È la donna con la peggiore reputazione della storia.
Leggende, letteratura, malelingue contemporanee e teatro ottocentesco l’hanno dipinta come cortigiana mondana, incestuosa, assassina e avvelenatrice di mariti. In realtà Lucrezia Borgia non era niente di tutto ciò. Ragazza “di rara e documentata bellezza” (Pietro Bembo conservava un ricciolo dei capelli tra le sue carte), affascinante e astuta, perfetta castellana rinascimentale, abile politica e accorta diplomatica.
La sua colpa fu quella di appartenere alla famiglia più potente, corrotta, sanguinaria e spregiudicata del Rinascimento e di restare coinvolta – più spesso come vittima che come complice – nei mille intrighi del padre e del fratello.
Eppure le tracce che ha lasciato sono tanto memorabili che Ludovico Ariosto la cita nel suo capolavoro mentre a Portaria, in Umbria, le è stata dedicata addirittura un’apposita rievocazione che si svolge ogni anno.
Nata a Subiaco nel 1480 sotto il segno dell’Ariete, Lucrezia è l’unica figlia femmina del cardinale Rodrigo Borgia e di Vannozza Cattenei. I suoi fratelli sono Cesare, Juan e Jofré Borgia.
Viene educata nel convento di San Sisto e affidata alle cure della cugina del padre Adriana Mila. Grazie anche a precettori privati fra cui Carlo Canale (marito di Vannozza) impara lo spagnolo, il francese, l’italiano e un po’ di latino e viene iniziata alla poesia, alla musica, alla danza, al disegno e al ricamo.
Nel 1492 Rodrigo viene eletto papa con il nome di Alessandro VI, senza cambiare minimamente le sue abitudini libertine.
Quando ha undici anni il padre inizia a pensare al matrimonio di Lucrezia; il primo pretendente è lo spagnolo Cherubino Juan de Centelles, ma non se ne fa niente; l’anno successivo Lucrezia viene fatta fidanzare – per procura – con il nobile don Gaspare da Procida. Meno di un anno dopo, però, il papa-papà cambia idea, scioglie il fidanzamento e – quando ha tredici anni – la dà in sposa a Giovanni Sforza con una cerimonia sfarzosa e lasciva: ci sono tutte le nobildonne romane, 12 cardinali, e – secondo i racconti – “il papa presenta cinquanta coppe d’argento piene di confetti, che in segno di grande letizia vengono versati nel seno di molte donne”.
Burcardo, maestro di cerimonie durante il pontificato di Alessandro VI, racconta un altro paio di episodi che alimenteranno il mito di donna perversa e licenziosa: “Il duca di Valentino aveva fatto venire in palazzo cinquanta cortigiane e tutta la notte stettero in voglia di balli e riso: dopo una cena veloce, le cortigiane erano entrate ed avevano iniziato a ballare con servitori e giovani di casa, ‘primo in vestibus suis deinde nude’; a notte fonda Cesare fece mettere in terra i candelabri accesi e le donne nude a carponi dovevano fare a gara per raccogliere le castagne lanciate loro, incitate dal Papa, Cesare e domina Lucretia sorore sua”.
Il secondo episodio narrato dal cerimoniere avviene l’11 novembre 1501, quando da una finestra, Alessandro VI e Lucrezia assistono “cum magno risu et delectatione” ad una selvaggia scena di monta fra quattro stalloni e due giumente.
Il papa-papà pretende di vigilare personalmente alla prima notte di nozze tra la figlia e lo Sforza per verificare che il matrimonio non venga consumato. L’accordo prevede che si aspettino infatti cinque mesi.
I due sposi vivono in un primo tempo a Roma, poi Lucrezia si trasferisce a Pesaro, seguita dall’amante del papa Giulia e dalla suocera.
Quattordicenne, Lucrezia viene raffigurata dal Pinturicchio come santa Caterina d’Alessandria nella Disputa della santa con i filosofi, sotto lo sguardo vigile di suo fratello Juan vestito all’orientale in groppa a un cavallo.
Quando i Borgia, bisognosi di nuove alleanze, non hanno più bisogno degli Sforza, prima tentano di uccidere Giovanni, poi lo accusano di impotenza. Per contro, Giovanni – sostenuto dallo zio Ludovico il moro – accusa Lucrezia di essere l’amante del padre e del fratello. Si rifiuta, però, di acconsentire alla richiesta di avere con lei un rapporto sessuale di fronte a testimoni. Infine – costretto dalla famiglia – accetta l’annullamento del matrimonio in cambio della dote della ragazza, dichiarata illibata (senza in realtà alcun esame).
Intanto Lucrezia è così illibata da essere rimasta incinta del messaggero di Alessandro, Pedro Calderon, e si rifugia in un convento per partorire in segreto.
Tra le tante relazioni sessuali attribuite alla Borgia, questa è l’unica certa e documentata.
