Un passato di corsaro e il nome di un santo: questo toccò in sorte a Baldassarre Cossa, rampollo di una famiglia che controllava il mare davanti a Napoli per conto dei sovrani angioini, eletto papa nel 1410 col nome di Giovanni XXIII nel drammatico e vano tentativo di risolvere lo Scisma tra Roma e Avignone.
Il libro di Mario Prignano Giovanni XXIII, l’antipapa che salvò la Chiesa (Morcelliana 2019, prefazione del card. Walter Brandmüller) ne racconta ascesa, caduta, meriti nascosti e pubbliche debolezze fino al terribile processo a cui fu sottoposto nel concilio di Costanza, la riabilitazione da parte del pontefice legittimo Martino V e, molti secoli dopo, anche di Angelo Roncalli.
Prignano lo fa con l’ambizione dichiarata di riportare il racconto come risulta dalle fonti citate a pie’ di pagina, spesso insospettabilmente ricche di dettagli, ambientazioni, sentimenti, dialoghi: un vero godimento per chi scrive e per chi legge.
Come nel caso della fuga di Giovanni XXIII dal concilio di Costanza. Inseguito dai soldati del re dei Romani, e futuro imperatore, Sigismondo, Giovanni ripara nel paesino di Breisach protetto dal duca Federico d’Austria con l’obiettivo di riparare in Francia.
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Prima ancora dell’alba, irriconoscibile, con indosso una giacca corta e un ampio mantello nero, accompagnato da un solo attendente, il papa si diresse verso il ponte che, scavalcando il fiume, conduceva in Francia. Trovò la porta della città ancora chiusa e il capitano di guardia inquieto perché, così disse, là fuori brulicava di imperiali.
Preoccupato, quel viandante ansioso di lasciare il paese accettò il consiglio di tentare un’altra via, ma anche questa risultò sbarrata. Che fare? Come in un incubo, pure l’ultima porta, quella che guardava a sud in direzione del villaggio di Neuenburg, gli si parò davanti sprangata e controllata a vista: non si passava neanche lì.
Giovanni cominciò ad allarmarsi. E allarmandosi finì per attirare l’attenzione: cosa mai spingeva quel tizio tutto infagottato e il suo premuroso accompagnatore ad agitarsi tanto? Perché volevano lasciare la città a quest’ora antelucana?
Due omaccioni tedeschi gli si avvicinarono curiosi fino a scoprire che, sorpresa, quel vecchio altri non era che nostro signore il papa Giovanni XXIII: e stava cercando di fuggire! In un batter d’occhio le loro grida attirarono decine di uomini e donne, praticamente l’intero rione.
Nessuno di loro aveva l’aria di voler minacciare il pontefice, ma lasciarlo fuggire ora che gli inviati del concilio erano in paese poteva significare prolungare una guerra di cui anche gli abitanti di Breisach, al pari di molti altri sudditi del duca Federico, cominciavano ad essere stufi. E poi c’era lo spettacolo: quando mai sarebbe capitato di assistere alla scena di un papa beccato alle prime luci dell’alba mentre tenta di scappare travestito insieme al suo attendente?
Inseguiti dalla folla che ingrossava sempre più, Baldassarre e il suo uomo riuscirono a trovare rifugio dentro la bottega di uno scalpellino finché, avvisato da chissà chi, si materializzò il cancelliere del duca Federico. Costui iniziò una trattativa con le sentinelle che alla fine consentì di schiudere la porta della città quanto bastava per far sgusciare fuori il papa e chi l’accompagnava.
Appena fuori, i fuggiaschi si incamminarono veloci verso sud costeggiando il Reno. Alle loro spalle, dagli spalti e dietro le mura di Breisach, l’eco degli schiamazzi e gli sberleffi della folla divertita impiegò un po’ prima di spegnersi del tutto.
Dopo qualche centinaio di metri i due vennero raggiunti da circa quaranta armati austriaci che si offrirono di scortarli fino all’abitato di Neuenburg, dove arrivarono a mezzogiorno. Giovanni, ovviamente, non aveva alcuna intenzione di sostarvi più del necessario, ma visto che Neuenburg non aveva un ponte sul Reno il primo problema fu trovare una barca. Il secondo fu di trovarla sufficientemente spaziosa per ospitare un nugolo di curiali che, saputa la novità, si erano lasciati Breisach alle spalle e si erano messi sulle tracce del pontefice.
Quando finalmente sembrò tutto sistemato, sul villaggio piombò una notizia terribile: da Strasburgo a nord e da Basilea a sud, gli imperiali si preparavano a stringere in una morsa il piccolo avamposto austriaco per catturare Giovanni XXIII e portarlo via prigioniero. Presi dal panico, i residenti si lanciarono in una caotica corsa al rifornimento di scorte alimentari e di armi che ben presto si trasformò in una rivolta contro il papa: doveva immediatamente liberare il paese della sua scomodissima presenza.
Anche gli uomini del duca d’Austria, che avrebbero dovuto proteggerlo, si fecero avanti pregando quell’uomo il cui aspetto non ricordava più nemmeno lontanamente quello del vicario di Cristo, di andare a difendere altrove la sacralità della sua persona. Non si rendeva conto di quanto fosse pericoloso per lui restare a Neuenburg? Breisach sì, che era robusta abbastanza per affrontare l’urto degli imperiali. Baldassarre insistette, disse che gli interessava solo varcare il Reno e che non vedeva alcun rischio per la sua persona, essendo da sempre abituato a trattare con le genti d’arme. Inoltre, vista la situazione, sarebbero andati solo lui e il suo attendente, l’uomo che l’aveva accompagnato a Neuenburg quella mattina: perché non provarci?
Niente da fare, troppo rischioso per chiunque esporsi alla rappresaglia degli imperiali. A pochi metri dalla salvezza, papa Giovanni fu costretto a tornare sui suoi passi.
Era sera quando si mise in cammino per fare a ritroso la strada in direzione di Breisach. Le sue condizioni erano pietose. Cavalcava un semplice e malfermo ronzino nero, indosso ancora abiti civili, la testa coperta da un cappuccio scuro, nella mente i più bui presagi. Con lui c’era una piccola scorta di austriaci; dietro, disordinatamente, i curiali che avevano avuto il coraggio di seguirlo.
Dopo svariate ore di marcia, a notte fonda, arrivarono sotto le mura di Breisach. Le sentinelle di guardia alla stessa porta da cui lui era uscito con tanta ignominia la mattina precedente fecero attendere Baldassarre un’ora e mezza per poi decidere di rifiutargli l’ingresso.
Il secondo tentativo andò meglio. Erano ormai le due del mattino. Sopraffatto dall’ansia e dalla fatica, provato dalla seconda notte insonne dopo quella passata a progettare l’infelicissima fuga che lo aveva portato a Neuenburg, Giovanni scoppiò in un pianto dirotto: si sentiva perduto, spaventato dal domani, tradito da coloro che avrebbero dovuto proteggerlo e salvarlo.
Mario Prignano