartito nelle aule universitarie di Oxford, appare chiaro il carattere oppositivo dell’etichetta etnica Europei che si afferma in contrasto con un “identità altra” percepita come una realtà estranea.
Questo appare certamente lo sviluppo più rilevante del concetto di Europa in età medievale: da accezione prevalentemente geografica, essa assume progressivamente anche una caratterizzazione valutativa.
Di fronte il nemico musulmano, destinato con il tempo a diventare l’Altro per eccellenza, gli intellettuali sin dall’età carolingia verranno a caratterizzare l’aggettivo europeo di tutta una serie di connotazioni positive, fede cristiana su tutte.
Ecco che si assiste allora, da parte dei poeti di corte, all’utilizzo di espressioni per indicare Carlo Magno quale “pater Europae” o “Europae venerandus apex”, nell’intento di caratterizzare meglio la vocazione continentale del carolingio che si pone sempre di più a fianco del Papato romano.
Per comprendere le ragioni profonde di tale operazione politica e ideologica molto raffinata occorre ricordare che l’Impero franco si costituì in opposizione con le tradizioni dominanti nel mondo bizantino che aveva interiorizzato al suo interno l’eredità di Roma antica; i sovrani bizantini erano i diretti continuatori degli imperatori romani e i loro sudditi solevano definirsi Romaioi, vale a dire Romani.
Nessuna soluzione di continuità aveva sciolto il legame millenario con l’esperienza romana e Costantinopoli poteva a ragione fregiarsi del titolo di “seconda Roma”, continuatrice della missione civilizzatrice dell’Urbe.
Di fronte un simile patrimonio ideologico i Carolingi – o meglio, gli intellettuali provenienti da tutte le regioni europee (Spagna, Isole britanniche, penisola italica) che gravitavano nella corte franca e che condivisero con la dinastia carolingia una politica culturale di grande respiro – dovettero fare ricorso a un filone ideologico diverso, ma ben attestato nella tradizione classica da cui ‘pescare’ nuovi temi.
Da tutte queste considerazioni scaturì quindi il forte investimento sul concetto d’Europa. Esso diventò un contenitore ideologico nel quale si esprimeva l’ampiezza degli orizzonti della dinastia carolingia, destinato a ricoprire un ruolo chiave nella storia futura del nostro continente.
Non è un caso che il trattato di Verdun dell’843 che sancì la divisione dell’Impero carolingio tra i regni dei nipoti di Carlo Magno diede il via al delinearsi di alcune aree geopolitiche che avrebbero contraddistinto la futura cartina politica europea.
L’area sotto il controllo Carlo il Calvo divenne il nucleo della futura Francia, quella di Ludovico il Germanico la culla della futura Germania, mentre quella di Lotario I avrebbe dato vita a Olanda, Belgio, Svizzera e Italia, vale a dire l’area geografica all’incirca approssimativamente coincidente con la culla dell’attuale Unione Europea (ricordiamo che i sei paesi fondatori furono Belgio, Germania occidentale, Lussemburgo, Francia, Italia e Paesi Bassi).
Si tratta di legami che nel XX secolo le stesse autorità politiche europee hanno in più occasioni ripreso, come avvenuto nel 1965 quando sotto gli auspici del Consiglio d’Europa fu organizzata un’imponente mostra ad Aquisgrana per celebrare l’ottavo centenario della canonizzazione di Carlo Magno.
Per concludere, l’età carolingia a cavallo tra i secoli VIII e IX rappresenta il momento chiave che vede affiorare e affermarsi il concetto d’Europa dallo sterminato patrimonio della tradizione classica.
Da termine geografico esso assume una valenza politico-ideologica molto marcata, rivelandosi con il passare del tempo un’espressione di grande efficacia e impatto mediatico (per così dire) perché la sua precedente neutralità lo rendeva facilmente plasmabile.
Il risultato è delineato con estrema lucidità da Gherardo Ortalli: “Due codici interpretativi diversi ormai convivono; accanto ad un’Europa geografica ne esiste una politica, che risponde a requisiti diversi. Incardinata territorialmente (…) la dimensione politica prende corpo anche nel riferimento all’identità religiosa”.
La doppia valenza di Europa, geografica e politico-religiosa nasce dunque in età medievale.
Luigi Russo
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