Il bambino nasce deforme e viene affidato al fratello Cesare di cui viene dichiarato – con la bolla Illegittime genus che lo chiama “Infante romano” – figlio naturale. Con una bolla successiva, il papa smentisce però la prima e lo dichiara figlio suo. Ben due documenti ufficiali, quindi, attesterebbero rapporti incestuosi di Lucrezia con il padre e il fratello, confermando così – paradossalmente – le accuse di Giovanni Sforza che alimenteranno la leggenda nera della duchessa.
Il 15 giugno 1497 il duca di Gandia, Juan, fratello di Lucrezia, viene ripescato cadavere nel Tevere; subito i sospetti si addensano su Cesare che ha sempre ambito al posto di capitano delle truppe pontificie occupato da Juan. Alcuni invece affermano che Cesare abbia ucciso Juan, perché quest’ultimo era l’amante di Lucrezia e padre dell’infante romano. Ancora una volta, confermando la relazione incestuosa tra i due fratelli. Che, comunque – con o senza sesso – senza dubbio sono legatissimi.
Il 21 luglio 1498 Lucrezia si sposa in seconde nozze con Alfonso D’Aragona, del quale finisce addirittura per innamorarsi. Nel frattempo, però Cesare viene rifiutato da Carlotta d’Aragona e sposa Carlotta d’Albert di Navarra; re Luigi lo nomina duca di Valentinois in cambio del suo aiuto a riconquistare il regno di Napoli. Alfonso, allarmato, si rifugia dai suoi parenti abbandonando Lucrezia, che aspetta un bambino.
Nel 1499 il papa-papà nomina Lucrezia governatrice di Spoleto e Foligno. “Vi prescriviamo, per evitare di incorrere nel nostro dispiacere – scrive il papa ai governanti delle città – di obbedire alla duchessa Lucrezia come alla nostra propria persona e di eseguire i suoi ordini con ardore e con zelo”.
Incinta di 6 mesi, Lucrezia l’8 agosto 1499 parte accompagnata dal fratello Joffré. “Sulla strada per Spoleto, bruciante sotto il sole d’agosto – scrive Giovanni Marredes, grande amico di Cesare Borgia che sorveglia la donna – lentamente cavalcava Lucrezia, nel mezzo di un fulgido corteo. La fulva bellezza della sua ridonante chioma faceva ombra al brillìo dei suoi occhi semichiusi”.
“La figlia del papa – commenta Pompeo De Angelis – aveva 19 anni e sapeva di essere una bambola di pezza nelle mani del padre”.
Il 14 agosto 1499 il corteo fa sosta a Terni – rivale di Spoleto – e Lucrezia è ospitata a Palazzo Mazzancolli, poi si dirige verso la meta facendo il giro largo dei Monti Martani, anziché passare per la Somma, perché la strada breve è infestata dai briganti.
A Portaria i cortigiani indossano gli abiti a cerimonia e in gran gala Lucrezia entra nella rocca di Spoleto, dove viene raggiunta dal marito Alfonso, emette decreti e legifera seguendo le direttive paterne, riuscendo a mantenere la pace con Terni. Mette al mondo anche il suo secondo figlio, che viene chiamato Rodrigo come il nonno. A Spoleto Lucrezia resterà fino al 1502. “La sua reggenza, così breve – scrive De Angelis – non può rappresentare la scrittura di un trattato di buon governo, ma poteva essere un avviso di prudenza per i politicanti della Chiesa”.
Da Spoleto Lucrezia si accorge che le radici delle difficoltà per il padre affondano a Terni, roccaforte della famiglia Colonna, principale avversaria dei Borgia. La città viene così dichiarata ribelle e scomunicata. “Era accaduto che nel pieno del Giubileo del 1500 una grossa armata aveva assalito Cesi dandosi al saccheggio”. Contro i mercenari il papa manda Bartolomeo D’Alviano che li ricaccia dentro le mura. I ternani chiedono perdono al papa e lo ottengono accogliendo Cesare Borgia diretto a Imola.
Intanto la coppia è tornata a Roma, ma deve fronteggiare i ripetuti attentati orditi da Cesare – geloso della sorella – alla vita di Alfonso. Il 15 luglio 1500 l’uomo viene ferito gravemente, ma assistito dai migliori medici del Papa, nonostante le gravi ferite, riesce a guarire. Lucrezia e Sancha, sorella di Alfonso, non si allontanano mai dal capezzale del convalescente. Chiedono una scorta armata a guardia della stanza di Alfonso, lo fanno curare solo da medici arrivati da Napoli e preparano esse stesse il cibo per timore di un avvelenamento. Ma Cesare sibila: “Ciò che non stato compiuto a pranzo, può benissimo essere fatto a cena”. Il 18 agosto Michelotto da Corella, sicario di Cesare, riesce a fare allontanare le due donne e a uccidere finalmente Alfonso.
“La sera stessa – scrive Burcardo – verso la prima ora della notte, il cadavere del duca di Bisceglie fu trasportato nella basilica di San Pietro e deposto nella cappella di Nostra Signora delle Febbri”.
La versione ufficiale parla di una brutta caduta dell’infermo. Ma di fronte alle accuse, Cesare ammette l’omicidio e si giustifica dicendo che il cognato aveva tentato di ucciderlo con un colpo di balestra.
Furiosa con il padre e il fratello, Lucrezia viene colta da un’altissima febbre con delirio e rifiuta persino di mangiare. “Prima, era in grazia del papa madonna Lucrezia sua figlia la quale è savia e liberale, ma adesso il papa non l’ama tanto” scrive l’ambasciatore veneziano Paolo Capello.
Alessandro decide che è meglio far cambiare aria alla giovane vedova: prima la nomina governatrice di Nepi, poi combina un matrimonio con Alfonso d’Este. Lucrezia aveva appena rifiutato quello con il duca di Gravina e al papa che gli chiedeva il perché, Lucrezia – come riferisce il cronista veneziano Sanudo – aveva risposto a gran voce e alla presenza di altre persone: “Perché i miei mariti sono malcapitati”.
È invece lei stessa a partecipare alle trattative con estensi, desiderosa di allontanarsi da Roma e di smarcarsi da una famiglia davvero troppo ingombrante. Per dimostrare le sue doti, Alessandro le affida – nel 1501 – lo stesso governo del Vaticano, in sua assenza.
Nel 1502 Lucrezia – che ha appena 21 anni – si dirige a Ferrara, sua nuova destinazione, dove viene accolta da maldicenze e diffidenza. La cognata Isabella è la più scandalizzata e ostile ma anche lo stesso Alfonso è tutt’altro che entusiasta di questo matrimonio impostogli per interesse dal padre Ercole.
Ciò nonostante, Lucrezia viene ricevuta a Ferrara con una grande festa e riuscirà a farsi apprezzare dalla cittadinanza e dalla corte, a cominciare da Pietro Bembo e Ludovico Ariosto. Con Bembo, in particolare, intesse un rapporto molto intenso fatto di stima e fascino reciproci, incontri e lettere in rima fino ad assumere i contorni di amore appassionato. Bembo è anche l’unico a starle vicino quando muore Alessandro VI e nessuno – eccetto lei – in tutta la corte veste il lutto.
L’incontro con Ariosto avviene invece il giorno stesso delle sue nozze. Il poeta le offre un epitalamio nuziale in latino di ispirazione catulliana nel quale, alternativamente, i romani manifestano il loro cordoglio per la partenza della fascinosa donna e i ferraresi esultano e la acclamano come loro signora.
Secondo il gossip dell’epoca, la prima notte di nozze il matrimonio viene consumato per tre volte. Di certo Lucrezia darà al marito sette figli (tre dei quali moriranno subito il parto) ma sarà ripetutamente tradita. Ne otterrà tuttavia la fiducia: in sua assenza, a lei Alfonso affida infatti la reggenza del ducato.
Quando diventa papa Giulio II della Rovere, acerrimo nemico dei Borgia, Lucrezia scende attivamente sullo scacchiere geopolitico appoggiando il fratello Cesare nelle sue guerre contro il Vaticano, osteggiata pubblicamente (e appoggiata privatamente) dal suocero Ercole. Alla sua morte, nel 1503, diventa duchessa di Ferrara e amministra attivamente il potere, intervenendo anche nelle faide famigliari, come quella che vede contrapposti i cognati Giulio e Ippolito.
Nel 1507 muore Cesare Borgia e Lucrezia, ricevuta la notizia, mostra “prudenza grande” limitandosi a dire: “Quanto più cerco di conformarme con Dio, tanto più me visita de affanni”. In seguito, in onore del fratello fa scrivere un canto funebre, in cui il Valentino viene presentato come l’eroe inviato dalla Divina Provvidenza per unificare la penisola italiana. Nel frattempo ha intessuto una relazione di profonda amicizia – e secondo molti, passione amorosa – con Francesco Gonzaga, marchese di Mantova, che finirà per diventare alleato del papa e nemico degli estensi, rifiutandosi però di muovere loro guerra. I duchi saranno persino scomunicati, ma alla morte di Giulio II il vento torna a soffiare nella direzione favorevole: viene infatti eletto papa Leone X, di cui è segretario particolare proprio Pietro Bembo e la pace torna tra Ferrara e il Vaticano.
Negli ultimi anni di vita Lucrezia vivrà una profonda crisi religiosa e si farà terziaria francescana. “Se per un certo periodo era vissuta da peccatrice – commenta Indro Montanelli – sicuramente morì da santa”.
Si spegne a Ferrara per setticemia, dopo l’ennesimo parto, il 24 giugno 1519, a 39 anni. Le sue ultime parole sono: “Sono di Dio per sempre”.
Di lei scrive Ludovico Ariosto nell’Orlando furioso:
“Lucrezia Borgia, di cui d’ora in ora la beltà, la virtù, la fama onesta e la fortuna crescerà, non meno che giovin pianta in morbido terreno” .
Arnaldo Casali